Torino, ai nostri giorni. Una città che ormai assomiglia sempre di più a una metropoli d’oltreoceano: all’avanguardia nel panorama artistico e musicale dove tutti sono perennemente in corsa, come mutanti in una città spesso visionaria.
I protagonisti sono tre ragazzi trentenni, tutti dj e quindi famosi, pieni di soldi, con i giri giusti.
DJ Zombie, dj Iaio e dj Boh attraversano come meteore il cielo di questa Torino in fiamme, dove il tempo scappa senza che qualcuno lo apprezzi ancora; dove la moda e le tendenze sono l’unico credo a cui le generazioni degli adolescenti e dei giovanissimi si rivolgono devoti, complice l’uso (ma soprattutto l’abuso) di alcool e di droghe.
Vicende contorte, relazioni fugaci e surreali si svolgono e si concatenano mentre emerge pian piano e sempre più forte tra le righe spesso esilaranti (Culicchia davvero sa strappare con la sua vena ironica momenti di assoluta comicità) la denuncia del degrado in cui versano i giovani torinesi, che potrebbero essere benissimo i giovani di qualsiasi altra città.
Come un tarlo che si insinua e sottilmente inizia a minare i nostri pensieri, così lo sguardo severo di Culicchia penetra sempre più a fondo nella realtà raccontata, per arrivare a mettere in luce una profonda tristezza per la perdita di ciò che ormai non conta più; e quasi questi ragazzi alla fine ci fanno più paura che pena.
Da sottolineare dunque la maestria di Culicchia che ancora una volta si rivela autore originale (come non citarne “Ambarabà” del 2002, particolarissima raccolta di racconti alla fermata della metro) e capace di far riflettere su una realtà che a tratti assume toni drammatici. E non ultima sorpresa scopriamo la sua vasta cultura musicale, di cui in queste pagine ci regala un assaggio…
Da leggere, per ridere ma anche un po’ per pensare.
Federica Venanzi [inchiostroblu]
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Libro: Brucia la città (2009)
-Autore: Giuseppe Culicchia
-Recensione di: Federica Venanzi [inchiostroblu]
-Editing di: Manuela Verbasi
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