Fabio Volo, per me era quello de “Le iene” che riusciva più simpatico di tutti; “Oh Gesù, adesso scrive!”, questa è stata la mia reazione, la stessa che ho avuto con G. Faletti col suo “Io uccido”, e come per Faletti ho letto il libro e mi sono ricreduto. Il libro di Faletti l’ho letto perché volevo dargli una chance, quello di Volo perché ero comodamente sdraiato in spiaggia e avendo appena terminato un libro non avevo altro da leggere se non “Un posto nel mondo” appena chiuso dalla mia compagna. Non mi sono assolutamente pentito, anzi, appena torno a casa mi leggo anche “Il tempo che vorrei”. La trama di “Un posto nel mondo” è anche semplice e forse un po’ banale se vogliamo, gioca sulla voglia di mollare tutto e andarsene per conoscere se stessi e quello che si vuol fare della propria vita; è il modo che ha di raccontare e gli “intermezzi” che aggiunge che danno al libro quel certo non so che: più volte tra le righe mi sono ritrovato a vagare con la memoria nella mia infanzia, le lettere nere sparivano e il libro diventava uno schermo attraverso il quale passava il film delle mie marachelle coi compagni, le uscite con gli amici, i momenti di intimità con me stesso o con qualche ragazza. Nel libro il protagonista ha un rapporto difficile col padre e meraviglioso con un suo amico d’infanzia, prendendo spunto da questo Volo ci regala delle vere perle di riflessione, frasi profonde dettate sicuramente dall’esperienza personale. Devo essere sincero: questo libro mi ha colpito, più volte: il primo colpo, 1 a 0, è stato il dover rivalutare l’uomo di spettacolo d’intrattenimento e aggiungere al suo curriculum la voce “scrittore”; il 2 a 0 è arrivato con la lacrima che ho versato ad un certo punto (non posso dire altro… ovviamente); il 3 a 0, colpo basso, presa alle spalle, chiamatelo come volete, è arrivato inatteso: mi sento anch’io un po’ come Michele (il protagonista). Diego Rocco
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