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Il Murenaio - Ponza all' epoca dell' imperatore Tiberio - Sergio Maffucci

La piccola nave oneraria ha appena lasciato il porto di Ostia per dirigersi verso l’isola di Ponza.
Heraclides, il gubernator (capitano/timoniere), di origine greca e con una grande esperienza alle spalle, dopo aver impartito gli ordini a Rufinus il pansarius (secondo e nostromo) per raggiungere il mare aperto, sale a prua per valutare lo stato del mare e “fiutare” il vento.
“Il mare è calmo ed il vento, anche se debole, soffia a nostro favore, se tutto procede così arriveremo a Ponza all’ora undecima!”
“Sì è così, Heraclides.” Conferma soddisfatto Rufinus.
“Hai controllato bene la zavorra, Rufinus?” Gli dice con tono di comando, anche se conosce bene le qualità del suo nostromo, ma gli piace ribadire, anche nei compiti abituali, la sua prerogativa di comandante della nave.
“Sì, la zavorra è ben distribuita e salda allo scafo.”
“Bene, bravo!” Gli risponde con sussiego.

Dopo tanti anni di mare e di esperienza anche sulle naves longae sulle quali ha combattuto in diverse battaglie, vuol dimostrare che solo l’età e la famiglia cui deve provvedere l’hanno indotto a comandare navi mercantili, ma che l’autorità e la professionalità non sono mutate.
Spesso, durante le navigazioni lunghe e le bonacce, si compiace di raccontare ai suoi marinai le sue “gesta” d’intrepido guerriero del mare, anche se loro, ormai, conoscono quasi a memoria tutti i fatti narrati e lo sopportano perché, in fondo, è un brav’uomo ed un ottimo marinaio e navigare con lui, li fa sentire più sicuri che con altri capitani.
Grazie al suo carattere ed alle sue conoscenze, riesce sempre a trovare dei buoni clienti che si affidano a lui e difficilmente stanno lungo tempo senza un ingaggio.

“Anche questa volta torniamo a Ponza capitano!”
“Sì, andiamo a caricare alcune derrate alimentari ed anche questa volta un bel numero di murene, con la differenza, però, che il nostro committente ha chiesto che dobbiamo portarle vive, perché i suoi clienti, personaggi molto importanti, intendono fare bella figura durante i loro banchetti così da mostrarle ancora vitali per far scegliere ai commensali quale cucinare. Roba da ricchi caro mio!”
“Eh già!” Fa Rufinus. “Come le trasportiamo tante murene vive?”
“Epicycles, il murenaio è già stato avvertito e troverà la soluzione adatta. Coloro cui sono indirizzate, sono persone cui Pilato, il rappresentante di Roma a Ponza, tiene molto per la sua carriera futura e già il fatto di aver debellato la rivolta degli abitanti dell’isola, un anno fa, lo pone in ottima luce, nella quale lui intende brillare sempre di più!”

(Si dice che per questo motivo gli fu attribuito l’appellativo di Ponzio e che fu scelto, dopo pochi anni, come governatore della Palestina per sedare là i moti turbolenti dei suoi abitanti e degli Zeloti in particolare. Incarico, durante il quale, come tutti sappiamo, si consegnò alla storia per il suo comportamento nei confronti di Gesù Nazzareno.)

“Eh la politica si fa pure con i pesci!” Afferma ironicamente Rufinus.
“Vero e noi ci guadagniamo da vivere anche per questo, quindi, diamoci da fare issa anche il supparum, così arriviamo per tempo, s’inizia a caricare, passiamo la notte a Ponza e domattina, molto presto, imbarchiamo le murene e torniamo ad Ostia!”
“Agli ordini capitano!”
Rufinus grida alla ciurma gli ordini ricevuti e già pensa alla cena ed al buon vino di Ponza addolcito con il miele.


Dopo circa sei ore giungono in vista del porticciolo di Ponza, transitano dinanzi al Murenaio che è a poche centinaia di metri prima del porto naturale.
Ormeggiano e quasi subito cominciano a caricare le merci che già sono pronte.
Le operazioni si prolungano fino al tramonto che, complice la bella giornata di settembre, illumina con i suoi raggi arancioni la splendida struttura naturale dell’isola esaltando la gamma affascinante dei colori delle sue rocce d’origine vulcanica.
Ai marinai desiderosi di fare in fretta, questo spettacolo non interessa, affascina invece il capitano Heraclides che progredendo con l’età ha imparato ad apprezzare i grandi spettacoli della natura.

La notte scorre tranquilla.
Le prime luci dell’alba illuminano la nave sulla quale i marinai sono già impegnati nelle loro incombenze.
“Heraclides, Heraclides” Invoca ad alta voce una persona dal molo. “Sono Epicydes, stai ancora dormendo vecchio fannullone?”
“No Epicydes, su questa nave non dorme nessuno, non siamo commercianti…noi!”
“Bene, credevo che non fossi ancora pronto.” Replica Epicydes, senza raccogliere la provocazione.

Epicydes è un liberto che ha saputo crearsi una posizione economica rispettabile grazie ai suoi maneggi sempre al limite delle leggi ed alla sua mancanza di scrupoli. E’ un uomo arrogante e pericoloso, anche il suo aspetto fisico, corpulento e sgraziato, contribuisce a renderlo antipatico ed inviso a molti. Non è salutare contrastarlo ed osteggiarlo, si può anche rischiare la vita.

Heraclides conosce da qualche tempo il commerciante ponzese, perché già numerose volte ha caricato le merci che lui produce sull’isola, oltre all’allevamento delle murene. Sull’isola è un personaggio rispettato e temuto, per la sua ricchezza e per la sua durezza nel gestire i propri affari, i numerosi schiavi ed i sottoposti che ha alle sue dipendenze. Circola voce che quando qualche schiavo commette un errore o, peggio, si macchia di qualche colpa, egli non ha alcuno scrupolo a trascinarlo nel murenaio e, dopo averlo fatto picchiare a sangue, lo fa buttare nelle vasche delle murene che, attratte dall’odore del sangue e spinte dalla fame, ne fanno strage fino ad ucciderlo.

Heraclides non ha mai fatto mistero dell’antipatia che nutriva nei confronti di Epicydes ed ogni volta che lo incontrava cercava di fare il più presto possibile per caricare e ritornare verso Ostia.
“Quante sono le murene che devo caricare?” Gli chiede con fare perentorio.
“Una cinquantina!” Risponde seccamente il commerciante.
“Per Giove, così tante, non ne abbiamo mai portate più di dieci, le altre volte!”
“Gli amici di Pilato sono tanti ed esigenti, poi tu guadagnerai molti sesterzi in più del solito, specialmente se arriveranno, quasi tutte vive.”
“Ma dove le mettiamo cinquanta murene?”
“Ha questo ho provveduto io. Ecco i miei schiavi che stanno portando due vasche di terracotta in cui potranno sopravvivere, un po’ strette, ma per poche ore andrà bene!”
Stanno arrivando, infatti, con un carro su cui vi sono le vasche che, con l’aiuto dei marinai, sono caricate sulla nave e fissate con robuste corde al malus (l’albero maestro).
Finita l’operazione, la nave scioglie gli ormeggi e si avvia al murenaio poco oltre il porto, dove gli schiavi addetti alle murene hanno già isolato in una delle vasche a mare quelle da trasbordare sulla nave.

La luce del giorno comincia a farsi più vivida, illuminando le trasparenze del ceruleo mare di Ponza.
Pochi minuti e la nave ormeggia con le cime lanciate agli schiavi all’imbocco del complesso di vasche dedicata alla coltura delle murene.
Con una corda doppia fissata ad un palo, gli schiavi riempiono una cesta con le murene, mentre i marinai intanto riempiono d’acqua di mare le vasche.
C’è voluta circa un’ora per terminare l’operazione: le vasche erano piene più di murene che di acqua e sopra di ognuna è stata poggiata una rete da pesca robusta, fissata sulla tolda con dei chiodi.
“Bene Epicydes abbiamo finito, ora possiamo partire, ti saluto!”
“Eh no, caro Heraclides, questa volta vengo anch’io, il carico è troppo prezioso e Pilato mi ha pregato di curare personalmente la consegna ai suoi amici di Roma.”
“Ah, è così, Pilato ti ha ordinato di seguire il carico… e va bene!” Risponde il capitano, non nascondendo il suo disappunto.
Dice, a mezza bocca, Heraclides.
“Rufinus, molla gli ormeggi, issa l’acatus ed il supparum e mettiamoci in favore di vento. Si torna ad Ostia!”
Le prime due ore di navigazione scorrono normalmente. Il comandante è al timone ed Epicydes è seduto vicino alle due vasche con accanto un secchio legato ad una fune, col quale raccogliere l’acqua del mare per ricambiare spesso quella delle vasche.
Dice Heraclides guardandolo dall’alto della timoneria. dice sputando per terra.
Trascorre un’altra ora quando Heraclides si accorge che lontano, verso nord-ovest s’intravede un fronte di nuvole, non molto compatte, ma che, la sua esperienza gli suggerisce come un sintomo di un cambiamento del tempo, forse non per oggi ma per stasera o domani di sicuro.
In ogni caso, poiché la prudenza per mare non è mai troppa, manovra il timone per accostare il più possibile alla terra. Hanno di poco superato il capo del Circeo e se la perturbazione dovesse essere più veloce del previsto come ora gli appare, è sempre meglio navigare sotto costa, in modo da essere il più veloci possibile per ripararsi in qualche insenatura naturale e sfuggire al maltempo.
“Che fai capitano, cambi rotta?” Dice con tono arrogante Epicydes.
“Sì, è meglio mettersi in condizione di proteggerrsi dal maltempo che ci sta venendo incontro!”
“Quale maltempo “capitano”, c’è un bel sole ed il mare è calmo.” Gli risponde con evidente ironia.
“Qui, il comandante sono io e non si discute sulle mie azioni… so bene quel che faccio…io!”
“Signor comandante, come vuole lei, ma se arriviamo in ritardo o le murene rischiano di morire, te la vedrai tu con gli amici di Pilato!”
“Meglio che schiattino le murene che noi, credo…anche se…”
“Anche se, cosa? Ho capito cosa stai pensando, brutto insolente.”
“Io sto pensando solo all’incolumità della nave e, quindi, nostra e del carico!” “Tu pensa quello che vuoi!”
Epicydes non replica, ma fa chiaramente intendere che la cosa non finirà così.

Il capitano dopo aver opportunamente manovrato pone la sua nave in posizione parallela alla costa, intorno al miglio di distanza circa. Il mar Tirreno specie in quella zona, non ha segreti per lui e, quindi, continua il suo viaggio verso nord.

Epicydes resta accanto alle sue murene che, con frequenza bagna con acqua di mare fresca, causando la fuoriuscita dalle vasche dell’acqua in eccedenza e rendendo sdrucciolevole la tolda sotto l’albero.

Intanto il cielo si vela per via delle prime nuvole poco consistenti che sono arrivate sopra la nave più velocemente del previsto.
Heraclides ora avverte chiaramente i segnali di un temporale imminente, comune in questo mese in cui l’estate cede il passo all’autunno. Gli sembra già di sentire l’odore della pioggia: Pensa.
Il sole è stato coperto dalle nuvole che diventano sempre più scure e minacciose ed anche il vento tende ad aumentare d’intensità. A questo punto il capitano si rende conto che non sarà un breve e poco intenso temporale, ma nella sua lunga vita sulle navi è incappato in tante tempeste molto pericolose e ne è sempre uscito indenne, grazie alle sue capacità ed un po’ di fortuna.
“Rufinus, controlla tutti gli ancoraggi del carico e della zavorra e, se necessario rinforzali!”
“Va bene, controllo subito” Risponde con la calma tipica di chi è abituato anche alle situazioni rischiose.
Non è così per Epicydes che mostra grande nervosismo, misto a paura.
“Che succede capitano, corriamo dei rischi?”
“No, se tutti manteniamo la calma ed il controllo, perciò tu resta accanto alle tue vasche e non intralciare i miei marinai e soprattutto fai quello che ti si dice.”
Epicydes, spaventato, si siede sulla tolda e si aggrappa alla rete che avvolge una delle vasche.
Il vento continua ad aumentare d’intensità, le onde si susseguono sempre più grandi, frangendosi sulla murata di sinistra distribuendo schizzi d’acqua sulla nave.
Il capitano manovra il timone con maestria assecondando il moto ondoso, in modo tale da subire la minor pressione possibile dalle onde ed ha fatto ridurre parzialmente la vela quadra.
La nave procede ora con difficoltà e lentamente.

“Capitano mi stai portando in bocca ai pesci, non sei capace di governare la nave, cerca di accostare alla terra in un luogo sicuro ed aspettiamo che la tempesta passi!”
Heraclides, provando piacere della paura dell’uomo, fa finta di non sentire ed imperterrito continua a governare la nave nel mare ormai agitato, cui lui è abituato.
Epicydes, invece, è in preda al panico e gli urla:
“Marinaio del cazzo, per Nettuno, avviciniamoci alla terra!”
Nessuna risposta. Il comandante per nulla turbato gode della paura di Epicydes che ora non è più arrogante e smargiasso. Averlo sentito dire che l’avrebbe portato in bocca ai pesci, gli ha procurato piacere e gli ha fatto balenare l’idea di liberarsi di quell’essere laido e cattivo, senza rispetto per gli uomini e per gli dei, ma solo per il denaro.

“Rufinus! Vieni a prendere il timone!” Urla il capitano.
Appena il nostromo prende il timone, il capitano scende sulla tolda e si avvia vicino alle vasche per controllare le corde che le serrano all’albero.
“Vedi Epicydes, ho tanto a cuore anch’io le tue murene che sto controllando che le funi tengano e non rischino di finire in mare.” Gli dice sotto un violento scroscio di pioggia e con un sorriso rassicurante.
“Bravo, bravo, controlla bene e che gli dei siano clementi con noi!”
Girando intorno all’albero per “controllare” la legatura delle vasche, estrae il coltello che porta attaccato alla cintura che gli cinge la veste e intacca in diversi punti le funi sino a ridurre a meno della metà la loro sezione. Nel frattempo Epicydes non smette di lamentarsi e di pregare tutti gli dei perché si salvi.

Appena finita l’ispezione ritorna a prendere in mano il timone e ad attuare quell’idea che gli era venuta in mente. Controlla bene lo stato del mare, il susseguirsi delle onde, la loro forza d’urto, che stima non pericolosa per la nave che secondo la sua esperienza, può ben sopportare la loro virulenza. Un sorriso sardonico segue questi suoi pensieri. “Bene, ora diamo soddisfazione al nostro passeggero ed alle sue creature!” Appena detto ciò Heraclides inizia a manovrare il timone in modo da ampliare gli effetti di ondeggiamento del mare. Asseconda con perizia le onde affinché la nave oscilli notevolmente da sinistra a dritta cosicché le corde da lui intaccate subiscano delle grandi pressioni alle quali, in quelle condizioni, non resisteranno molto. Quest’altalena dura diversi minuti, finché le corde, come previsto, si spezzano simultaneamente lasciando la vasca di dritta libera. A quel punto il capitano con una manovra decisa quanto azzardata, fa sì che la nave rolli verso sinistra per poi con la spinta di una grossa onda, ritorni immediatamente sulla dritta inclinandosi molto. L’inclinazione della nave e la spinta del mare imprimono una forza tale alla vasca dove era appoggiato, stretto alla rete, Epicydes, che scivola via insieme ad essa verso la murata che non reggendo l’urto di tanto peso si sfonda e cade in mare trascinando Epicydes. Il tutto è durato pochi secondi. Heraclides riconsegna il timone al nostromo e corre verso la murata per vedere ciò che succede. Nel mare si agitano le murene liberatesi facendo schiumare le acque intorno a loro e intorno ad Epicydes che ferito si dibatte e chiede aiuto. In pochi secondi però le murene lo assalgono e ne fanno scempio: la schiuma si colora di rosso e più nessun grido si leva. < Le murene hanno avuto il loro pasto e gli schiavi ammazzati la loro vendetta!> Il capitano ritorna subito al timone. “Niente da fare Epicydes è morto, le murene non gli hanno dato scampo…che disgrazia!” “Sì, che disgrazia capitano!” Risponde Rufinus sorridendo…
“Riprendiamo la navigazione. Assicuriamo bene la seconda vasca. Gli amici di Pilato dovranno accontentarsi di qualche murena in meno…poteva andare peggio con la tempesta che abbiamo incontrato. Non è vero nostromo?” “Sì capitano poteva andare peggio, potevamo perdere tutte le murene…” Risponde guardandolo negli occhi, poi scoppia a ridere seguito dal capitano.
“Ora cerchiamo di ritornare a casa, tra poco saremo fuori da questa “tempesta”, il cielo si sta già aprendo verso occidente”

Sergio Maffucci [Sermaf]


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano -Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi -Supervisione: Paolo Rafficoni -Editing: Alexis, Livia Aversa -Racconto di Sergio Maffucci [Sermaf] -tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

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