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Giorgio Caproni

scrittori 900 Giorgio Caproni
     
Biografia

Nasce il 7 Gennaio 1912 a Livorno. Il padre, Attilio, fa il ragioniere e la madre, Anna Picchi, la sarta.
Scopre precocemente la letteratura attraverso i libri del padre. A sette anni scova nella biblioteca paterna un’antologia dei Poeti delle Origini (i Siciliani, i Toscani) e ne rimane affascinato. Nello stesso periodo si dedica allo studio della Divina Commedia, dalla quale s’ispirò per Il seme del piangere e Il muro della terra.
Nel periodo della Prima Guerra Mondiale si trasferisce insieme alla madre e al fratello, Pierfrancesco, più vecchio di lui di due anni, in casa di una parente, Italia Bagni, mentre il padre è richiamato alle armi. Sono anni duri, sia per motivi economici sia per le nefandezze della guerra, che lasciano un profondo solco nella sensibilità del piccolo Giorgio. Finalmente, nel 1922, terminano le amarezze, prima con la nascita della sorellina Marcella, e, poi, con quello che sarà l’avvenimento più significativo nella vita di Giorgio Caproni: il trasferimento a Genova, che lui definirà “la mia vera città”.
Terminate le scuole medie, s’iscrive all’Istituto musicale “G. Verdi”, dove studia violino. A diciotto anni rinuncia definitivamente all’ambizione di diventare musicista e s’iscrive al Magistero di Torino, ma presto abbandona gli studi. Inizia in quegli anni a scrivere i primi versi poetici, ma non soddisfatto del risultato ottenuto strappa i fogli gettando via tutto. E’ il periodo degli incontri con i nuovi poeti dell’epoca: Montale, Ungaretti, Sbarbaro. Rimane colpito dalle pagine di Ossi di seppia, al punto di affermare: “… saranno per sempre parte del mio essere.
Nel 1931 decide, finalmente, d’inviare alcuni suoi componimenti poetici alla rivista genovese “Circolo”, ma il Direttore della testata, Adriano Grande, li rifiuta invitandolo alla pazienza, come a dire che la poesia non era adatta a lui. Due anni dopo, nel 1933, pubblica le sue prime poesie, Vespro e Prima luce, su due riviste letterarie e, a Sanremo, dove si trova per il servizio militare, coltiva alcune amicizie letterarie: Giorgio Bassani, Fidia Gambetti e Giovanni Battista Vicari. Comincia anche a collaborare con riviste e quotidiani pubblicando recensioni e critiche letterarie.
Nel 1935 inizia ad insegnare nelle elementari, prima a Rovegno e poi ad Arenzano. La morte della fidanzata, Olga Franzoni, nel 1936, dà lo spunto alla piccola raccolta poetica Come un’allegoria, pubblicata a Genova da Emiliano degli Orfini. La tragica scomparsa della ragazza, causata da setticemia, provoca una profonda tristezza in Caproni, come testimoniano molti suoi componimenti di quel periodo, tra cui vanno ricordati i Sonetti dell’anniversario e Il gelo della mattina.
Nel 1938, dopo la pubblicazione di Ballo a Fontanigorda, per l’editore Emiliano degli Orfini, sposa Lina Rettagliata; sempre nello stesso anno si trasferisce a Roma, ma vi resta solo quattro mesi.
L’anno seguente è richiamato alle armi e nel maggio del 1939 nasce la sua primogenita, Silvana. Allo scoppio della guerra è prima inviato sul fronte delle Alpi Marittime e poi in Veneto. Il 1943 è molto importante per Caproni perché vede una sua opera pubblicata da un curatore di rilevanza nazionale. Infatti, Cronistoria vede le stampe presso Vallecchi di Firenze, all’epoca editore fra i più noti. Ma anche i fatti della guerra hanno gran rilevanza per la vita del poeta che trascorre, dall’8 settembre alla Liberazione, diciannove mesi in Val Trebbia, in zona partigiana.
Nell’Ottobre del ’45 rientra a Roma, dove resterà fino al 1973 svolgendo l’attività di maestro elementare. Nella capitale conosce vari scrittori, tra cui Cassola, Fortini e Pratolini, ed ha rapporti con altri personaggi della cultura (Pasolini). La produzione di questo periodo è basata soprattutto sulla prosa e sulla pubblicazione di articoli su vari argomenti letterari e filosofici.
In quegli anni aderisce al Partito Socialista e nel 1948 partecipa a Varsavia al primo “Congresso mondiale degli intellettuali per la pace”.
Nel 1949 torna a Livorno alla ricerca della tomba dei nonni e riscopre l’amore per la sua città natia: “Scendo a Livorno e subito ne ho impressione rallegrante. Da quel momento amo la mia città, di cui non mi dicevo più…
Le attività letterarie di Caproni diventano frenetiche. Nel 1951 si dedica alla traduzione di Il tempo ritrovato di Proust, cui seguiranno altre versioni dal francese di molti classici d’oltralpe.
Stanze della funicolare
vince il Premio Viareggio nel 1952 e, dopo sette anni, nel 1959, pubblica Il passaggio di Enea. Sempre in quell’anno vince nuovamente il Premio Viareggio con Il seme del piangere.
Dal 1965 al 1975 pubblica: Congedo del viaggiatore cerimonioso e altre prosopopee, Il “Terzo libro” ed altre cose e Il muro della terra.
E’ del ’76 la pubblicazione della sua prima raccolta, Poesie; nel 1978 esce un volumetto di poesie intitolato Erba francese.
Dal 1980 al 1985 vengono pubblicate molte sue raccolte poetiche ad opera di vari editori. Nel 1985 il Comune di Genova gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel 1986 viene pubblicato Il conte di Kevenhuller.
Il 22 Gennaio 1990 muore a Roma.
L’anno dopo viene pubblicata postuma la raccolta poetica Res amissa.

L'ascensore
Quando andrò in paradiso
non voglio che una campana
lunga sappia di tegola
all'alba - d'acqua piovana.

Quando mi sarò deciso
d'andarci, in paradiso
ci andrò con l'ascensore
di Castelletto, nelle ore notturne,
rubando un poco
di tempo al mio riposo.
Ci andrò rubando (forse
di bocca) dei pezzettini
di pane ai miei due bambini.
Ma là sentirò alitare
la luce nera del mare
fra le mie ciglia, e... forse
(forse) sul belvedere
dove si sta in vestaglia,
chissà che fra la ragazzaglia
aizzata (fra le leggiadre
giovani in libera uscita
con cipria e odor di vita
viva) non riconosca
sotto un fanale mia madre.

Con lei mi metterò a guardare
le candide luci sul mare.
Staremo alla ringhiera
di ferro - saremo soli
e fidanzati, come
mai in tanti anni siam stati.
E quando le si farà a puntini,
al brivido della ringhiera,
la pelle lungo le braccia,
allora con la sua diaccia
spalla se n'andrà lontana:
la voce le si farà di cera
nel buio che la assottiglia,
dicendo "Giorgio, oh mio Giorgio
caro: tu hai una famiglia."

E io dovrò ridiscendere,
forse tornare a Roma.
Dovrò tornare a attendere
(forse) che una paloma
bianca da una canzone per radio,
sulla mia stanca
spalla si posi. E alfine
(alfine) dovrò riporre
la penna, chiuder la càntera:
"É festa", dire a Rina
e al maschio, e alla mia bambina.

E il cuore lo avrò di cenere
udendo quella campana,
udendo sapor di tegole,
l'inverno dell'acqua piovana.

Ma no! se mi sarò deciso
un giorno, pel paradiso
io prenderò l'ascensore
di Castelletto, nelle ore
notturne, rubando un poco
di tempo al mio riposo.

Ruberò anche una rosa
che poi, dolce mia sposa,
ti muterò in veleno
lasciandoti a pianterreno
mite per dirmi: "Ciao,
scrivimi qualche volta,"
mentre chiusa la porta
e allentatosi il freno
un brivido il vetro ha scosso.

E allora sarò commosso
fino a rompermi il cuore:
io sentirò crollare
sui tegoli le mie più amare
lacrime, e dirò "Chi suona,
chi suona questa campana
d'acqua che lava altr'acqua
piovana e non mi perdona?"

E mentre, stando a terreno,
mite tu dirai: "Ciao, scrivi,"
ancora scuotendo il freno
un poco i vetri, tra i vivi
viva col tuo fazzoletto
timida a sospirare
io ti vedrò restare
sola sopra la terra:

proprio come il giorno stesso
che ti lasciai per la guerra.

Spiaggia di sera
Così sbiadito a quest'ora
lo sguardo del mare,
che pare negli occhi
(macchie d'indaco appena
celesti)
del bagnino che tira in secco
le barche.

Come una randa cade
l'ultimo lembo di sole.

Di tante risa di donne,
un pigro schiumare
bianco sull'alghe, e un fresco
vento che sala il viso
rimane.

Per lei
Per lei voglio rime chiare,
usuali: in -are.
Rime magari vietate,
ma aperte: ventilate.
Rime coi suoni fini
(di mare) dei suoi orecchini.
O che abbiano, coralline,
le tinte delle sue collanine.
Rime che a distanza
(Annina era cosí schietta)
conservino l'eleganza
povera, ma altrettanto netta.
Rime che non siano labili,
anche se orecchiabili.
Rime non crepuscolari,
ma verdi, elementari.
Stornello
Mia Genova difesa e proprietaria.
Ardesia mia. Arenaria.

Le case così salde nei colori
a fresco in piena aria,
è dalle tue case che invano impara,

sospese nella brezza
salina, una fermezza
la mia vita precaria.

Genova mia di sasso. Iride. Aria.

Clausola
Tanto per non finire:
la morte, già così allegra a viverla,
ora la dovrei morire?

(Non me la sento, d'ucciderla)

Furto
Hanno rubato Dio.

Il cielo è vuoto.

Il ladro non è ancora stato
(non lo sarà mai) arrestato.

Borgoratti
Anche le vampe fiorite
ai balconi di questo paese,
labile memoria ormai
dimentica la sera.

Come un'allegoria,
una fanciulla appare
sulla porta dell'osteria.
Alle sue spalle è un vociare
confuso d'uomini – e l'aspro
odor del vino.

Squarcio
Viltà d'ogni teorema.

Sapere cos'è il bicchiere.

Disperatamente sapere
che cosa non è il bicchiere,
le disperate sere
quando (la mano trema,
trema) nel patema

è impossibile bere.

     
     
- Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
- Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
- Testi dal web e scelta delle poesie di Sara Cristofori
 

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