Mi ritorna in mente, bella com’era. Il mio orgoglio, il primo regalo fatto a me stessa nonostante i casini sentimentali ed economici della mia allora vita.
Lei mi aveva appena lasciata. In compenso era arrivato il primo lavoro fisso. Tante donne vanno a fare shopping. Io andai poco lontano da casa mia a vedere moto. Mi aspettava nuova di zecca nel salone d’esposizione. Quel giorno indossavo il mio chiodo (era novembre, faceva un po’ freddo), un maglione bianco, jeans ed anfibi.
Mi si avvicinò il venditore che “mi vedeva proprio bene su quel gioiello!” Yamaha Virago, cilindrata piccola, eppure il suo motore gridava urlo di libertà che avevo bisogno IO di esternare.
Dopo un paio di giorni andai a prenderla. Primo giro panoramico. Una qualsiasi strada costiera, poco trafficata e suggestiva... poi pian piano mi avviai verso la periferia dove senza nemmeno accorgermi, ero arrivata a brindare in solitudine con un “Jameson” in un qualsiasi bar quasi vuoto. Quel villaggio estivo in novembre era spento e accomodante per il suo gridare silenzio piano, era il mio silenzio.
Ci tornai il sabato successivo. Lì vicino c’era una discoteca gay; le persone che la frequentavano le conoscevo quasi tutte. Ogni tanto arrivava qualche new entry, sabato dopo sabato, ma io ballavo sola e speravo di incontrare qualche persona e non la scopata sessuale che mi distoglieva dal mio male abissale.
Mi si avvicinò una ragazzina mora, magra, tutt’altro che “camionista prepotente”, donna. Due grandi occhi neri, nasino alla francese, capelli lisci neri di media lunghezza, mi guardò colpendomi come un fulmine e le vedevo brillare gli occhi da non so che tipo d’impressione le avevo suscitato. Mi accarezzò i capelli ondulati, mi attirò a sé senza che io avessi il tempo di distogliermi da questo gesto inaspettato e mi chiese di portarla fuori da quell’ambiente chiassoso.
Ho ancora dentro il suo odore. Lei era piombata lì senza un motivo. Cercava la “novità”. Io in quel momento non ero presente ad una qualsiasi lei; quella donna bellissima per me rappresentava solo il volerla prendere per mano e portarla via perché sentivo che me lo voleva chiedere.
Avevo sempre due caschi e non so per quale motivo. Eravamo arrivate a non dirci nemmeno una parola. Ci guardavamo soltanto. “I tuoi occhi...”, mi diceva. Io non le rispondevo, non sapevo cosa.
In novembre c’era quel fresco non freddo. La moto era parcheggiata lontana dalla disco e lei in maglioncino mi chiese di portarla via. Durante il tragitto mi fermai sulla costiera e le feci vedere le luci del mare spente senza parlare. Lei in maglioncino aveva caldo. Le porsi il mio chiodo. Lo lasciò cadere e senza sapere dov’eravamo cominciava a sfiorarmi la schiena. Io sentivo le mie mani pitturarsi di suo sudore freddo. Le chiesi semplicemente: “perché io?”. Mi rispose con un bacio sugli occhi. Senza cercarsi a vicenda la strinsi con tutto il mare che avevo davanti. E lei disse: “tu così diversa...” ed io: "tu così... presente adesso...."
sensualeros
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
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