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Crobiotermi

Lui ritiene che dedicarle poesie in fondo sia superfluo

Spesso va a sfiorarle il cuore,
mentre dorme
con tocco leggero.
Lo fa di nascosto
senza farsi notare
e nel silenzio gli si corica accanto
perchè il suo battito
può trasformargli il tempo.

 

È così che può essere presente
quando lei è convinta di esser sola.

 

Lui non sa se è amore,
non se lo chiede
e non lo vuole sapere.
E' sufficiente che i suoi occhi ridano
quando la incontra.

 

Lui è lì
all'ombra e in disparte
perché il cuore di lei è in possesso di un altro
perché il cuore di un altro è in possesso di lei.
Lui è lì
per non disturbare,
felice di ricevere i pochi spicchi avanzati.
Lui rimane lì, in attesa
nemmeno lui lo sa,
di che cosa.

Le foglie

Silenzio.
Ora rotolano secche e rigide
le mie foglie,
che nel tempo
s'accartocciarono alle ore,
rotolano ai miei piedi
succhiate, declorofilizzate,
da me
convinto che ci fosse un buon motivo.

 

Silenzio.
Nel silenzio
posso udire
il rumore di altre
innumerevoli foglie
verdi e fruscianti
che renderò secche e sterili
convinto che ci sarà un buon motivo.

 

Silenzio. Proprio ora
che avrei voluto credere
-chissà perché-
di poterle raccoglierle da terra
-patetico-
e rimetterle a posto
tutte
ad una ad una
su ogni -tuo-ramo.

 

Silenzio. Proprio ora
che mi sono fermato un attimo
per sentirne il rumore
verde
prima di un altro tempo
che sarà fatto di altre foglie
tante quante le ore
e io, nonostante tutto,
mi domanderò ancora
cosa dovrò farne.

Litos che ama le nuvole

Litos amava le nuvole perchè erano zucchero filato. Le amava perchè erano bianche e perfette, soffici e leggere e si muovevano libere nell'aria. Per raggiungerle si serviva di una mongolfiera tessuta con avanzi di tempo e fili di desiderio. Ogni notte, di nascosto, la gonfiava pazientemente con il suo respiro. Per fare ciò occorrevano molti giorni ma quando il pallone era pronto, egli poteva finalmente salire nel cielo. Litos poteva sostare solo per breve tempo a quelle altitudini poi il pallone iniziava a scendere lentamente verso terra e non faceva in tempo ad atterrare, che lui già desiderava di ritornare un'altra volta lassù perchè era lì, con le nuvole, che si sentiva felice. Quindi si rimetteva di nuovo pazientemente al lavoro, soffiando per notti intere fino a quando la mongolfiera non era pronta per un nuovo viaggio. Egli si sentiva diverso da tutti gli altri. Possedeva una casa, un campo, non gli mancava nulla ma l'unico posto dove si sentiva veramente se stesso era lassù, con le nuvole e nel cielo. Una notte lo sorpresero mentre era intento come di consueto a gonfiare il suo pallone. Gli venne spiegato che un uomo non si può innamorare delle nuvole, che loro non si sposano con gli uomini ma con il cielo e le stelle. Gli venne spiegato ciò che era giusto e ciò che era ingiusto, ciò che era naturale e innaturale, quali fossero i valori, le cose in cui credere e quelle a cui volere bene. Litos disse di aver capito. Smise di soffiare e tornò a casa ma non trascorse molto tempo e ben presto ritornò a guardare verso il cielo e a sognare le sue nuvole. C'è una grossa differenza fra lo stare bene e l'essere felici, pensò. Così la notte, tornò a gonfiare la sua mongolfiera. Se proprio doveva convincersi a non viaggiare più nel cielo, a rimanere dove gli dicevano che era giusto stare, voleva compiere un ultimo viaggio, ed essere per un ultima volta felice. Così quando finì di nuovo il suo paziente lavoro , Litos partì. Le case sembravano tanto piccole viste così dall'alto. Da lassù, mentre la mongolfiera si avvicinava alle soffici e amate nuvole, tutto assumeva una visuale diversa, una nuova prospettiva. Il pallone lentamente consumava l'aria avvicinandosi ai punti più alti del cielo. Quando fu veramente vicino alle candide formazioni, quando finalmente vi entrò, Litos pianse, come sempre, ma quel giorno le lacrime non erano di sale ma piccole gocce di zucchero. Lo attesero per tutta la notte laggiù, sulla terra e poi, al mattino, videro la sua mongolfiera sgonfia e accasciata su un fianco in mezzo a un campo di granturco. Era vuota. Lassù le nuvole si erano già diradate, lasciando il cielo dell'azzurro più terso.

Dove i Petali Vanno a Finire

Ogni sera guardavo i petali galleggiare nel greto del fiume. La corrente li portava più a valle e io amavo smarrire i pensieri immaginando dove sarebbero andati a finire. Erano centinaia di silenziose lingue rosse e provenivano dal campo di papaveri più a nord. Punteggiavano l’alveo con disegni inventati dal caso, come se l’acqua fosse stata contaminata dal colore, come se il fiume avesse l’acne o il morbillo profumato. Un mattino, preso dalla curiosità, decisi salire fino al campo e nell’avvicinarmi a esso il profumo già a notevole distanza, mi inebriò. Mastro Papavero sembrava fosse in mia attesa. Era altissimo, più o meno sei volte la mia altezzae possedeva solamente una lunghissima gamba ( perlopiù verde e storta). Aveva le guance rosse come il tramonto estivo e una decina di capelli biondi che gli piovevano sul viso a corolla. “E’ il vento che strappa i petali” mi spiegò “ ci sono dei giorni che soffia talmente forte da riuscire persino a curvarmi la gamba.” disse con una certa ammirazione. Erano così delicati quei fiori, pensai, sembravano una chioma di finissimi capelli rossi sulla superficie della terra. “Il vento non si cura di loro” continuò Mastro Papavero “ a dir la verità il vento non si cura proprio di niente. E’ abituato a pensare a se stesso e non a ciò che provoca con il suo passaggio.” Mentre Mastro Papavero parlava, una brezza, docile come una carezza materna, creava tenue onde colorate, trasformando il campo di fiori in un mare in dolce agitazione intorno a noi. Era magnifico. Non riuscivo a capire come un così delicato tocco potesse trasformarsi in violenza. Non comprendevo come taluni fiori potessero perdere i petali mentre altri invece, a dispetto di tutto, rimanessero integri o tutt'al più piegati su se stessi. In fondo quei papaveri sembravano tutti uguali. “ Altrochè uguali! “ Esclamò Mastro Papavero “ Sono tutti diversi! Qui da lontano, sembra tutto simile ma devi entrare nel campo per notare la differenza! Una volta all’interno, allora sì ti accorgerai che ogni fiore è diverso dall’altro.” Così, sotto il suo vigile sguardo, mi addentrai in quel mare colorato facendomi rapire dal profumo e dal movimento. Ben presto mi persi fra gambi e corolle, nel fruscìo delle onde che sembravano dirmi le cose più semplici e anche quelle che l’uomo non sa. Li accarezzavo quei fiori e a tratti credetti che avrei potuto parlargli. Lentamente la brezza si fece voce tesa. Quel soffio così gentile d’improvviso mutò in un fischio rigido e tagliente fino a soffocare del tutto il bisbiglio dei fiori. Fu così che vidi le differenze. In breve tempo la spinta dell’aria divenne talmente forte che dovetti tenermi saldo al terreno, evitando di aggrapparmi agli steli più forti, già abbastanza provati dalla furia del vento. Le onde dei fiori divennero violenti marosi che a tratti inghiottivano l’orizzonte disorientandomi. Ben presto non riuscii più a scorgere la sagoma di Mastro Papavero. Si levarono nell’aria i petali e poi altri ancora, sempre di più, in rapide e rosse volute e ben presto io con loro , in volo, nel turbine incontrollato sopra il mare dei papaveri. Da lassù, erano panorami capovolti e velocità, nuvole verdi e montagne a testa in giù e il cielo, quel cielo, non era più tale. Più avanti, a valle, riconobbi il punto dove scorreva il fiume. Di lì a poco mi sarei adagiato sulle sue acque lasciandomi trasportare insieme agli altri. Di lì a poco, finalmente, avrei scoperto dove i petali vanno a finire.

L'uccello la Farfalla e il Caimano

Sono arrabbiato ma non faccio paura a nessuno. Singolare situazione: la gente passa e getta una sguardo al muretto dove sono seduto, ho il muso da iena e lo sguardo da antropofago eppure, non incuto alcun timore. Dovrebbero essere terrorizzati, intuire la sprigionante violenza, girare alla larga ostentando sottomissione, oppure emettere richiami d’allarme come fanno gli scimpanzé quando avvertono gli impala della presenza del predatore. Invece, nulla. Passeggiano e mi guardano come se io fossi del cibo e loro fossero sazi. Dopo qualche minuto, addirittura, un anziano si siede accanto a me chiedendo il permesso. Glielo accordo con un grugnito da triceratopo. Non spavento nemmeno i vecchi, avessi almeno dei canini più sviluppati…Accavallo immediatamente la gamba dal lato opposto, un simbolo di chiusura verso il prossimo. Che non attacchi discorso il vecchio, che non ci provi nemmeno. Il ricordo di lei nel frattempo mi assale, non se ne va, come il suo odore. La sua immagine non mi lascia in pace mentre penso che devo forzatamente tornare a casa da una moglie obbligata. Lei invece, come amante, finisce per svalutarsi ingiustamente in episodio. Un episodio che non mi basta più. Sono arrabbiato, decisamente arrabbiato Il sole splende, il vecchio sospira e guarda il cielo, sicuramente fra un po’ parlerà del meteo e sarò costretto a essere scortese. Sorride ma non ricambio. Due uccelli tubano senza vergogna, una farfalla volando sopra di loro, inconsapevolmente li incorona. Davanti a me in mezzo a un fiume che scorre troppo lento, scorgo un tronco semisommerso, passa così piano che sembra un caimano. Ha due nodi sul dorso come occhi galleggianti nel Rio delle Amazzoni. Mi guardo la pelle ma purtroppo non possiedo le scaglie. Voglio essere un caimano.

 

Detto fatto. Ora sono il re incontrastato del fiume, un ‘Caiman Crocodilus’ come dio comanda, nessuno mi rompe le balle, anzi le rompo io. Faccio scappare i ranocchi, dormo gran parte del giorno, mi sveglio quando ho fame e giusto quella volta all’anno, copulo. A parte le caimane, tutti mi temono, persino i piranha e i tagliatori di teste. Spinto da atavico quanto misterioso bisogno, mi sono accoppiato con una caimana della mia misura, condividiamo gli stessi interessi ovvero cibarsi e dormire. E’ difficile nella vita trovare una compagna con la quale condividere gli stessi interessi, quindi posso ritenermi un caimano fortunato. Eppure oggi…eppure...l’aver mangiato un armadillo intero mi ha provocato grande affanno, ma non è quello che mi fa lacrimare. Eppure...eppure…l’anaconda stanotte, mentre dormivamo, ci ha fregato tre delle nostre cinque uova, ma non è certo per quello che piango. Il fatto è che nella vita non sono soddisfatto e il fiume mi sta già stretto. Preferirei esser scuoiato e diventar borsetta o scarpa di lusso, girare ai piedi di qualcuno calpestando un sacco di locali chic, oppure vorrei poter giocare in amicizia con le torpedini, trasportare da una sponda all’altra del fiume gli animali che hanno paura dei caimani. Mi piacerebbe almeno per una volta saper ridere e con tutti i denti che ho non sarebbe male. Invece piango guardando la caimana. E’ lì che dorme a bocca aperta, con la coda di lato e il respiro da panza piena. Quando si sveglierà si butterà nell’acqua marrone, mi guarderà con lo sguardo marrone e per tutto il giorno avrò in mente solo cose marroni. Nulla di nuovo quindi. Nemmeno da essere umano nel corpo di un caimano. Tanto vale tornare indietro, se sapessi come si fa.

 

L’uccello si sbatte assai. L’uccella le ha promesso un sacco di uova. Per far sì che l’uccella produca le uova ci vuole un nido. Una volta fatto il nido, l’uccella potrà fare un sacco di uova. L’uccello quindi, si sbatte a cercare rametti per il nido. Mentre li cerca, pensa che per far sì che l’uccella produca un sacco di uova, bisogna volarci sopra e penetrarla. A questo pensiero l’uccello accelera e accelera ancora. L’uccella intanto non molla e attende paziente che il nido sia compiuto. L’uccello fa due conti: “un mese in giro a cercare rametti, il tutto per volare sopra l’uccella per soli tre secondi netti?”. Al pensiero se tutto ciò conviene, l’uccello si distrae portando rametti più leggeri che una volta depositati, il vento porta via. L’uccella s’arrabbia. Lui chiede perdono e torna al lavoro ma un giorno, cercando oltre l’ansa del fiume, conosce un’uccella più esperta e meno implume. “Ma cosa fatichi a fare bell’uccello… io non ti chiedo di costruire nidi e uova da covare. Inoltre non per tre, ma per ben sei secondi su di me ti farò volare”. L’uccello quindi ricalcola le priorità e le convenienze. Mentre l’uccella pretende il nido, lui finisce per tenere le zampe su due tronchi ovvero, con pause mirate, vola sulla nuova uccella per sei secondi ogni due viaggi. Finalmente il nido si compie, l’uccella depone le uova e lui senza la scusa dei rametti, non sa più come fare per andare da lei, quella dei sei secondi sei. Un giorno l’uccella chiede il cambio alla cova e lui con l’ala d’un tratto distratta, danneggia del nido il contorno, fingendo un sincero quanto reale dispiacere. “ Che vi siano da prender dei nuovi rametti?” chiede l’uccello col pensiero di lei e dei sei secondi sei. “ Non ti struggere mio caro” risponde l’uccella “ non ti scomodare. Vado io, tu stai qui, al comodo e a covare.”

 

La storia della farfalla che beve le lacrime di caimano:
Questa è la storia di un umano che piange lacrime da caimano. Sono lacrime d’insoddisfazione, di nostalgico ricordo e della paura di non riuscire più a tornare indietro. Lui non sa che le lacrime di un caimano sono ricche di proteine e sali minerali e che sono l’alimentazione principale dell’eliconide giulia, la farfalla più longeva fra le farfalle. Grazie a questo tipo di dieta, essa riesce a vivere fino a sei mesi, età invidiabile per una farfalla. Ci sarebbero tutti i presupposti per sentirsi importanti eppure lui, nonostante tutto piange. Si dispera al ricordo di lei, della sua lontananza e per il tempo clandestino passato insieme, sempre troppo breve per esser considerato pieno. Mentre piange un’eliconide giulia gli si posa sull’angolo di un occhio e comincia a succhiargli una lacrima. “Vieni dal di là del fiume?” domanda il caimano “ Mi porti via con te, che me ne voglio andare?” “ Non possiedi le zampe per fuggire da te?” “ Sì, ne ho ben quattro” risponde il caimano “ ma non servono a nulla senza la libertà di muoverle. Un rapimento sarebbe più giustificato…” “ Ma non hai nemmeno le ali…” dice lei succhiandogli un’altra lacrima “ come fai a venirmi appresso?” “ Alzami di peso! Provaci, ti prego, così potrò fuggire!” La farfalla gli si posa sulla nuca e con grande sforzo prova a sollevarlo, ma invano. “ Ti prego, riprova” la supplica il caimano “ riprovaci, perché qui, non voglio più restare.” Lei per farlo contento ci prova ancora. Lo tira con forza sbattendo le ali. Ci prova inutilmente per tutto il giorno finché giunge la sera. “ Mi spiace signor caimano” gli dice stremata “ la notte incombe, io sono stanca ed è l’ora di tornare.” Così mentre lei se ne va, dentro a un’altra notte triste lui s’addormenta. L’indomani avrà nuove lacrime da regalare, la farfalla tornerà, e così ci potrà riprovare.

 

L’uccello intanto, vive del ricordo di lei e dei sei secondi sei. Mentre l’uccella è a far spesa al discount dei vermi lui è bloccato lì, nell’alcova e con l’obbligo della cova. Si arrovella inutilmente ingegnando sterili stratagemmi di fuga. Ci sarà pure un modo di andarsene senza lasciare le uova alla mercé di clima e predatori! “ Ma è possibile che un uccello sia condannato a covare? E sì che in natura il campionario di eccezioni è vasto. Ci sono pesci che volano, uccelli con le ali ma che non volano… esisterà pure un uccello che non covi e che non debba sedersi per tutta la giornata su delle uova…”  Si rode l’uccello.

 

Sonnecchio sul pelo dell’acqua. Penso a mia moglie nel mondo degli uomini e al sapore che avrebbe se fosse azzannata da un caimano. Mi struggo per non aver avuto l’accortezza di informarmi sui contro-incantesimi, quelli per potersi ritrasformare in un umano. Mi sto abituando all’idea di dover trascorrere il resto dei miei giorni qui, sul rio delle Amazzoni, assieme all’avatar caimana. Potrei tentare di tornare a casa in queste vesti, scodando sull’uscio, con la posta fra le mascelle… Sicuramente rivitalizzerebbe il rapporto, oppure mia moglie fuggirebbe terrorizzata e io avrei finalmente una scusa per scappare da lei, lei che mi amerebbe anche con le sembianze da rettile. Così distratto dalle mille possibilità, mi si posa sulla schiena un uccello. Ha l’aria immensamente soddisfatta. Dice di aver scoperto che in natura esiste un pennuto che non cova le uova, e il suo nome è otarda. A dir la verità a me dell’otarda non interessa molto e poi, non capisco cosa voglia dire. Mi spiega di aver creato sopra il nido un cumulo di terriccio e foglie e poi di avervi praticato dei fori in modo che la temperatura all’interno rimanga sempre costante. In questo modo le uova si covano da sole. Io continuo a non capire ma lui appare molto fiero di sé. Mi chiede perché non sono aggressivo e gli spiego che in realtà non sono un vero rettile ma un umano dentro al corpo di un caimano, sono in fuga dalla vita e assillato dal ricordo di lei, un’irraggiungibile lei. “Anch’io sono in fuga” mi rivela l’uccello “ ho mollato uova e uccella per scappare appena dietro l’ansa del fiume dove anche per me c’è una lei, però, da sei secondi sei.” “Vengo anch’io con te!” Dico entusiasta al mio nuovo amico “ Ma sei secondi per un uccello sono una gran cifra, rimani pure in groppa a me, che risparmi di volare.” Così insieme, un caimano con in groppa un uccello, partiamo verso il fondo del fiume. “Chissà se dietro l’ansa ci sarà un’altra ansa e poi un ‘altra ancora.” Gli chiedo dubbioso “ Chissà se invece del sogno, del ricordo o della speranza troverò proprio lei…” “ Chissà…” mi risponde l’uccello “ Chissà… Ma in fondo cosa ce ne importa, tanto dopo ritorniamo … O no?...”

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Crobiotermi primo classificato al concorso Il ricordo di te - Concorso in 20 giorni - sezione Racconti e prosa - con 336-85569464
Progettazione grafica e web editing: Anna De Vivo

 

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a cura di Ezio Falcomer

♦Compagnia di teatro sul web Accademia dei Sensi♦

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