Vola nell'aria una piuma dimenticando di se stessa, nel buio, cercando un posto caldo, privo di memoria. Si ascrive ad un'anima che inarca il passo all'inchiostro. Accompagna il buio nel suo direzionarsi quasi come sentiero, in un vuoto che fa di tutto per abbracciare l'armonia di linee concrete. Cerchi e rette scritte da una penna. Cede all'intenzione della parola in un modo immaginario, di provenienza ignota, gesto quasi automatico. Se chiede compassione una penna agitata! ... Lievito, felicità, delirio, viene rapita dal canto di parole instabili sotto la danza di una pagina. Ha senso scrivere, se scrivere significa perdere un po' di realtà. In mezzo la stanza si avvolgono scene, si additano nastri involati di addii. Un volo che prende dall'alto, in un altrove dove la miseria di un'immagine sfocata si arrotola di fumi e strascichi dorati. Il buio scende nel silenzio e ti vede, al di là del suono, al di là del silenzio, eppure così pieno. Pienezza che fugge nell'aria e finge una musica fatta di ruote e chiavi di venticello. Una lacrima pulisce il suolo, la sofferenza riempie il vuoto. Ti porta un luogo dove urlano gabbiani, boccioli di raggi come fari. Nell'unico luogo possibile vorrebbe riposare, bruciare quasi nella nebbia del giorno, trovare l'unione... nel pianeta delle rugiade, dove nessuno osa entrare. Avvolta nei distretti della luce la parola agitata, nel suo aspro godimento si interseca a pensieri dolci, sfuma nell'interstizio della ricerca. È curioso lo svolgersi della sua ombra, quando la vedi scendere nel corpo di un muro. Lo solca, ma non lo abbraccia, quasi a voler lasciare l'orma. Quel percorso che si fa strada, giù per le risa contrite della luna... Si racconta qualcosa che si è toccato, nel mentre di un annuncio di quel qualcos'altro da toccare. Sempre più giù cammina il destino di un'ombra disegnata ... quando sei immerso nel silenzio di una stanza, nel bianco di una pagina virtuale e non ti trattieni. Nelle pause scorre l'emozione, e lo sbaglio sta proprio nel non sentirla nostra, ma poi ...magari qualcosa di inatteso può scaldare l'anima, un istante in cui si è creduto e si è sperato, un istante in cui noi stessi ci sentiamo finalmente immersi nel corso naturale e gentile degli eventi. Ma quando non c'è luce, e quella ragione manca, raccoglie un gesto pieno quella penna agitata. Penso alla gioia solo di volare, ed anche alla sua unicità.
© Marika
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Il buio scende silenzioso come una penna agitata
Che il tasso barbasso sia un grattacielo di libero albergo...
Esponente stanze gratuite occupabili da chiunque a tempo... Ci vuol poco a capirlo. Ha sempre ressa intorno. Sono tutte gialle. Che a qualcuno non venga in mente di fare il diverso. Hanno uguale arredamento di soffici petali... Con curve sinuose che accolgono morbidi. E stami e pistilli gratificanti. Con un saporito letto al polline che diventerà nettare rincasando. E pure questi accetta tutti. Ritenendo qualsiasi essere meritevole di "passaggio". Che pretendere una definizione unicamente per se manca di classe. Ed è impossibile almeno quanto cambiare arredamento al fiume. La coscienza sta nella farfalla che sposta l'aria. E dopo si sposta per farla riposizionare. Non in quella infilata per lo spillo in bacheca. O nella sua "aria". Quello al limite è la scienza. Cioè diritto tramite "corrispondenza". La penna agitata mima quest'ultima. Aria intendo. Prende l'umore della giornata in cui fugge. Cataloga per porzione d'urlo. Dice del succo del mondo io me ne burlo. E di per cui, pur ammettendo che può uscire dalla bacheca, la sua presa non può che essere cieca. È venuto un visone. Bello vivo distante anni luce dalla pelliccia. Mi ha detto: Considera sempre che sarai in una vita. Il fiume è là da un milione di anni. E continua di gorgo, di ansa, di onda e di rapida a parlare. Non volerlo fissare. Il suono che ha appena creato è il passato. E lui chiede di rimanere al presente. Solido, nuovo... intraprendente. Dire in questo momento che il ponte sarà per l'infinito utile sta insensato. Domani avrai forse ali. Ed allora le tue cognizioni non potranno essere uguali. Parla già del nulla la penna calma. L'entusiasmo corre su una potente moto assetata. Più acceleri prima avverrà la frittata. La mozione di giornata è opzione. Un semplice solitario mattone. Nel tempo sboccerà la costruzione. Non abitarla ora. Ricorda "lei" è il martin pescatore. Non un albergo a ore. Non un albergo a ore. P.s.
© Sid Liscious
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Pantheon
L'essenza del nero
mescolata al mare del giorno nuovo Nettuno accigliato con la barba intinta nell'inchiostro fa ricordare alle sirene di velluto quanto sia giusto che l'incanto d'un Ulisse adirato scenda piano - come un dolce sintomo di malaria e si scordi che il buio scende Una penna mescola un dio d'Olimpo -il bambino
© In Viola Veritas
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In punta d'occhi
quando il giorno cade nelle dimenticanze
e quell’emozione sottile della penombra si fa avanti nel disavanzo d’oscurità sembra agitarsi una penna oltre il silenzio nell’incaglio d’abissi d’aria fino al suo celarsi nel totale lutto e far riemergere nei passi girovaghi della coscienza quell’azione sbagliata… focalizza lo sguardo esfoliando corolle notturne di conflitti e sentenze ove vortici e agonie si compensano nel plasmare un effetto inaspettato... in punta d’occhi
© Silvia De Angelis
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Los Buitres
La sabbia emanava un calore insopportabile, riflettendo quello del sole. Mordeva la pelle. Il cavallo s’era azzoppato alcune miglia prima, infilando lo zoccolo in un’apertura di una tana di cani della prateria. L’aveva dovuto abbattere. Stava procedendo a piedi, sotto il peso della sacca da sella, colma di aquilotti d’oro. Gli stivali affondavano. Era in fuga. La rapina alla banca di Woodbridge si era svolta non come voleva. Aveva dovuto sparare. Alcuni pezzi di osso del cranio e sangue, misto ad una sostanza molliccia, si erano appiccicati alla cassaforte. O lui o il vigilante. Era fuggito verso il deserto, sicuro che prima che si organizzasse una posse per inseguirlo, sarebbe già stato lontano a godersi il bottino. Si fermò. Un sorso d’acqua dalla borraccia. Certo, pensò, quei bambini non avrebbero dovuto giocare per strada. Li aveva travolti, così come il loro cane. Sotto gli zoccoli aveva sentito un rumore: come lo spezzarsi attutito di un ramo d’albero. Forse le ossa del cane. Il deserto era la via di fuga migliore. Era un mezzo sangue: madre indiana e padre sconosciuto. Forse il primo dei dieci disertori che la violentarono. Pelle scura ed occhi chiari. Sin da bambino era stato evitato da tutti. Non aveva mai riposto fiducia in lui, sua madre, così come i frati della missione che li avevano ospitati e dai quali avevano ricevuto un’istruzione. Elementare, ma sufficiente per leggere e scrivere. Sua madre gli ripeteva sempre due cose: che era un bastardo rinnegato e vile, che il deserto non ha rispetto neppure per il Grande Spirito. Gli altri che doveva rispettare sua madre. Lui riteneva, sua madre, una vecchia bruja che viveva di leggende, anche se, sin da bambino, conservava al collo il ciondolo che gli aveva donato: un piccolo contenitore di pelle di coniglio. Il villaggio hopi abbandonato non era lontano. Avrebbe smentito le credenze della madre. Scorgeva la roccia delle “Tre dita” nel riverbero dell’orizzonte. Lì avrebbe trovato acqua in abbondanza. Improvvisamente si alzò un vento da togliere il respiro. Si portò il fazzoletto annodato al collo davanti alla bocca e calcò lo stetson sugli occhi, mantenendolo fermo con una mano e proseguì, con il viso rivolto a terra. Quando tutto d’improvviso si chetò, bevve dalla borraccia l’ultimo sorso d’acqua e guardò davanti a se. La montagna non c’era più. Si voltò in tutte le direzioni. Le “Tre Dita” erano scomparse. Solo una linea perfetta, tremolante, tra sabbia e cielo. Non doveva perdere la calma. Tolse la sabbia dalla tesa del cappello e proseguì. Alcune ombre si proiettarono sul terreno. Alzò gli occhi al cielo. Le labbra gli dolevano, come quando, al saloon, dopo una rissa il whiskey gli bagnava le ferite. Sorrise con disprezzo. Alcuni avvoltoi volavano in cerchio sopra la sua testa. Era stremato. Si sentiva bruciare gli occhi. Ora sapeva cosa provò quel gatto che acciecò per puro divertimento, con un ferro arroventato. Inciampò e cadde. Picchiò la testa e perse i sensi. Non seppe per quanto tempo. Si risvegliò di soprassalto, un urlo strozzato, come se la gola fosse piena d’acqua. Il becco uncinato di un avvoltoio affondato nella parte morbida sotto il mento. Non era acqua, ma il suo stesso sangue. Altri due, uno per coscia, stavano strappando brandelli di carne, agitando le ali. Tentò di muoversi, di liberarsi, ma due erano artigliati alle braccia. Vide i muscoli scoperti e sanguinanti sotto i rostri degli uccelli. Con un affondo violento, il becco adunco gli attraversò la giugulare, scoprendo il contenuto del sacchetto che aveva al collo. Un foglio di carta ripiegato con scritto: “Il buio scende silenzioso come una penna agitata”. Maledisse sua madre. E scese il buio.
© Andrea Occhi
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Porgere il cuore
l buio è tutto intorno, dentro di noi, fuori da noi...ma soprattutto dentro il mio equilibrio...A volte di notte, nell'oscurità più profonda, mi sveglio trafelato, sudato e sull'orlo di lacrime, troppe volte trattenute per decenza, pudore e stanchezza...I miei occhi, così vivi e animati dal desiderio di un'emozione che porti con sé tutta la forza della saggezza, trovano nella realtà un abbrutimento globale, ove i sentimenti non sono altro che steli lanciati per trafiggere animi deboli...Dove arriveremo di questo passo...Ben presto, il mio orgoglio, dispensato sempre agli altri con generosità, andrà a morire fievolmente e come una parola detta per avvolgere con amore si spezzerà contro l'indifferenza tracimante ovunque...Sono stanco, il guerriero che c'è in me sta invecchiando velocemente, i riflessi mentali perdono giorno dopo giorno forza e energia e morirò in una pozzangherà di delusione...senza più nulla, senza più ardore, senza più velocità di pensiero...azzeramento completo...Nonostante ciò, io mi porrò addosso la luce che ho dentro e comincerò a sputare il fiele dell'intelletto...Guai a voi......statemi lontano....
© Blinkey62
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E io chi sono, il figlio della serva
Tuareg incazzati a caccia di ovini
succhiano caramelle al mentolo calpestando margherite al ritmo sacro della samba una follia di woodoo non era lei che amavi Dove vanno a finire i poeti Era una notte buia e tempestosa, gli pseudonimi brulicavano, si poteva amare e odiare la medesima persona, nel giro di un merengue.
© un posto all'ombra
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Il buio scende silenzioso ..)
Il buio scende silenzioso
come una penna agitata i miei pensieri imbrigliano attimi di malinconia lentamente scende la notte sul mio volto, il sorriso, si veste da smorfia beffarda per allontanare lo spettro dell'assenza di Te intorno è silenzio solo il battito del cuore a scandire lo scorrere del Tempo ed io come sabbia della clessidra scivolo lentamente a divenir granello aureo nella spiaggia di un brivido che parla di Noi...
© Sempregio
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il metallo della notte
non aspetto di avere memoria necessaria
per annunciare che il metallo della notte mantiene in carne la ferita del ritorno le sue esclamazioni ferrose, alogene imposte alla gola nei sottovoce rochi come solo lato aperto al sonno l’abbandono è un incubo forsennato dicesti: oh maledetto uomo
© Ferdi
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cartolina dall'Amiata
Oh mio caro, se fossi qui lo vedresti
: il dibattersi delle ali che smuove gli alberi la corsa dei caprioli la muta urlante l’assurdo fragore dei colpi E su tutto l’austera planata del nibbio Io prediligo il silenzio profondo della valle Si passa da quella alla vita
© Franca Figliolini
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il buio scende silenzioso come una penna agitata
Conta ferite d'un vivere disossato
in mille attimi ad occhi chiusi. Passa il giorno, non il tempo Ora non vive, respira Nel cerchio che sa
© Manuela Verbasi
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il buio scende silenzioso come una penna agitata
Il verde del camicie insulta dappresso
il bianco alienante della stanza che mi assale e soffoca, nodo alla gola. [stride il volersi sereno, nonostante] Mentre il tunnel mi inghiotte come igloo Nel fragore dei battiti del cuore d’acciaio [si vorrebbe calmo respiro,ora] Chiudo gli occhi feriti dal bianco alienante …ma la penna è agitata, ancora…
© Franco Pucci
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il buio scende silenzioso come una penna agitata
Capita di trascorrere giorni dove rimanere seduti è un gesto che rallenta il ritmo, traduce la quiete da tenere fra le dita in prestito, tanto sai che non l'avrai per sempre.
In quei giorni ti senti in pace con te stesso e con il mondo, respiri un ossigeno che sembra la bozza del paradiso, quello che speri quando pensi alla morte. È così che me ne stavo, in uno di quei giorni, seduta sugli scogli ad ascoltare il fragore del mare, pareva non trovare pace, il mare, sembrava avesse un fuoco che bruciasse il fondo. Salii sulla barca senza pensare all'esilio che il mare procura, quando ci vai da solo in mezzo alla massa d'acqua che non vede costa, sarei stata bene, l'onda agitava al punto giusto e il vento pareva perfetto per lanciare le vele al cielo, non avevo che poche ore per godermi l'aria salmastra e il gioco di luce che il sole sapiente crea con l'ombra delle vele, avrei scritto versi lasciandoli liberi al vento, mi piace scrivere senza fermare le parole, lasciare che libere decidano dove sostare. Dopo solo un quarto d'ora di navigazione mi parve di sentire un suono insolito, una musica proveniente dal ventre del mare salire sinuosa al cielo, io stavo in mezzo, sulla barca che pareva ascoltare anch'essa, d'un tratto il suono aumentò e una luce violenta occluse alla mia vista ogni cosa, tenevo il timone stretto nell'incavo delle mani e pareva che il vento aumentasse pericolosamente, mi sarei capottata, dovevo trovare il modo di fissare il timone e dare una mano di terzaroli alla randa, dovevo togliere il fiocco e pregare. L'ordine delle azioni non fu rispettato, non ne ebbi il tempo, le assi ricurve della coperta stridevano e la chiglia disperava sotto la pressione delle onde incitate dal vento, il suono aumentò ed io mi ritrovai altrove, mi ero rovesciata ma non dentro il mare, nel suo ventre intendo, non sotto la barca a chiglia in su e il resto all'ingiù, magari; mi ero rovesciata ed ero approdata ancora sul mare, sopra un mare calmo, con un vento gentile e la barca in perfetto ordine, sognavo. L'idea del sogno fu la prima a balenarmi in testa, di sensate non ne trovavo altre, dov'era finita la tempesta? Dov'ero finita io? Ogni tentativo di ricondurmi ad una ragionevole soluzione si disfaceva sul nascere, ero sveglia e da un'altra parte, da un'altra parte del mondo, che avventura! All'inizio ammetto che la paura mi sopraffece e gridai forte un aiuto che poteva sentirsi a chilometri di distanza, poi messami al timone tranquilla, capii che tutto sarebbe stato inutile, meglio lasciarsi trasportare dal vento su questo nuovo mare. La navigazione prese a scivolare come se ci fosse calma piatta, in realtà un vento gentile sospingeva la barca soffiando sulle vele senza violenza alcuna, così per mare forse non c'ero mai stata. Arrivai alla conclusione che era un sogno e dovevo godermelo sino in fondo. Mi sentivo in pace, più di quanto sia realmente possibile nella vita, non avvertivo una sensazione così di benessere da anni, d'un tratto si profilò la costa ai miei occhi, puntai verso di essa nella speranza di trovare qualcuno con cui condividere la meravigliosa storia che attraversavo. Intravidi il porto a distanza, c'erano altre imbarcazioni e nessuna persona in vista, mi colse un attimo di panico, e se fossi giunta sola alla fine del mondo? L'apocalisse aveva travolto tutti tranne me unica superstite, speravo in cuor mio di no. C'era un posto barca che mi piaceva perché mi sembrava intimo, quasi casa, mi diressi e lì ormeggiai, scesa dalla barca cercai l'ufficio dove chiedere asilo e portare i documenti, sembrava non esistesse, in lontananza sentivo alcune voci, la cosa mi tranquillizzò e pensai di andare a vedere. Vi erano persone sedute attorno a un tavolo a mangiare e bere in allegria, fui invitata subito a sedere e mi fu offerto del cibo e dell'acqua, nessuno mi domandò da dove venissi né perché ero lì, né per quanto tempo vi sarei rimasta. “Chiedo scusa, sapete forse indicarmi l'ufficio del porto? Dovrei registrare il mio arrivo.” Si sollevò un onda di silenzio e tutti mi guardarono sorridendo, si avvicinò una donna dai capelli nero corvino e mi mise una mano sulla spalla dicendomi. “Non temere, a nessuno verrà in mente di chiederti nulla, siamo tutti qui da un lasso di tempo che non riusciamo a definire e mai nessuno ci ha chiesto niente, siamo arrivati tutti allo stesso modo, non poniamo più domande ai nuovi arrivi, è per tutti uguale, non siamo in molti e ci conoscerai in fretta, i più sono seduti attorno a questo tavolo, pochi altri sono a passeggiare sul lungo mare, qualcuno è a riposare o leggere. C'è una grande biblioteca nella piazza del centro, il paese è piccolo e da sul mare, pare che non vi siano strade che portino altrove, chi ha provato e cercato è tornato sempre qui in questo paese, per mare è impossibile, in uscita, c'è una corrente che impedisce a chiunque di salpare.” “Come, cosa significa? Non capisco!” “ Nemmeno noi all'inizio, e a dire il vero neanche adesso, ci siamo rassegnati all'idea di rimanere qui e basta.” Mi sedetti al tavolo e iniziai a mangiare dopo averla ringraziata, era troppo convinta della sua versione, non avrei potuto dissuaderla in alcun modo, mi dissi che avevo bisogno di cibo e riposo e il giorno dopo, forse, mi sarei risvegliata sugli scogli. Il cielo accoglieva uno dei tramonti più belli e mai visti, i colori pennellati sul bordo del cielo lasciavano odore di porpora e il vermiglio audace chiamava le stelle a raduno. Refoli leggeri pettinavano i capelli slegati delle donne e la luna spuntata senza fretta, rifletteva ombre sinuose da seguire. Incantevole e rara questa serata che prometteva una notte magica, avrei potuto scrivere, finalmente scrivere di qualcosa che nessuno aveva mai veduto prima, ma non ne avevo il modo, c'erano libri da leggere ma nessuna possibilità di scrivere, ad ogni tentativo le parole salivano su piccole feluche e partivano alla volta del cielo, un sogno dentro il sogno e cominciai a credere di essere impazzita. L'alba proiettò la prima luce caleidoscopica che riflesse l'arcobaleno in grembo al giorno, mi era stata suggerita una casa in collina, aveva una vista magnifica sul mare e l'alba fu un regalo che scartocciai lentamente, pareva che il tempo non esistesse, guardai il mio orologio, era fermo al giorno in cui mi trovavo in barca e faceva la stessa ora, non volli farci caso, l'avevo regolato la sera prima ma evidentemente non era servito, non volli indagare e mi accinsi a cercare una possibilità di fare colazione, ma prima volli fare un tuffo nel mare, una nuotata che avrebbe potuto portarmi al risveglio. L'acqua cristallina mi avvolse di luce perlata e non mi riconobbi, la pelle luccicava e nemmeno una doccia fredda poté fare nulla, mi vestii sperando di non brillare troppo e scesi in paese, l'unico bar preparava colazione per chiunque desiderasse farla, non serviva denaro e pareva che chi lavorava lo facesse per il solo gusto di farlo, erano abitanti del posto che la sera prima non avevo incontrato. La loro pelle era luminosa e lucida e cangiante, una seta naturale, straordinaria, i loro volti simili fra loro ma con caratteristiche diverse erano solari, sempre sorridenti, i capelli parevano bagni di luna e la loro voce era un suono, il suono che avevo udito durante la tempesta, adesso lo ricordavo distintamente. Mi sedetti a mangiare e presi a fare qualche domanda con discrezione, lo sapevo fare era il mio mestiere, ero una giornalista, non famosa ma capace di fare bene il mio lavoro. Non ricevetti che sorrisi e nessuna risposta, con molta gentilezza sgusciavano via senza rispondere. Accanto a me si sedette un ragazzo che mi guardò incuriosito e mi disse “Non ci sei ancora abituata vero? Ci vuole tempo, ma non molto, qualche bagno nel mare e tutto sembrerà normale, rimarrai qui senza chiederti perché né desiderare altro, vedrai, e poi qui si sta bene, credimi!” Associai il bagno del mare al colore della mia pelle e guardando la sua capii che di bagni ne aveva fatti tanti, poi osservando quella degli abitanti capii che saremmo diventati tutti come loro, bastava seguitare ad immergersi. Provai anch'io a cercare un sentiero che conducesse altrove ma non lo trovai, tornavo sempre al paese, per mare era impensabile, i giorni seguenti non entrai più nel mare a bagnarmi e gli abitanti cominciarono a guardarmi in modo strano, volevo uscire dal sogno, volevo tornare sulla mia barca o in qualunque posto fosse stato “casa mia”, da qui me ne volevo andare. La sera mi sedetti sulla veranda, davanti a me il mare e il suo richiamo sordo, sembrava una tentazione alla quale fosse difficile resistere ma ci riuscii, presi carta e penna mi chiusi sotto un lenzuolo fermando bene gli angoli perché non ci fossero spifferi e presi a scrivere l'incipit di un racconto che sembrava una storia demenziale, le parole presero a salire su feluche che tendevano al cielo ma il lenzuolo le tratteneva, io seguitai a scrivere come presa da febbrile necessità e non mi fermavo e non volevo farlo, il lenzuolo prese a colorarsi di parole, non le guardai e seguitai a scrivere, scrissi la storia più assurda che mai si potesse leggere, non so per quanto tempo rimasi lì, né seppi mai se qualcuno mi cercò nel frattempo, non seppi che fine fecero gli altri né se esisteva davvero un luogo simile, io mi ritrovai sotto la vela e sgusciai fuori appena in tempo trattenendo il fiato per non bere, attorno a me una tempesta di modesta entità ma sufficiente per farmi perdere il controllo della barca, una barca di salvataggio mi veniva incontro ed io stringevo fra le mani un manoscritto indenne dall'acqua, nessuno volle sapere perché il manoscritto era asciutto né io mi porsi la domanda. Era il libro più bello che mai avessi potuto scrivere e lo pubblicai solo per me, per i miei figli per i miei nipoti, avrei spiegato loro che una storia importante come questa va tenuta stretta e riletta solo sotto un lenzuolo al lume di una torcia. Il mare caricava altre onde pronte a ferire ogni imbarcazione si fosse trovata in mare aperto, io ero salva al porto nella stanza di un medico che mi guardava in fondo alle pupille, e mentre mi guardai nello specchio appeso alla parete, mi vidi la pelle un po' brillante e lucida, il medico non sapeva certo spiegarselo e non ne fece parola. Rileggo il mio libro ed ogni volta mi sento un'altra, sono passati molti anni da quell'avventura, mio nipote dice che è una storia magnifica e vorrebbe trovare il paese magico, io gli sorrido e spero in cuor mio che non sia mai esistito, intanto il buio scende silenzioso come una penna agitata.
© Tiziana Tius
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-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Organizzazione: Manuela Verbasi -Selezione test e presentazionei: Marika Gaspari -Testi: Autori di Rosso Venexiano -Editing e studio grafico: Anna De Vivo
La frase:"Il buio scende silenzioso come una penna agitata" è di Alfred De Pretto (9 anni)
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