Scritto da © amara - Mar, 27/12/2011 - 23:23
Non sono un'esperta d'arte, ma la amo visceralmente e quello che vedete qui è il dipinto che amo forse di più: 'Giuditta e Oloferne' del Caravaggio. Quando lo vidi la prima volta dal 'vivo', nella mia città, per me fu una vera folgorazione; non so esattamente cosa si provi nella sindrome di Stendhal, ma credo di aver provato qualcosa di molto simile, non riuscivo più a staccarmi da lui ero 'dentro' e sentivo tutto il disappunto di Giuditta nel dover compiere lei, proprio lei, quest'atto per cui non sente alcun rimorso, ma che davvero la infastidisce. Il suo respiro profumato... trattenuto nel gesto e poi.. l'odore acre del sangue di Oloferne.. che non s'aspettava.. no.. non s'aspettava davvero... e l'anziana.. che non può più essere attrice e attende da lei la testa.
L'ho rivisto, dopo qualche anno, a Roma, con l'emozione con cui si rivede un amante che ci ha lasciato il suo segno.. e nulla era cambiato, lo amavo ancora e ancora ho rivisto in quell'immagine ciò che avevo già sentito e che non corrisponde sicuramente alla storia, ma che è la mia percezione, assolutamente personale: è un bell'uomo questo Oloferne e bellissima e giovane e sensuale questa Giuditta, col suo musetto dispiaciuto e un po' schifato pare quasi l'emblema del ciò che 'si deve' ma non ci piace e del ciò che 'non si deve' e ci piace molto, così la mia fantasia si convince che avrebbe voluto tutt'altro.. (so che la storia non dice questo.. ma lei è la MIA Giuditta), però il dovere preme, la società vuole e ci aspetta al varco e così si uccide ciò che siamo e vogliamo, per non deludere, per essere quel che ci si aspetta da noi.
Si.. probabilmente questo non è che il deliquio a cui mi conduce questa tela, ma è un delirare sublime tra colori di sangue e carne...
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