Scritto da © Hjeronimus - Lun, 14/02/2011 - 00:07
Ho letto un libro triste, ma talmente triste che non vedevo l’ora di finirlo (e mannaggia alla mia marmorea ostinazione, che non mi “libera” da un libro fino a che non se ne vede la fine). E’ un libro famoso, ahinoi, “best sellers” c’è sulla copertina. Che fosse così famoso è uno dei motivi che mi ha spinto sulla strada della lettura: mi chiedevo: perché?.
E’ il celebre “Le esperienze sessuali di Catherine M” Della Millet, critica d’arte parigina (che “sfiorai” pericolosamente a Parigi una ventina d’anni fa). Quando uscì questo libro, apparve una recensione di Vargas Llosa, che condividevo pienamente e che riproduco qui tale e quale, accompagnata dalla mia introduzione.
A proposito dell'autobiografia di Catherine Millet - critica d'arte parigina che descrive il suo metodico ed accanito percorso dentro una a suo modo grandiosa e, direi, tenebrosa "marcia" erotica, alla ricerca a quanto pare delirante, inesaudibile, del piacere - il commento inappuntabile e condiviso (da me) di Mario Vargas Llosa: Questo libro conferma ciò che tutta la letteratura confinata all'argomento sessuale ha ormai dimostrato a iosa: che il sesso, separato dalle altre attività di cui si compone l'esistenza, è estremamente monotono, e il suo orizzonte è talmente limitato da risultare in definitiva disumanizzante. Una vita calamitata dal sesso, dal sesso soltanto, abbassa questa funzione al rango di attività organica primaria, non più nobile né più gradevole del digerire fine a sé stesso, o del defecare. Solo quando è civilizzato dalla cultura, che lo carica di emozione e di passione e lo riveste di cerimonie e rituali, il sesso arricchisce straordinariamente la vita umana e i suoi benefici effetti si proiettano in tutti i meandri dell'esistenza.Ma perché questa sublimazione si realizzi è imprescindibile - come spiega George Bataille - preservare determinate regole volte a incanalare e frenare la sessualità, in modo che l'amore fisico possa essere vissuto - e goduto - come trasgressione. La libertà senza restrizioni e la rinuncia ad ogni elemento scenico, a ogni formalismo, che è stata presentata come una conquista in talune enclavi del mondo occidentale, non ha contribuito ad arricchire il piacere e la felicità degli esseri umani, ma, al contrario, ha banalizzato l'amore fisico, lo ha offuscato. Ha trasformato in routine, in pura e semplice ginnastica, una delle fonti più feconde del misterioso fenomeno umano.
Ora, 10 anni dopo, ho trovato tuttavia il pungolo di leggerlo, e devo aggiungere qualcosa. Insieme alla curiosità del suo stravagante successo, dovevo soddisfare un altro tipo di domanda che m’insorgeva spontanea, anzi, una doppia domanda: poteva questo libro aver a che fare con le coeve teorie sulla liberazione sessuale? E ancora, non poteva darsi che indicasse una via diversa, bizzarra, collaterale per addivenire ad una sorta di improbabile trasfigurazione? Che non contemplasse una soluzione visionaria, come certi mistici pan-sessuali orientali, per entrare in una sorta di trance estatica, trascendentale?
A tutti questi interrogativi, la risposta è sempre e solo una: no. Questo squallido catalogo d’abiezioni, di “posizioni”, di suzioni e di minzioni non prevede alcun accesso ad alcun tipo di sublimazione. Parla di sesso come un meccanico parlerebbe di motori e non si supera mai in un senso che lo potrebbe salvare dalla sua bassa macelleria. Non c’è catarsi; è una specie di anatomia della schifezza, in cui la schifezza è proprio ciò che immaginate, senza scatti di genio o invenzioni di chissà che. In più, il rapporto al femminismo, alla liberazione sessuale, è inverso: la donna vi appare liberata soltanto della sua dignità. La sua libertà, la libertà di Catherine, è solo quella di aderire supinamente alle violenze maschiliste di chi la sottomette. Cioè, lei si abbassa con una cupa voluttà a soddisfare tutti i più sordidi istinti, le più luride e indicibili voglie che animano i sogni scurrili dei maschi e che proprio perciò vengono bollati di maschilismo.
Ammette solo di essere “un po’ masochista”, mentre risulta evidente come in quell’abbassarsi, in quel piegarsi consenziente ed entusiasta alle umiliazioni impostegli dagli uomini si concentra l’intero universo masochista di chi ha imparato a trarre piacere da un secolare asservimento al piacere altrui: questo libro è anti-femminista.
E non è neanche erotico, come dire?, eccitante. Ci spiega solo “tecnicamente” (e malinconicamente) come doveva la “vittima” predisporsi onde felicemente aderire alle violente frenesie dei “carnefici”. Poi, per convincerci che non di masochismo si tratta, ma solo di “scopate”, aggiunge che per quanto sta in lei, non ha mai sforato nel masochismo puro, tipo ferite o percosse. Che lei disponeva dei soli tre pertugi “naturali”, la bocca, la vagina, l’ano, e solo attraverso quelli si è dipanata la sua (tragica) avventura nel ginepraio sessuale. Il triste finale di questa triste parodia del sesso (ho persino il dubbio che non sia tutto inventato!) sta in quel sentore di miseria che alita da coloro che ne vengono schiavi. I quali finiscono per ispirarci una sorta di ripugnanza tradita dal loro aspetto, pur se ripulitino e decorosetto come quello di certi nostri politici. Lo sanno i registi del “Porno”: dopo un dieci anni di “vita” la carriera di un attricetta porno è bruciata, perché il suo corpo reca i segni della lunga e inoccultabile degradazione.
Così non vi sono dèi dentro il viaggio allucinante di Catherine M, nessun Olimpo. Non c’è neanche il sesso. Il successo della sua opera è giustificato soltanto dalla morbosità di un pubblico analfabeta che non sa più cosa desiderare. Il suo libro è triste, è banale, come dice Vargas Llosa, e la mestissima gloria della scrittrice si riduce al suo più miserrimo vanto, quello d’esser stata “la più brava pompinara di Parigi”, ahimè…
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