Tra tutti i capolavori del Caravaggio, trovo che questo dipinto possa essere posto come più alta testimonianza della poetica realista dell'artista, sebbene ritragga un soggetto mitologico.
Caravaggio soleva ritrarre i suoi soggetti utilizzando uno specchio; egli non ritraeva mai direttamente dall'originale, bensì si rifaceva ad un'immagine speculare e oggettiva, fredda e razionale, dalla quale non potessero trasudare emozioni le quali avrebbero potuto distogliere l'attenzione dal soggetto in sè e per sè.
Ritraendo il volto della Medusa su un supporto come uno scudo bronzeo, Caravaggio non fa altro che riprodurre la sua stessa tecnica, non usa, stavolta, come supporto una tela, un ulteriore mezzo di astrazione figurativa, bensì utilizza lo strumento stesso che pose fine alla vita di Medusa e nella quale ella si specchiò per l'ultima volta: lo scudo, appunto.
Caravaggio ha fermato in quella superficie bronzea, l'ultimo urlo della malcapitata e lo ha reso vivo ed eterno, reale.
La vicenda mitologica si fa realtà, lo scudo diventa pellicola fotografica che documenta l'accaduto, che lo rende palpabile ed estremamente violento.
Trovandoci di fronte a quello scudo, Medusa diventiamo noi. Siamo noi che ci stiamo specchiando su quel supporto bronzeo e ricurvo, non stiamo più assistendo alla sua riproduzione, ma siamo di fronte al fatto, siamo il fatto.
È come un portale, come una reliquia che rende realtà il mito.
Caravaggio non solo ci mostra la sintesi della sua arte, mostrando lo specchio e dipingendo sullo specchio, ma così facendo ci restituisce la crudezza della realtà e la violenza con cui essa si esprime, senza mezzi termini, senza tele che possano attutirne l'effetto.
Caravaggio, «Medusa»
Alexis
19.09.2009
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