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Chiudendo piano la porta - Miresol

La casa è in penombra, le tende tirate, come sempre negli ultimi mesi. Sua madre l’accoglie ciabattando, lo strofinaccio in mano. Non fa altro che levare la polvere dai mobili, lucidare, sistemare in modo ossessivo quei maledetti centrini. Stanno lì da tempo immemorabile, sono durati più di suo padre, sapranno sopravvivere anche a loro.
- Perché sei arrivata in ritardo? Pensavo che ti fosse successo qualcosa.
- Ma no, mamma, dai. Lo sai com’è al lavoro!
- Ti ho chiamato e il cellulare era spento. Non so mai dove sei, non vieni mai a trovarmi.
Anna non risponde. E’ il tono lamentoso a irritarla, l’ostinazione con cui la madre si barrica tra queste quattro mura, da quando è rimasta sola. Difficile farla uscire, suscitarle un sorriso, come se continuare a vivere, fosse tradire.
Non riescono proprio, loro due, a condividere il dolore. Lei rinchiude dentro il silenzio i ricordi, la madre si aggrappa alla propria sofferenza, ne fa inconsapevolmente una recita.
Anna si sente ingiusta: sa che il padre è stato il tramite tra sua madre e il mondo, braccio, stampella, parafulmine, ma anche il centro di ogni respiro. Sa che lo strappo è incolmabile, che è difficile riempire il giorno con gesti o parole, ma non è in grado di opporre a questa deriva che un sottile rancore.

Si siedono in cucina, prendono insieme un caffè, la madre lo beve a piccoli sorsi, Anna lo trangugia bollente.
- Io e Carlo andiamo al lago, domenica. Vieni con noi, ti farà bene.
- No, da qui non mi muovo. E poi da sola con voi, senza tuo padre…
La voce sommessa già contiene un rimprovero. Anna insiste.
- Se vieni, ci fa piacere, cerca di uscire, non puoi continuare così.
- Dimenticalo tu, che puoi, che hai un’altra vita, io resto qui.
La voce s’impunta, si tende, per poi fermarsi e trovare radice.
Un’onda densa sorprende Anna, l’afferra alla gola.
“ Ma tu sei sicura di avergli voluto bene? Gli hai rovinato l’esistenza, fino all’ultimo con le tue lamentele”. Questo vorrebbe urlare, ma si trattiene mordendosi le labbra e il sapore del sangue la riporta indietro.

Aveva sedici anni, era ritornata a notte fonda, avevano litigato, sua madre le aveva dato uno schiaffo. La parola “puttana” era partita dalla bocca di Anna, ancor prima che potesse pensare, come un sibilo, tagliando l’aria. Subito aveva serrato le labbra fino a farle sanguinare, ma era troppo tardi. La madre si era accasciata sulla poltrona del salotto, il padre l’aveva fissata in silenzio.
L’avevano mandata per due mesi da lontani parenti e Anna aveva accettato con sollievo. Non riusciva a guardare sua madre, a trovare il coraggio di chiederle scusa, né sapeva capacitarsi di quello che aveva detto, tanto le pareva assurdo e immotivato, anche nei tempi della sua esasperata ribellione. Era lei, semmai, la “puttana” della famiglia, la figlia irriconoscibile, quella che si era data il compito di cancellarne il buon nome. Non sapeva, allora, domare le parole che le si agitavano dentro, le lanciava fuori di sé come armi, lasciavano graffi sulla pelle degli altri, nella loro memoria, scavavano distanze.
Con gli anni ha imparato a trattenersi: ogni volta che sta per perdere il controllo, il ricordo di quella parola affiora e brucia come sale su labbra screpolate. Non se l’è mai perdonata. Ormai è un fatto d’esperienza addomesticare la voce, ingabbiare la propria rabbia, mettere il laccio a certi pensieri. Solo la tristezza di questa casa le risulta incontenibile, di questa casa e di tutti i suoi centrini.

Sua madre la guarda, attendendo una reazione, una risposta.
- Devo andare, adesso. Per il lago puoi sempre ripensarci.
Si alzano, la madre solleva la mano, le sfiora il viso come ad accarezzarlo, ma è un gesto sospeso a metà.
Anna esce, chiudendo senza far rumore. Il tempo delle porte sbattute è lontano.
Il sole fuori è accecante. Ripensa al buio che ha appena lasciato. Forse potrebbe comprare delle tende leggere, perché una luce gentile entri finalmente in quelle stanze, senza ferire gli occhi.

Miresol


Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Editing: Alexis, Livia Aversa
-Immagini tratte dal Web
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