La mia gonna rosso-scozzese mi attende li: adagiata sullo schienale della poltrona rossa, è pronta e in attesa di essere indossata di nuovo. Nonostante il casino che regna sopra di lei, non si scompone, affronta con orgoglio e fierezza le magliette e i pantaloni che le fanno guerra per il posto... Anche lei ascolta. Tende le orecchie verso le note: come spesso, ecco Einaudi scalpitare e bussare alla porta nei polpastrelli per far tornare a galla infinite parole, come i delfini tornano in superficie per prendere aria. E non so se in queste ultime volte sentirlo mi rallegra o se mi intristisce. Ascolto quelle note sapendo un futuro diverso, o per lo meno, sperandoci tanto, anche se per ora ho semplicemente fatto la scelta più grande: ho aperto la porta nuova in fondo al corridoio e permango ancora sull'uscio di questo vicolo. Tra poco varcherò quella soglia e allora chiuderò dietro di me la stanza, guardando indietro e sperando di vedere sicuramente qualche arcobaleno qualche spruzzo di luce che, abbagliandomi, mi ricordi le cose più belle di questi ultimi dodici anni... Chissà quali saranno i ricordi che si tatueranno più a fondo, chissà cosa dimenticherò, chissà cosa lascerò nel cuore e nella mente degli altri, di quegl'altri cui ho incrociato la vita, quelli con cui ho calpestato prati e appiattito spiagge, quelli con cui dividevo ore del giorno a scuola e risate nel tempo libero. Finisce lo spettacolo, finisce una parte di me: finisce, paradossalmente, ciò che mi ha cresciuto con amore, con disprezzo, con fatica e con pazienza. Il sipario si apre. Lentamente. Ondulando. Arricciando il velluto come per richiamare all’ordine gli spettatori. La sala si ammutolisce. L’unica voce seduta in fondo alla sala si azzittisce e lascia che sia il teatro a parlare. Una ad una, piccole luci blu accendono di freddo il palco. Una minuta figura di bianco vestita spunta da dietro le quinte e guardandosi attorno, per assicurarsi che non vi sia nessun altro, cammina timorosamente al centro della scena. Il suo volto è pallido quasi quanto i suoi vestiti, e benché i suoi occhi siano rossi dalla stanchezza, le labbra rosa-pallido ricordano ancora la vitalità dei fiori. Il sipario si chiude. Lentamente. Le onde del velluto si infrangono, si abbracciano. Si incatenano. Chiudo io il sipario, sono io quella figurina, sono attrice, sceneggiatrice, regista e aiutante. Ringrazio con un inchino, guardo avanti, osservo la platea e nel buio non distinguo più nessun viso, e probabilmente è meglio così: lascio l'insieme,
lascio tutto e non abbandono nessuno.
Rita Foldi [fallenfairy]
Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Editing: Manuela Verbasi, Emy Coratti
-Racconto di Rita Foldi [fallenfairy]
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