Ezio Falcomer | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Ezio Falcomer

Biografia

Nato a Concordia Sagittaria (Ve) nel 1962. Vive a Torino. Insegna Lettere nella scuola superiore. E' Dottore di Ricerca in Italianistica ed è autore di saggi di critica letteraria apparsi su libri e riviste. Fin dai diciott'anni ha avuto esperienze teatrali professionali e amatoriali. È membro della Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi e della Compagnia torinese Eidos Teatro, diretta da Alan Mauro Vai.
La sua esperienza della poesia e della scrittura creativa in genere, non relegata ad agende, cassetti o a file sperduti del proprio pc, è recente e nasce dall'esperienza del blog.
Sotto lo pseudonimo di Isidhermes Siviglia, nel 2008 ha pubblicato la raccolta poetica "Brezze di brace" per la CSA Editrice di Castellana Grotte (Ba).
Altre opere:

  • Rive di Esistere è la produzione poetica successiva fino all'estate 2009, inedita;
  • Inedita anche la raccolta La Vita Picara, versi di ultimissima produzione, 2009-10;
  • Il Frank Einstein (Vorrei Vincere il Nobel per la Fisica Come Frank Einstein) è la selezione di tutti i post di natura comica, demenziale, surreale, istrionica, narrativa, cabarettistica, prodotta sul blog tra il 2007 e il 2009 e che hanno suscitato più commenti con i lettori. Il comico, si sa, avvicina autore e lettore. In questo caso il blog diventava anche un piccolo teatro. L'opera sarà edita a maggio giugno da Nerosubianco di Cuneo;
  • Diario del Che in Sicilia, parodia e satira della vacanza con la figlia l'estate scorsa;
  • La Filanda, parodia della canzone di Milva;
  • Il reparto, racconto ispirato alle degenze in ospedale. 

Fa parte della redazione di Rosso Venexiano dal 2009. Ideatore e curatore della sez. dedicata alle letture dei testi dei nostri autori (♦sommario♦

 
 
Recensione
Nutrendomi delle atmosfere artistiche di Ezio Falcomer, multiforme artista di area veneziana, iniziando dalla raccolta Brezze di brace, mi ha subito colpito quello che egli stesso definisce, un proemio, non a caso un termine dal sapore mitologico, ovvero ciò che rappresenta la parte introduttiva di un poema che dovrebbe inevitabilmente portare ad una conclusione quasi sempre drammatica.

Sfrigolio di parole
da brace escrescenti incandescenze
divelte dal buio o eiaculate
inopportune

sotto, il nulla di questo cielo

procelle vertiginose
baluginio di onde
brividore di ectoplasmi
sensuosi esicasmi

bipolari ciclotimie
di tremuli sintagmi

attinie gorgonie e gasteropodi
su un reef di un blu alchemico
sospesi

anelanti
al volo nel Mistero
tesi.

Si avverte, sin dall’incipit, che egli prepara le basi per condurci ad una serie di presentazioni concrete e ben definite nelle loro sintesi, tese a delineare un carattere e una condizione complicata di ciò che si riferisce al processo involutivo dell’organismo, vorremmo poter dire, della nascita, dal momento che questa successione si concretizza nell’ambito nativo per eccellenza, ossia l’acqua marina, su un reef di un blu alchemico / sospesi / anelanti / al volo nel Mistero / tesi. Ecco, il Mistero, non il mistero, che già si presenta all’origine dell’introspezione poetica di Falcomer, dell’uomo e della vita e del suo svilupparsi fino alla morte non sono altro che Mistero, il nulla di questo cielo, che pur è sostenuto da brezze di mare e di terra che alimentano il carbone acceso nelle braci dei disagi, delle inquietudini e delle agitate sofferenze delle passioni umane. Allora si comprende come questo Mistero passi anche attraverso riferimenti biblici come Il Cantico dei Cantici, riferimento al mistero della sacralità dell’eros, amore e dolore, e a quel richiamo di sapore mitologico - di cui si è fatto cenno all’inizio - qui rappresentate soprattutto dalle figure di Ecate, dea di sortilegi e di spettrali figure, libera di vagare tra gli uomini, gli dèi e il regno dei defunti, e di Persefone, rapita da Ade, dio dell’oltretomba, e colà portata, per congiungersi a lei per sempre nel mistero dei morti.

Vorrei titillarti i capezzoli
mentre mi leggi
il Cantico dei Cantici
versarti latte e miele
spalmarti
di rugiada e di fango

Ho sete di te
respirarti
con fame…

Ho male di te
oh i tuoi occhi lontani
corro i tuoi seni

Spazi aprirti o socchiuderti
infantile ebbro annebbiato
condurti
nel mistico e nel selvaggio mistero
porta o stipite del tuo sé profondo
rifarai amicizia
con Ecate e Persefone
i tuoi occhi lame nel buio
inquiete falene
sirene del piacere e del sapere
ti investirà la tua energia antica
riprenderà di te possesso
….

Quindi, Falcomer percorre un sentiero lungo e polveroso di cui conosce l’origine, e immette in quest’ambito iniziale un proemio che introduce una meta senza fine, forse sperata, sospirata, mai conquistata, per questo odiata. Ritorna il tanto amato senso del viaggio del poeta, della vita intesa come viatico alla ricerca incessante di una meta che forse c’è, e per questo ogni obiettivo raggiunto non sarà mai quello sospirato, il viaggio che ricorda quelli di Ulisse e di Enea come metafora della vita, nella quale, a volte, per soddisfare qualche intimo tormento, si è disposti ad accettare illusioni come conforto alle nostre ansie.
I poeti non sono cercatori di sogni, ma artigiani della realtà trasformata in una potenza metaforica per effetto di una dimensione icastica; i poeti vivono, “non con”, ma il Mistero che, antiteticamente, affascina e impaurisce, che spinge, pirandellianamente, e in maniera inconscia, a trovare una via di rifugio, un rimedio alle proprie pulsioni emotive. Falcomer lo fa in maniera del tutto autonoma e originale, sperimentando altri e disparati esercizi letterari, come il ricorso alla scrittura demenziale e surreale, una satira graffiante e gratificante per se stesso e il lettore, la troviamo nei suoi lavori Il Frank Einstein (Vorrei Vincere il Nobel per la Fisica Come Frank Einstein), raccolta di post dove il blog assurge a ruolo ben definito di piccolo teatro, altro luogo frequentato da Falcomer con sentimento e passione, e Diario del Che in Sicilia e nel rifacimento burlesco d’una canzone di Milva, La Filanda.

Voglio farmi un viaggio intorno alla mia camera.
Voglio prendermi un the con Madeleine, dirigente di locanda. Magari inzupparci anche il biscotto,
rimediando a tutto il tempo che ho perduto.

Tempo perduto, giorni sembrati inutili, è in realtà quel periodo temporale in cui l’artista guarda profondamente in se stesso, sperimenta l’inquietudine della solitudine, riscaldandosi al calore del fuoco sempre vivo dell’arte, così ampia e spaziosa in Falcomer, continuando il suo personale percorso attraverso La Vita Picara, versi di ultimissima produzione, dove quasi si traveste da popolano astuto e senza scrupoli che passa attraverso le avventure più disparate, di volta in volta vagabondo, servitore, scudiero, milite o furfante, caratteristico della letteratura spagnola.

Si sbelicano di luci
efelidi di folla
la polpa di adamitica polvere
nelle umide sere dei magi
è calda questa polla
di caos calura lojura
evade mia canzone
da lordura
e da altura eremitica
come un lorca rinato
dalla cura della Storia
nello struscio agorafobo
ti bacio ti calmo
col mio mantra di carne
mi perlita de labuan, rebelle
allo sterco di trono ed altare
mio rosario di allegro martirio
corsara di cuore e di pelle
guernica dove piove la gioia.

Falcomer raggiunge una sua meta, sospirata, l’importanza dell’esserci, ad ogni costo, nelle belle rime di Rive di esistere, fresche, a volte sofferte e mitologicamente erotiche.

desidero e non morirò
ma non muore il mio desiderio

un altrove Zeus mi vieta
mi annienta il Fato il roseo domani

donna mortale
d’amore di uomo
sfamarmi
ricordare uno ieri
un futuro inseguire
verso lui protendere le mani
potessi.

Flutti d'inconsolabile silenzio
agli opachi bordi di questo esistere
o resistere
testardo

Ezio Falcomer, nel suo racconto Il reparto, impegna un personale contraddittorio con la vita e con il male di vivere montaliano, utilizzando una purezza di linguaggio, pur certamente con strutture stilisticamente attuali, ma limpidamente conformi e funzionali, evitando di utilizzare un inappropriato parossismo letterario.
In conclusione, egli affronta il Mistero.
Il Mistero della vita: e lo fa da artista autorevole qual è, consapevole del fatto che quando si nasce poeta, assumono notevole spessore i sentimenti che inevitabilmente, nel tortuoso percorso del vita, crescono con lui, diventano visibili e percettibili e, in virtù di un ossimoro concreto e vitale, individualmente universali.
Questa intrinseca operazione artistica trasforma quel flusso di sentimenti in un grappolo di sensazioni che gli terranno sempre compagnia, come l’amore, la vita, la morte, luoghi di continue visitazioni, mai effimere, sempre disposte a mettere a disposizione del poeta infiniti acini da raccogliere senza che mai quel grappolo diventi raspo.
Nasce così una pura e concreta sintesi che consente di osservare, meditandoli, i pur piccoli accadimenti, i minimi solchi del vivere, da essi traendo un istintuale stimolo a trasferire questi apprendimenti (o apprensioni?) ai suoi compagni di viaggio, i lettori.

Antonio Ragone
 
Da “Brezze di brace” (Un proemio)
Sfrigolio di parole
da brace escrescenti incandescenze
divelte dal buio o eiaculate
inopportune

sotto, il nulla di questo cielo

procelle vertiginose
baluginio di onde
brividore di ectoplasmi
sensuosi esicasmi

bipolari ciclotimie
di tremuli sintagmi

attinie gorgonie e gasteropodi
su un reef di un blu alchemico
sospesi

anelanti
al volo nel Mistero
tesi.

 
Cantico latte e miele
Vorrei titillarti i capezzoli
mentre mi leggi
il Cantico dei Cantici
versarti latte e miele
spalmarti
di rugiada e di fango
sentire
il tuo soffio caldo
percorrermi il corpo
sentire le tue labbra
che sfiorano ogni angolo
bagnarmi il volto
nella rosa
gialla rossa verde azzurra
di fuoco e di carne
e sentire
l'urlo della lupa
nella notte calda
impazzita
di luna piena.
 
Il piacere e il sapere. Mistero sacro
Più della mente la pelle ricorda
fruscii cascata frutti polpa
cunicoli e anfratti ricorda
radure
piccoli laghi
dove dee o cerve si bagnano
lune e maree
flussi di vita e morte
paure degli avi o vivi pensieri
eroi impudenti
che risvegliano
passioni sopite
dimenticati segreti
rose viola
intricate di morte o passione
e di magia
profumo di iris
che cattura accende rapisce ammala
che guarisce.

Scavarti
tradirti con la tua voglia
e falce aratro pala dissodarti
riempire di me il tuo vuoto
riaccendere
la forza che dimenticasti
costante brutale dolce
dissetarti e infuocarti
mangiare e bere di te
percorrerti
con gli unguenti dell’inquieta volontà
come serpenti nel loro nido
o radici avide nella zolla pregna
attorcigliati e indistinguibili, noi

Come onda investirti
di spuma ridente
lavare la tua notte
e come mostro marino
succhiarti indietro nell’acqua abissale

Spazi aprirti o socchiuderti
infantile ebbro annebbiato
condurti
nel mistico e nel selvaggio mistero
porta o stipite del tuo sé profondo
rifarai amicizia
con Ecate e Persefone
i tuoi occhi lame nel buio
inquiete falene
sirene del piacere e del sapere
ti investirà la tua energia antica
riprenderà di te possesso

 
Il bambino
E ridire e raccontare.
Impacchettare un'avventura di una vita.
Cosa fui.
Ero magma ingenuo e affamato.
Sciarada di codice genetico.
Cascata di lacrime di generazioni
perplesse e affaticate.
Ero bambino che aveva poco tempo.
Ero sensibile un tantino.
Esigevo risposte o adulti godimenti.
Razziavo qua e là piaceri e chicchi di mais,
come le galline di Nonna.
Guardavo le sterpaglie e le fanghiglie.
Erano come gli intestini miei.
Rancorosi e pronti alla battaglia.
Ero pieno di stupori,
di fiato indolenza e indecenza.
Ah, l'odore delle bambine!
Africa, nei recessi miei!
 
Da “La Vita Picara” Benzodiaze
Stridono ore
nella biacca dello ieri
e un allarme di ipotesi
nella pace del presente

si sfarinano minuti monchi

rastrello eventi
estremo vegeto onnivoro
nello sciacquio della notte
calma luce di selvaggio

maciullo unghie
e strepito su campi di parole
pallore ipnotico delle pagine
apoteosi di eventi
che svetrigliano il sonno biochimico

fin quando cede
qualcosa
e il nulla orfico osmotico
mi abbatte
resa al naufragio

sfrego ultimi vagiti
in braccio alle brume

e la bestia
sfrana in antri
madidi e oppiati.

 
La spesa
I robot si scassano
ammiccando,
in fila alle casse,
a scampoli di morositas e mon chéri,
estenuati
da brusii di desiderio vacuo
senza potenza.

Allora
meglio trasformare le catastrofi
in occasioni
trasandate e spavalde

sale giochi
per bimbi parcheggiati
da dei eclissati e distratti

far esplodere strutture
fuochi fatui di cancredini

e cantare fra
dharma salsedini e filetti di alici
marinate.

 
Da “Rive di esistere” Calipso
Nutre questa spiaggia
mia fame di un sempre nuovo qualcosa

di brividi soglia varcare
desidero
contro una noia che suona di peso

mi muovo
tra meandri di alghe
di palme di ruderi
cimiteri di naufraghi
uomini afflitti

desidero e non morirò
ma non muore il mio desiderio

un altrove Zeus mi vieta
mi annienta il Fato il roseo domani

donna mortale
d’amore di uomo
sfamarmi
ricordare uno ieri
un futuro inseguire
verso lui protendere le mani
potessi.

 
Rive di esistere
Flutti d'inconsolabile silenzio
agli opachi bordi di questo esistere
o resistere
testardo

stagione a tempo è questa
canto di cicala sotto sole d'azzardo
foglie in concerto ansanti
effimere
plauso di bionde spighe

e l'oscurità
poi
ombra di chissà quali suoni
se suoni saranno
od opprimente
apatia di eventi

afasia di silenti eoni.

 
Chele d’amore
Sequele di aromi
umori estasiati
tutto mi porta
il vento di vita

un flutto sommerge
miei malati sapori

le chele del tempo
brezze sciupano e faville
al macero di gloria
di boria ostinata
ma non il cuore che ama

singulti di stupiti cantori
si diramano a radure

e l'amore è ormai
mio vizio e mia aria.

 
“Il reparto”
“Terapiaaa!”. E gli ospiti caracollano come zombie incontro al carrello, cuccagna biochimica di protocollo. Giorni lisci, demotivati, un respirare senza costi e senza rischi. Ore e ore di sigaretta guardando il pavimento, aspettando che arrivi sera. Sera. L’ora magica, quando le incertezze si dissolvono, l’angoscia si liquefa in una carezza di abbandono liquido alle benzodiazepine, come un massaggio thailandese. I più rompicazzo sono i maniacali, ti stremano, parlano a voce alta, metallici, senza sosta, aggressivi, ancora peggio se disforici. Tanti alcolisti. Fanno impressione i cocainomani in down; bulbi oculari vitrei, fissi: con le carte in mano non distinguono più un due di picche da un re di cuori. Gli eroinomani hanno un certezza: 70 ore di lavaggio vene e tecnicamente la dipendenza se ne è andata. L’alcool è più insidioso: il tipo scavalcherebbe il muro di notte per farsi un goccio al bar più vicino; il richiamo non finisce mai. Un’ ansia sorda, un’inquietudine inarrestabile. Con lo schizofrenico hai una conversazione d’èlite, per così dire: sono i più strutturati, i più ricchi di argomenti, sensibili, attenti, sotto il contenimento del farmaco. Con lo psicotico in allucinazione è un po’ dura a volte. Improvvisamente ti riveste di due tette e un fica, nella sua mente, magari mentre stai mangiando, e ti guarda in modo assassino, come volessi possederlo, tipo l’Esorcista. “E’ solo nella tua mente, è solo nella tua mente. Ti vuoi calmare? Passami il sale per favore. Massì, fanculo, cambia pure di tavolo”.
 
 
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Autore di Rosso Venexiano: Ezio Falcomer
-Recensione: Antonio Ragone
-Editing: Anna De Vivo
 
 

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