Biografia
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Sono nato a Vietri sul mare, sulla costiera amalfitana, da anni vivo in provincia di Roma. Dalla casa dove sono nato e vissuto fino all’età di sedici anni, mi appariva lo spazioso golfo di Salerno, con l’orizzonte lontano, ora cupo, ora luminoso, crescendo e sperimentando le mie prime esperienze di vita insieme al mare. Forse, è per questa simbiosi, che, già da allora, ho considerato il mare come una misteriosa metafora della vita. Negli ultimi tempi ho partecipato a numerose rassegne letterarie, nel 2008 ho preso parte all’Epidaurus Festival di Dubrovnik, organizzato dalla pianista e poetessa croata Ivana Marija Vidovic, e partecipato ad un incontro a Vietri sul mare, il mio paese natale, dove sono stato invitato, tra l’altro, ad un incontro con le scuole e gli studenti del posto. Per il resto la mia attività va dalla poesia, alla narrativa, alla saggistica, mi sono occupato di editing, recensioni e prefazioni. Ho tenuto alcune conferenze, tra cui una su Giuseppe Ungaretti e l'ermetismo. Ho conseguito, tra l'altro, il primo premio ad un concorso di poesia religiosa, una segnalazione d’onore dall’Associazione Prenestina del Cimento e il primo premio per una silloge di poesie al Concorso nazionale "Luigi Parchetti". Poesie e racconti sono presenti in varie antologie. Nelle mie raccolta di liriche ho cercato di far emergere un forte e ricercato desiderio di ri-conquista, fino in fondo, della vita, quasi mi fosse stata sottratta, sotto gli aspetti più intimi, in un crudele gioco, da uno spietato mercato consumistico, dove non c’è spazio per i sentimenti, anch’essi divenuti negoziabili. E lo faccio chiedendo alla vita stessa, in un medesimo momento, ossimoricamente, verità e bugie, distruzioni e difese, eliminazioni e salvataggi, accettando da essa solo l’unica vera offerta che è l’amore, esprimendolo con un linguaggio serrato, come in un vicolo stretto, spudoratamente essenziale, che vuole arrivare, pur nella sua complessità, direttamente al cervello del lettore, lasciando il compito di trascinare verso il cuore le sue vigorose emozioni servendosi di descrizioni simili a fuochi d’artificio, che a me è parso udire nel corso di questa creazione poetica. Parole scagliate, all’improvviso, come pietre, quasi impietosamente a cercare con sana rabbia quei sentimenti smarriti nel sottosuolo di una società che incoscientemente pretende di poterne fare a meno. Le molte anafore utilizzate hanno il vigore martellante di una difesa e, nel contempo, di una pretesa a riottenere tutto quanto si è perduto credendolo di averlo sempre posseduto, inventandosi aprioristiche illusioni che così spesso si accettano come amaro conforto per proseguire in un infinito percorso di ricerca. Una poesia, quindi, gridata, mai sussurrata e mai disperata, nel tormentato deserto della vita, una poesia che vuole rivendicare a sé tutti gli elementi primordiali dell’umanità, senza far sconti a niente e a nessuno. Probabilmente dovrebbe intravedersi un tentativo, spero almeno in parte riuscito, di uno studio teso a conseguire una tecnica poetica essenzialmente originale, con una poesia, a mio avviso, energica, ma funzionale per un consapevole recupero di valori smarritisi nel caos delle ideologie fallite e sconfitte, ripristinabili solo elevandosi e sublimandosi nel labirinto dei moderni egocentrismi che purtroppo regolano le relazioni interpersonali. La vita non è un che un sogno spezzato sotto il peso delle ansie giovanili, proprio quando, nell’alba d’un giorno primaverile, ci si appresta a percorrere un viaggio, che appare naturalmente incerto, lungo una via spoglia di luoghi sicuri, timorosi di non incontrarli mai, giacché il viaggio della vita non è mai facile, pur accettando una sfida impari, scegliendo di lottare senza cedere ad inconsistenti lusinghe d’una società disattenta e edonistica, impegnando l’esito d’una ricerca, un coraggio perso e ritrovato per affrontare la vita, pur se questa appare lontana nello spazio come una “filastrocca della luna piena”. Da anni ormai ho capito che il silenzio fa rumore e ogni giorno si vuole imparare a cadere per rialzarsi senza troppe ferite, rimettendosi continuamente in gioco, in un circuito vitale dove il mare è immenso come una suggestiva voglia di libertà. È come quando s’avverte l’interiore necessità di scrivere ad un vero amico giovanile, cercando l’occasione, dopo tanti anni, di rivedersi. Allora non si spenderanno mai troppe parole per ringraziarlo, assicurandogli con sincerità che in tutti quegli anni, scorsi via come acqua di fiume, il mio pensiero è sempre ritornato ai ricordi della giovinezza, ai quali mi sono nutrito e tuttora mi nutro con immutata nostalgia. Quanti ricordi! Le nostre passeggiate per il corso di Vietri sul mare, i bagni marini sotto il sole costiero dell’estate, le partite a carte nel retrobottega del ciabattino, quando la pioggia bagnava le vie del paese, le ore passate dai salesiani, le partite di calcio, le passeggiate a piedi fino a Salerno passando vicino Palazzo Olivieri. E quanta speranza nei nostri discorsi rivolti al domani, quel domani che è già passato, e siamo ritornati all’oggi. Strana è la vita, che ci illude spesso, ci prende per la giacca e ci porta dove vuole, in quel momento, nemmeno ce ne accorgiamo. Poi … poi, d’un tratto mi sovvengono i volti dei tanti amici che hanno attraversato la mia vita, in special modo di quelli giovanili, e ne definisco il valore che tuttora appare autentico ed essenziale, avendo condiviso insieme tante piccole gioie e, perché no, le illusioni e le delusioni del nostro tempo, che custodisco gelosamente nelle fotografie in bianco e nero che spesso vado a visitare. Ebbene, i ricordi di quella nostra giovinezza mi hanno aiutato a portare avanti la vita, soprattutto nei momenti difficili che spesso ho incontrato lungo il mio percorso. |
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Recensione
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“(…) Una poesia, quindi, gridata, mai sussurrata e mai disperata, nel tormentato deserto della vita, una poesia che vuole rivendicare a sé tutti gli elementi primordiali dell’umanità, senza far sconti a niente e a nessuno (…)”.
Sono queste le parole con cui si può sinteticamente compendiare la poesia di Antonio Ragone, illustre artista letterato amalfitano, il cui afflato artistico è sicuramente corposo e intriso di elevati messaggi universali. La sua forte propensione al gesto poetico ha origine assai lontana, bisogna principalmente ricercarla nell’atmosfere calde e sanguigne della sua terra natìa, dove il protagonista incontrastato è il mare. Ed è proprio in questo rapporto simbiotico che si ritrova la scintilla che ha dato vita al suo amore per l’arte. Nella sua poesia vi sono segni evidenti di una ricerca originale, tesa sempre al recupero di quei valori personali che si sono smarriti nell’ideologie false e ricche di egocentrismi, una carica d’energia vitale e positiva. Questo slancio frizzante e pieno di segnali universali si affianca sempre, quasi fosse un ingranaggio imprescindibile, al suo mare. E' “suo”, il possessivo perché è proprio suo: lo sente dentro, che scorre palpitando e si rivela in tutte le sue variegate forme presentandosi in tutta la sua spaventosa maestosità. Nei versi di “La spiaggia dei vecchi” se ne ha una forte prova: Sulla spiaggia che possiede il privilegio e ancora qualche verso di seguito Forse alla stanza un lume a petrolio Proprio in queste semplici parole, concatenate in un messaggio forte e allarmato, che il poeta pone l’accento del suo grido d’amore. Di altro registro è “Filastrocca della luna piena”: E stanno tutti ad aspettarmi In questi primi versi, un’attesa, che perdura in ambito quasi sognante, si fa largo nella memoria appesa al tempo che scorre inesorabile e nel bagaglio delle reminiscenze, con lento procedere, prendono corpo immagini intense, palpitanti, che di certo sono appartenute all’artista e che ora si delineano lungo la dorsale del ricordo appagante… (…) Cercherò di far ritorno Qui, invece, la sua carica nostalgica diventa palpabile e la gioia delle serate passate insieme agli amici e agli affetti più preziosi prende spazio divenendo introspezione elevata, l’autore, in questo andamento temporale, sembra quasi che voglia rievocare quelle emozioni d’allora, come se le stesse nutrano ancora, a distanza di molto tempo, il suo cuore. Percepivo l’odore della nebbia nel respiro, In questa considerazione, come si appalesa dal tono dimesso dei versi, si coglie bene la tristezza del suo pensare, evocata dalla descrizione scarna ma puntuale del palcoscenico su cui il suo razionalizzare si muove. Ne “I morti non vanno mai via”, ove la narrazione s’avvia lentamente, si può rilevare come Ragone, attraverso un linguaggio e una costruzione narrativa apparentemente semplice, desideri in qualche modo indirizzare subito il lettore verso un ambito puramente introspettivo, dove le emozioni risulteranno protagoniste incontrastate. (…) Un bambino correva lungo la stradina fitta di fichidindia sotto piante di quercia. Al di là del muretto che delimitava la stradina cespugli ed ortiche erano nati sotto alberi di carrube, e più giù ancora, la roccia che scendeva sino al mare, la tirrenica roccia su cui esili agavi s'innalzavano. Il suono dell'estate era la cicala nascosta forse tra i rami del centenario pino e il cinguettio di passeri irrequieti. In questo schietto gioco la corsa del bambino era la pagina vitale più armoniosa, il movimento che spinge l'uomo a fare la sua storia. (…) Si ha la netta certezza che l’amore per quelle zone alimenta il suo procedere e che i ricordi saranno il punto nodale di tutta la narrazione. (…) essendo i ricordi custoditi in qualche luogo del nostro essere, non sono vicini, ma, addirittura, sono noi stessi, il nostro pensiero, il nostro modo di comportarsi, le nostre contraddizioni.(…)
Francesco Anelli
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Filastrocca della luna piena
E stanno tutti ad aspettarmi
Lungo il margine del fiume C’è la luna, c’è la luna Che stanotte è luna piena. Cercherò d’esser presente Come sempre in questa notte Voi che state ad aspettarmi Non andate via di fretta Non c’è altro da vedere C’è la luna solo quella. È sereno pure il buio Non c’è alito di vento C’è l’umor d’acqua stagnante Ma ci vuole pure quello. Che rimane ormai del mondo Se non gli occhi verso il cielo C’è la luna forse è vecchia Ma è lassù così leggera. Voi state pure ad aspettarmi Riposate i vostri sensi Così sfiancante è stato il giorno Cercherò di far ritorno Lungo il margine del fiume Com’è stato tante notti Dove abbiamo sospirato Io per primo io per primo D’averla tutta intera questa luna. Ma chissà dovessi ritardare Vi prego voi restate ad aspettare Ci sarà notte come questa Altra luna luna piena |
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Intermezzo
Quando tutti mi avranno
dimenticato, ritornerò, il turbato monito estraneo sconosciuto, Così ad aspettarmi. |
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La spiaggia dei vecchi
Sulla spiaggia che possiede il privilegio
d’aver senza spesa tutte le cose vomitate con conati d’onde da un mare solitamente avaro di tutte le sue illegittime conquiste ben ricoverate nelle voragine delle sue prigioni. Per questo dopo un’invernale burrasca Chissà aspettato quanto tempo con impaziente calma Forse alla stanza un lume a petrolio |
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L’agreste casa
Vieni, ascolta un poco il senso dei pensieri celati
che popolano l’agreste casa riflessa nello stagno, casa addormentata, da sterpaglia cinta, irritanti ortiche e ombrose parietarie. Dorme la casa, da secoli forse immersa Non far rumore mentre recidi Voglio che dorma, che resista all’implacabile |
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L’assenza
Lo incontrai per una strada di fango
- il buio nascondeva il suo volto e non lo riconobbi - erano già tutti dentro, seduti accanto ad un boccale di vino. Mancavo solo io, io, io fui l’ultimo a giungere al casale dei pescatori. M’attendevano da tanti anni, e quando entrai era già tutto finito, quelli già tutti erano andati via. O non erano mai giunti? Nessuna macchia di rosso vino sulla tovaglia c’era, che sempre scorre nel berlo. Uscii. L’uomo che fuori al buio non riconobbi non lo conobbi mai, solo perché semplicemente non era mai esistito. Percepivo l’odore della nebbia nel respiro, nessun lampione pur fioco illuminava la fanghiglia. Ero solo, e se qualcuno avessi mai incontrato, saremmo stati – io e lui – ancor più soli. Vagando, vagando, pervenni alfine al porto? Questo, questo, solo per la salsedine nell’aria? Non seppi mai se anch’esso fosse mai esistito, il mare, intendo, così immenso per essere davvero mai esistito. Quella notte, una buona volta, niveo da secoli, intesi che nulla era tangibile, perché nulla è ciò che in verità aneliamo. Nella nebbia e nell’odore del mare, che da sempre per me solo m’ero inventato, all’improvviso pensai di rivedere l’uomo nascosto nel buio. Fu un attimo, poi disparve, perché non c’era. Naturalmente perché non c’ero anch’io. |
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Una sera d’agosto
Nel tranquillo aere d’una sera agostana
scorsi il lucore delle perseidi precipitare nell’ondeggiante verde mare dei colli castellani, svanire tra i vitigni. Guaivano i cani alla chiara luna |
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-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Autore di Rosso Venexiano: Antonio Ragone
-Recensione: Francesco Anelli
-Correzioni: Maria Catena Sanfilippo
-Editing: Anna De Vivo [Ande]
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto
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