Quarant’anni dopo - Rendel | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Quarant’anni dopo - Rendel

Quarant’anni dopo: nondimeno ogni cosa, ogni singola pietra o granello di polvere di quel posto dimenticato dalla città stessa cui apparteneva pareva uguale, come risparmiato dall’impietosa e creativa mano del tempo. Ci tornò in preda alla nostalgia di quelli che la gente chiama “gli anni migliori della nostra vita”, rapito dalla voglia di ingannare sé stesso e il mondo, bisognoso di rintanarsi nello stretto cantuccio offerto da ricordi strappati all’oblio per puro caso, eppur ai suoi occhi ora così cari. Si trovava, a dirla tutta, in uno spiazzo arido di terra e pietra il quale aveva la singolare capacità di poter offrire e la vista del carcere, dritto davanti a lui, con le sue finestre crudelmente sbarrate a ricordare ogni giorno ai detenuti la loro pena e una grandiosa vista su parte della sua città, fatta di falsi lussi e abbondante ipocrisia. Inoltre la volante della Finanza mai s’era vista da quelle parti, così per i tre ventenni d’allora quel luogo era stato teatro di tranquille riflessioni post hashish, stimolate dall’ambiente che mai mancava di offrire spunti, e certamente anche dai loro personali affari, com’è giusto e ovvio che sia. Spento il motore non restò che il silenzio a tenergli compagnia, e lui l’accettò di buon grado, immerso nel buio immobile della notte. Aprì il pacchetto di sigarette e prese lo spinello che, già pronto, pareva aspettarlo. Sorrise. Lo accese. La prima boccata portò veleno nei suoi polmoni e, forse per scusarsi, una miriade di ricordi e sensazioni e percezioni indistinte, come un turbine dove tutto è confuso, ma estremamente potente. Dei suoi anni migliori gli sovvenne tutto, nel bene e nel male: il tarlo dei rimpianti e dei rimorsi è duro a morire. La seconda boccata, forse perché di quella roba non ne toccava da un buon ventennio, portò già con sé gli effetti tipici della resina: la testa leggera andò a poggiarsi sul sedile nello stesso momento in cui lui sputava il fumo. Sorrise di nuovo. Vedeva con estrema chiarezza, quasi gli fosse dato di tornare indietro nel tempo, la ragazza che aveva sollevato tante riflessioni sul valore della vita, della libertà e della famiglia. Era lì davanti a lui e ai suoi amici. Loro stavano fumando e ridendo, lei urlava: teneva il bambino in equilibrio sull’avambraccio sinistro, il vento non osava infrangere l’incanto dei capelli neri, probabilmente tinti. Il suo interlocutore, parecchi metri avanti –cento, duecento, non si era mai posto il problema- non aveva un volto, poco più d’una macchia di colore rosa pallido resa ancor più incerta, se possibile, dalle diverse sbarre che la precedevano, nere e robuste. Gli urlava cose riguardo al bambino, all’avvocato; s’informava circa le sue condizioni, sinceramente affranta, elargiva promesse di libertà con una generosità che muoveva a compassione. Famiglie interrotte, chissà per cosa. Il ricordo sbiadì. Scosse la testa, e gettò via l’ultimo quarto di spinello: tutti quegli anni passati senza toccarne uno lo avevano reso più sensibile agli effetti, e l’ultima cosa di cui aveva voglia in quel momento era di passare una brutta mezz’ora in preda a conati e capogiri. Ai suoi occhi risultava preferibile, senza ombra di dubbio alcuna, godersi quegli istanti di mendace benessere, lo sguardo saldamente piantato sull’edificio che accoglieva chissà quante centinaia di vite momentaneamente –o per sempre, pensò, e un sorriso amaro conferì nuova espressione al volto- in pausa. Quante ragazze, quanti bambini, madri padri e mariti erano stati lì, durante tutti quegli anni? Quanti altri avevano assistito a scene così penose da faticare per non distogliervi l’attenzione? I ventenni di oggi si interrogavano ancora sul senso dei valori in mezzo al quale erano presumibilmente cresciuti, guardando lo strazio d’una madre che reggendo il figlio comunicava con il compagno, dall’altra parte di un oceano troppo profondo per essere attraversato? Aprì gli occhi, improvvisamente. Non era così che doveva andare, e la sua fuga risultava, ora, irrimediabilmente compromessa. Dei suoi anni migliori intendeva ritrovare la spensieratezza, non il sentimentalismo o le riflessioni. Riflesso nello specchietto retrovisore vide arrivare una Punto bianca. Di rimando, quasi avesse colto il suo sguardo, questa si fermò, attese pochi istanti indi fece marcia indietro, diretta in posti più tranquilli. Lui scrollò le spalle, sbuffando. Poi, a interrompere quel momento assolutamente insignificante, una voce proveniente da un altoparlante interno alla macchina stessa lo informò del fatto che ne avevano trovati tre, quartiere San Michele, e chiedevano rinforzi. Lui non era poi così lontano. Occhi arrossati, accese il motore. Anche oggi avrebbe contribuito a mettere in pausa altre vite, pensò, ma solo per un momento. Informò chi di dovere che stava arrivando.

Rendel


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Editing: Alexis, Livia Aversa
-Immagini tratte dal Web
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