Scritto da © Manuela Verbasi - Ven, 05/03/2010 - 20:19
INTRODUZIONE ALLA POESIA E AI POETI DEL NOVECENTO
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Già i filosofi idealistici dell’Ottocento avevano postulato una futura "morte dell’arte", intesa nel senso stilistico-clasico e tradizionale, in seguito ad una presa di coscienza che qualsiasi forma sensibile è insufficiente per manifestare in maniera idonea l’interiorità spirituale e provoca appunto la crisi dell’arte, divenendo fra le diverse dimensioni del sapere quella posta più in basso. Per naturale estensione si può racchiudere all’interno di questa definizione anche la cosiddetta “arte di scrivere in versi”, ovvero la Poesia, la forma più discreta di tutte le arti. C’è stata poi la tendenza, da parte di diversi storici, anche a causa delle tragedie di questo secolo che fanno ancora fatica ad essere definitivamente consegnate alla storia, a definire il Novecento un secolo non compatto e quindi indecifrabile nel suo insieme, che si può cercare di comprendere solo dividendolo in vari spezzoni decifrabili ognuno da solo e per se stesso. Ma questo, a mio avviso, è probabilmente la minima difficoltà che si pone, dal momento che la suddivisione dei secoli non è che una convenzione umana nata solo per motivi storiografici e non soggetta quindi a forme assolute di pura compattezza. Inquadrare, tuttavia, nell’ambito di questa premessa, la poesia italiana del Novecento e trarne una definizione, non è possibile senza tracciare una linea tra i secoli che si sono avvicendati nell’intero secondo millennio.
Per sintetizzare, tralasciando quindi l’importanza del petrarchismo, si può asserire che i primi segni di cambiamento nella poesia italiana si avvisano vistosamente in Leopardi, a mio avviso, il punto di arrivo e di partenza per una nuova letteratura, i suoi “Canti” formati da endecasillabi e settenari con molte rime sparse, alcune interne, rompono definitivamente con il classicismo aprendo verso sperimentazioni di molti poeti dell’Ottocento, tra cui Zanella e Pascoli, il quale viene indicato da taluni critici come il vero iniziatore virtuale della poesia del Novecento. Ma la vera innovazione della poesia del Novecento avviene con l’avvento della cosiddetta “poesia pura” di Ungaretti come contrapposizione alla retorica di Carducci e all’estetismo di D’Annunzio, ai quali già precedentemente si erano proposti i poeti crepuscolari come Corazzini e Gozzano, e in una certa misura, il fallimento della poesia futuristica di Marinetti. Ungaretti, dunque, è il vero iniziatore della poesia italiana del Novecento, che contrappose la sua “lirica pura” come esigenza straordinaria da offrire ad un secolo che, appena nascente, aveva già un orizzonte perplesso e preoccupato dal punto di vista storico-sociale. Parole pure, quindi, depurate da ogni esteriorità, rese essenziali nella forma grammaticale e poetica, semplificando e a volte sconvolgendo la sintassi, evitando la punteggiatura e financo articoli e congiunzioni, rendendo l’interpretazione intricata e difficile attraverso l’uso di analogie ritenute complesse, che portò addirittura, nel 1936, il critico Francesco Flora a coniare, in maniera ingiusta ed esagerata, il termine letterario “ermetismo”, divenuto poi definizione, nel senso positivo del termine, d’una caratteristica letteraria che ha influenzato tutta la poetica del Novecento e gli inizi del terzo millennio. Numerosi sono i grandi poeti di questo periodo, solo per citarne qualcuno, Montale, il poeta della negazione, gli ermetici non ortodossi Quasimodo e Gatto, Caproni, Sinisgalli, Rebora, Luzi, fino a giungere alla sensibilità inquieta di Pasolini. La poesia è morta qui? Credo assolutamente di no, la poesia c’è, forse è la società attuale che, priva di punti di riferimento, è distratta dalla frenetica fretta del consumismo imposto dal mercato globale. Questa sezione di Rosso Venexiano si propone appunto lo scopo di ricordare la Poesia e i grandi Poeti del Novecento ingiustamente dimenticati.
Antonio Ragone
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