Scritto da © webmaster - Mar, 22/07/2014 - 06:43
Agota Kristof, “Trilogia della città di K.”
Ecco un libro da leggere assolutamente, benché non freschissimo di stampa...
Io l’ho letto quasi per caso: l’ho comprato a prezzo stracciato in un mercatino dell’usato e...messo da parte.
Ne avevo già sentito parlare come di un capolavoro ma ho cominciato a scorrerne le pagine così, quasi per dovere, dal momento che oramai l’avevo acquistato: non sono riuscita più a staccarmene, catturata dalla storia e dallo stile straordinario dell’autrice, piano- apparentemente- e scorrevole, senza una sola sbavatura, senza compiacimenti, asciuttissimo.
Diviso in tre parti, come si può intuire dal titolo, “Trilogia della città di K.” è un romanzo cupo e gelido: il buio e il freddo sembrano incombere sugli uomini e sulle cose, persino nel pieno dell’estate. Di ghiaccio sembra essere fatto anche il cuore della gente e dei protagonisti, in particolare: quando eccezionalmente qualche sentimento lo tocca, una specie di nemesi sopraggiunge invariabilmente con impeto distruttivo, come nello straziante episodio del piccolo Mathias.
La vicenda ruota intorno al perverso rapporto fra due fratelli gemelli e alle tragiche vicende che, pagina dopo pagina, attraverso rimandi enigmatici a un passato sempre più orribilmente chiaro e immersioni in un presente ambiguo, conducono alla “katastrofé” finale, dopo aver coinvolto il lettore in un angoscioso gioco di specchi, ove tutto appare possibile e impossibile al tempo stesso.
Tanti i temi e i fili conduttori del romanzo: l’atrocità della guerra (la Seconda Mondiale), l’assurdità della dittatura, quella comunista in un paese mai nominato, che però è intuibile possa essere l’Ungheria nativa della scrittrice; e la forza devastante di una sorta di cieco destino, una volontà malefica che guida le azioni dei protagonisti verso l’imboccatura di un pozzo senza fondo, che è alienazione, stravolgimento, morte.
O forse no: forse, ciò che avviene in questo libro è semplicemente l’insieme degli esiti di una feroce reazione a catena, originatasi in un punto ben preciso, nata- per così dire- dalla banalità di un fatto, per niente straordinario, che porterà ad esiti assurdi, mostruosi.
Assurda, del resto, è molto spesso la vita.
L’Autrice, Agota Kristof, è nata in un villaggio ungherese nel 1935 ma si è trasferita col marito e la figlia in Svizzera nel ’56, in seguito all’invasione sovietica.
“La chiave dell’ascensore. L’ora grigia”, “Ieri”, “La vendetta” sono i titoli di altre sue opere- tutte in francese- ma il capolavoro rimane la “Trilogia della città di K.” del 1987.
E’ morta a Neuchatel, in Svizzera, nel 2011.
Ecco un libro da leggere assolutamente, benché non freschissimo di stampa...
Io l’ho letto quasi per caso: l’ho comprato a prezzo stracciato in un mercatino dell’usato e...messo da parte.
Ne avevo già sentito parlare come di un capolavoro ma ho cominciato a scorrerne le pagine così, quasi per dovere, dal momento che oramai l’avevo acquistato: non sono riuscita più a staccarmene, catturata dalla storia e dallo stile straordinario dell’autrice, piano- apparentemente- e scorrevole, senza una sola sbavatura, senza compiacimenti, asciuttissimo.
Diviso in tre parti, come si può intuire dal titolo, “Trilogia della città di K.” è un romanzo cupo e gelido: il buio e il freddo sembrano incombere sugli uomini e sulle cose, persino nel pieno dell’estate. Di ghiaccio sembra essere fatto anche il cuore della gente e dei protagonisti, in particolare: quando eccezionalmente qualche sentimento lo tocca, una specie di nemesi sopraggiunge invariabilmente con impeto distruttivo, come nello straziante episodio del piccolo Mathias.
La vicenda ruota intorno al perverso rapporto fra due fratelli gemelli e alle tragiche vicende che, pagina dopo pagina, attraverso rimandi enigmatici a un passato sempre più orribilmente chiaro e immersioni in un presente ambiguo, conducono alla “katastrofé” finale, dopo aver coinvolto il lettore in un angoscioso gioco di specchi, ove tutto appare possibile e impossibile al tempo stesso.
Tanti i temi e i fili conduttori del romanzo: l’atrocità della guerra (la Seconda Mondiale), l’assurdità della dittatura, quella comunista in un paese mai nominato, che però è intuibile possa essere l’Ungheria nativa della scrittrice; e la forza devastante di una sorta di cieco destino, una volontà malefica che guida le azioni dei protagonisti verso l’imboccatura di un pozzo senza fondo, che è alienazione, stravolgimento, morte.
O forse no: forse, ciò che avviene in questo libro è semplicemente l’insieme degli esiti di una feroce reazione a catena, originatasi in un punto ben preciso, nata- per così dire- dalla banalità di un fatto, per niente straordinario, che porterà ad esiti assurdi, mostruosi.
Assurda, del resto, è molto spesso la vita.
L’Autrice, Agota Kristof, è nata in un villaggio ungherese nel 1935 ma si è trasferita col marito e la figlia in Svizzera nel ’56, in seguito all’invasione sovietica.
“La chiave dell’ascensore. L’ora grigia”, “Ieri”, “La vendetta” sono i titoli di altre sue opere- tutte in francese- ma il capolavoro rimane la “Trilogia della città di K.” del 1987.
E’ morta a Neuchatel, in Svizzera, nel 2011.
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