Mangeranno sotto il porticato, è un settembre caldo questo, un ultimo regalo dell’estate.
Giulia si è infilata un paio di jeans leggeri e l’aria convinta di chi è al posto giusto nel momento perfetto. Del resto di che lamentarsi? La famiglia di Alberto l’ha accolta a braccia aperte fin dal primo momento. Da loro si respira sempre quest’aria cordiale e non mancano mai nel pranzo della domenica i nipoti, l’arrosto, la torta, gli abbracci. Alberto ci tiene a partecipare a questi raduni, almeno una volta al mese. Una famiglia solida la sua e genuina, come il profumo di pane appena sfornato. Quando si dice il pane, qualcosa di necessario che non dovrebbe mai mancare. Pane, amore e fantasia. Una vita felice. E davvero appare soddisfatto il suo compagno quando torna a casa e dovrebbe esserlo anche lei, in questo porto sicuro che sa di buono, di tranquille certezze, come le rose del giardino: rosse, quasi opulente, piene, anche in questo settembre che non vuole saperne di declinare nell’autunno. Rose domestiche che non raccontano di passioni ma di amore e cura quotidiana per le cose, c’erano quarant’anni fa, prima che Alberto nascesse, ci sono ancora adesso e ogni volta la madre di Alberto gliene fa dono. Giulia poi le sistema in un angolo del soggiorno, in un vaso di vetro opaco, un po’ impolverato. Ma sono rose pretenziose, troppo accese e squillanti, estranee a quella casa che non si decide a lasciare. Quante volte Alberto ha insistito perché andasse a vivere da lui, ma lei ci sta bene in quel bilocale, sarà anche buio, senza balcone, con quattro rampe di scale da farsi a piedi, però è la “sua” tana.
“Casa”, parola strana al singolare, mai appartenuta alla sua infanzia, perché di case ne ha avute molte, altrettante quanto i lavori del padre, ma non le è mai pesato, allora era nell’ordine delle cose, così come trovava normale che sua madre avesse l’aria un po’ svaporata. Se la ricorda spesso con un libro in mano, avrebbe potuto essere il personaggio di un romanzo: una madame Bovary meno tragica, che sopravvive ai suoi sogni, mantenendo intatta una tenerezza un po’ svagata. Un’Emma romantica e sconsiderata ma senza alcuna propensione per il giardinaggio; così rose in casa sua non ce n’erano se non quella di una poesia che il padre aveva trascritto per la moglie su un foglietto accludendola a un regalo.
“Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri
ma è ancora così dolce
che fa tremare."
Ecco nella sua infanzia c’è una rosa bianca in autunno e questa le basta, presenza sottile che non ha bisogno di vasi e chiede solo silenzio. Ma Giulia non ha il coraggio di sfrattare dal suo appartamento quelle rose così chiassose e invadenti, così anche oggi le accoglierà con un grazie, facendo finta di niente.
Le annullerà domani, primo lunedì del mese, nel salotto di casa, quando inviterà Marcello, e in quello che non è amore, tra l’affondo dei colpi, sommergerà il pane, le rose rosse, il giardino, la grazia invadente della famiglia di Alberto. Le basta non tradire quella rosa bianca, anche se lei fiore non è, semmai erba selvatica, pungente, trapiantata per sbaglio in una terra non sua.
(La poesia è di Attilio Bertolucci)
Miresol
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