Condannato all’Inferno spendo in anticipo il mio Paradiso.
Cenni biografici
nato in Toscana alle 10:10 del 10.10.1955, così riporta il certificato, quel 10 potrebbe anche essere una persecuzione ma ormai ci convivo da troppo tempo, mi pone anche nell’ibrida condizione di essere una bilancia con malefici influssi da scorpione, a cui non ho mai dato peso.Il mio lavoro che poco incastra col scrivere poesie, un altro esempio sembra sia tale Hannibal Lecter, paragone poco rassicurante invero, mi ha permesso di giocare a scacchi con la vecchia signora, dandomi modo di vedere realtà con occhi da osservatore ed attore cose che cambiano anima e scale di valori, il contributo in M.s.F ha avuto il significato di restituire un poco della fortuna che ho avuto senza meriti, per l’essere nato con la possibilità del poter scegliere strade diverse, le sfortune invece sono solo colpe personali, ma l’esserne stato parte ha fortificato principi etici nonché la consapevolezza dell’essere nel giusto nell’ aiutare indipendentemente da razza, religione o credo politico, e che solo essere indipendente permette di essere liberi. (Riccardo Pratesi)
Recensione
“Ascoltando me” è un verso che ci introduce diritti nel cuore della poetica del nostro autore. L’introspezione è il perno attorno al quale ruota una poesia che non abbonda di parole ma che ha abbondanti significati. Tematiche consuete come l’amore (“Ti ringrazio per avermi amato tanto male, da insegnarmi come non deve essere l’amore”), la solitudine (“Seduto in mezzo… mi aspetto che gentile mi sorprenda il domani.”), il tempo (“Solo una volta, è tutto il mio tempo.”) e tutte una serie di riflessioni che sono tipiche del continuo domandarsi dell’uomo sulla sua esistenza, sono affrontate con profondità e analisi puntuale. L’atteggiamento a volte può sembrare freddo e distaccato ma questa è la conseguenza di un verso netto, preciso e chiaro. Nel brano che segue la chiusa è addirittura segnata da un punto che è parola conclusiva della lirica:
“…
Uomini
di sabbia e vento,
belli fino al primo soffio.
Uomini,
di sangue e fatica,
uomini e punto.”
Sorprende l’equilibrio formale dello scrivere, la struttura di ogni lirica è, come dire, granitica, tanto da non disunirsi mai.
Mi ha colpito la chiusa che segue:
“…
Grazie per il primo grazie,
per il non obbligo di amare,
per l’amore mai preso,
che volendo
era tuo di diritto,
per quegli abbracci
mai dati
che mi hanno reso
libero dall’amore
e dall’amare.”
E’ un’affermazione netta, conclusiva, quasi a voler dare una soluzione a quella che è una delle fondamentali pulsioni della vita e cioè l’amore.
L’assenza di questo libera l’essere nell’affermazione del suo io. Non obbligo d’amare, quasi fosse un dovere, ma scelta individuale e sentimento di cui si può fare a meno. Qui sta il sottile significato di questa strofa. Lascia quell’inesprimibile sensazione posta tra il desiderio di avere quel che si anela e il suo essere negato.
“Dimmi quello che vedi,
perché ho solo
segni ed odori
dell’esser stato”
Qui l’ineluttabile relatività dell’essere, quel che vedono gli altri di noi (attraverso il fuggevole giudizio dei segni) intenti ad interpretare il nostro ruolo esistenziale (non importa se con una maschera o no). Una domanda pesante come un macigno: cosa si vede di sé, cosa vedono e cosa intendono le altre “monadi” intorno a noi. Si potrebbe filosofeggiare su ogni verso spesso chiuso come una massima e ricco di significati.
“Totale e delicata ricerca dell’inottenibile”
“…evitare di farsi abbagliare, quando decidiamo.”
“Il vero amore, se giunge troppo presto,
o peggio troppo tardi, non si riconosce”
E’ una delle chiavi di lettura della poetica del nostro autore ma, ad esser sincero, non la consiglio e preferisco leggere le liriche nella loro interezza e gustarle così come sono, dense, taglienti e mai banali. Nel lineare svolgersi dei versi mai si perde il filo di una lucida consapevolezza del proprio intendere l’esistenza e, se domande sono, hanno una risposta puntuale data dalla profonda capacità introspettiva dell’autore.
Davide Ferrara
Opere
avermi amato tanto male,
da insegnarmi come non
deve essere l’amore.
Ti sono grato
per aver camminato
nella vita con me senza
mai appoggiarti perché
avevi sostegno in altri,
insegnandomi la solitudine
delle decisioni.
Ti ringrazio di essere
bella come una Madonna,
e Madonna al punto da
impormi ogni assenza.
Ti ringrazio di essere
delle mie figlie la madre,
obbligandomi ad essere
un padre,
di questo non posso
che ringraziarti col cuore.
Grazie per il primo grazie,
per il non obbligo di amare,
per l’amore mai preso,
che volendo
era tuo di diritto,
per quegli abbracci
mai dati
che mi hanno reso
libero dall’amore
e dall’amare.
è tutto il mio tempo.
Non posso averne altro,
inesorabile,
senza rimedio,
lasciare andare
spesso è mortale,
poiché solo una volta…
è tutto il mio tempo.
Solo una volta si vive
ed infinite volte
si scompare.
ricerca dell’inottenibile.
Pensieri educati
dall’arte della seta,
poi sempre
quell’unica seducente
benché scontata posta,
un singolo filo,
uno spavento unico,
per sollevare
i desideri,
tutti.
se giunge troppo presto,
o peggio troppo tardi,
non si riconosce,
e quando capita,
meglio chiamarlo con
nome diverso o
solo più adatto,
poiché nel presto
ci affoghi,
è tutto intenso
è acqua ovunque
un urlo alla vita,
nel tardi è spavento,
paura di rimanere
con sabbia in bocca,
quella stessa uscita
dalla clessidra rotta,
lanciata contro il muro
dai non sono mai stato.
Ma accade uguale
Ed è vitale e sano,
basta evitare di
farsi abbagliare,
quando decidiamo.
Un gradino alla volta,
e fuori mi ha baciato
il sole ed il gelo,
ho disegnato nomi in aria,
per pennello il respiro,
per tavolozza il freddo,
gioco innocuo
di grande emozione.
il mio si è dissolto subito,
forse non l’ho nemmeno finito,
sono rimasto fermo e sgomento
lo sguardo fisso nello svanire,
l’unico in bianco e nero,
scritto con un filo di soffio,
nome imperfetto di
uomo ancor meno perfetto.
in ogni storia un pezzo si perde,
quella parte tra te e me,
quella che resta lì,
sospesa
né mia né tua,
tra l’andare ed il venire,
nel battito di ciglia
per cui guardi e non vedi,
l’attimo in cui vuoi dire
ed è solo silenzio.
Nell’apnea di un
respiro mancato,
quel pezzo manca e
scappa per sempre,
e là muoiono
i Noi mancati.
Già l’abbraccio,
movimento dolce
d’onda profonda,
facile da regalare,
facile da sprecare,
difficile da capire,
segreto più del sesso,
perché nel sesso ti dai
e poi ti adatti,
dai forma e ne ricevi,
urti in spigoli vivi,
e perdi il senso di te e
del tuo intorno.
L’abbraccio non si adatta,
si spalma prende forma
segue la curva,
è figura tonda,
è colla di pelle e
liquido conforto.
ad essere onorevoli
solo con se stesse,
ad onorarmi solo se è giusto e
senza sofferenza,
disonorevole è seguire morale
che flagella intelligenza
imposta da verbo e
non dal cuore,
o che nasce dal
bisogno di conferme,
spenge stupore,
taglia ali e sogni
solo perché così dev’essere.
Devo insegnare alle mie figlie
che si è vergini tutta la vita,
non è condizione fisica ma mentale,
si perde quando il fare è sempre uguale
e si ripete tutto senza mai cambiare,
restando a guardare,
o peggio a subire,
come ruota di macina da mulino,
che sempre lo stesso giro deve fare.
Devo insegnare alle mie figlie
che tirare calci
non è un male,
come non lo è accarezzare,
basta non sbagliare tempi e genti,
e che non è
giusto lasciarsi calpestare
in questo posto da lupi.
Devo insegnare alle mie figlie
che ci sono tempi
e fatti entrambi esatti
se sincroni con la vita,
che non c’è odio alcuno
per chi sbaglia
a guardare le lancette e
perde il treno
se ciò è destino.
Devo regalare [evitare]
alle mie figlie
i miei errori,
le mie perdite,
che sono ora i miei tesori,
per me è tardi per cambiare
ma è il minimo
da fare.
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: P. Rafficoni
-Supervisione: Manuela Verbasi
-Autore di Rosso Venexiano: Riccardo Pratesi
-Recensione: Davide Ferrara
-Editing: Emy Coratti
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