Angelo Barile, nasce ad Albisola Marina nel 1888 e muore a Savona nel 1967. Fu collaboratore di "Solaria" e uno dei fondatori della rivista genovese "Circoli", alla quale collaborò assiduamente anche con note critiche, raccolte poi nell'opera "Risonanze" (1967).
Di natura schiva, fu sottile distillatore, nei termini di uno stile fortemente simbolico ma non criptico, di un'esperienza esistenziale concresciuta nei luoghi e nei tempi della sua Liguria; in questa direzione toccò vertici di intensa e dolorosa religiosità. Le sue opere poetiche sono: "Primasera" (1933), "Quasi sereno" (1957), "Poesie" (1965). È anche autore di una raccolta di prose: "Al paese dei vasai" (1970).
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Primasera
Accompagnarmi sottobraccio al primo
che passa! Foresto: a me lo simulo fratello. Mi sporgo a ogni speranza più leggera |
Neve
Da noi la neve è festa
rara. Quando sorprende il paese che dorme ci si risveglia attoniti, in un chiaro ch’è d’altro cielo: una calma vacanza. Tra barche che fan siepe lungo la strada come vanno alla spiaggia, il mare fuma lontano – a tratti dagli orti uno sparo. Ecco un mattino in quel candore e vede Tanta neve è caduta |
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Osteria della bella brezza
Padre, finita la giornata uscivi
le belle sere a prendere l'aria di mare. Sedevi fuori dell'osteria che non c'è più; che aveva un nome così fresco, pinto in azzurro di lettere legger e sulla bianca maiolica. Hanno stinto il tempo ed il salino tante in me cose e non quel nome: spira dal tuo celeste ancora la bella brezza. Discendevi su l'ora Andavano, per te, sul mare grande. Veniva alla tua frasca Ora respiri la brezza infinita. |
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Lamento per la figlia del pescatore
Nel fresco giorno ha calcato
sì poca terra il tuo piede scalzo! Hai fatto questi due passi fra l’orlo del mare e la piana soglia iridata di salso della tua casa a terreno. Eri sul lembo del suolo Oh, sulla nostra marina |
A tarda sera
A tarda sera quando
prego pace ai miei morti, ad una ad una vi chiamo per nome, mie sensibili anime. In un lampo a ciascun nome mi risponde il viso desiderato, e il sangue vi ripalpita vi segna i suoi segreti. Odono il mio susurro anche gli anziani Ma questi, Ecco mi fate cenno, anime care, |
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Il peccato
Non l’udivamo respirare calmo
a noi da presso. Bocche giunte, il sangue in avvio per meandri l dolce abisso, non ne udivamo frangere la voce. Ci toccò ch’eravamo melodia svenata, grido che cade trafitto, e le complici bocche erano estuanti all’amarezza, tornavano labbra, tra poco dissonavano. Alla foce stagnò l’istante, il silenzio. Sciacquò in quello il mare, inazzurrò la stanza, batté alla sponda del nostro origliere: a noi notturni, maculati, infanzia novità della terra che respira, a noi nemico paradiso. L’anima coi cigli grevi si destò dei padri sulle rive fuggite, e la sentimmo ritremare. Cadevamo, due pietre, |
Uscire dalla vita come quando
Uscire dalla vita come quando
s’esce di chiesa in un finale d’organo: s’avventa l’anima a scale prodigiose, trova il piede sulla soglia un bianco che vi palpita: e la luce è nuova. Ma uscire non è dato in rapimento. |
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi - Testi e scelta delle poesie di Antonio Ragone e Sara Cristofori Enciclopedia Europea Garzanti
- Editing: Anna de Vivo
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