Scritto da © Manuela Verbasi - Lun, 20/09/2010 - 23:04
Nei precedenti due pezzi si è parlato, direi in modo anapodittico, di “novità” della pittura del Giorgione. Ci siamo cioè limitati a descrivere i tratti caratteristici del suo dipingere dando per scontato che quest’ultimo costituisse un qualcosa di nuovo rispetto al preesistente.
In effetti tale metodo di conduzione di un’analisi onde poter proporre una definizione, ad una attenta lettura non può, come non sarà sfuggito, che rivelarsi inesauriente.
Si rende pertanto necessario dare una contraria aggettivazione, quella di apodittica a tale caratterizzazione, che piuttosto che al più comune significato linguistico che potrebbe essere quello di autoevidente, s’attaglia a quella più propriamente filosofica di suscettibile di dimostrazione.
Per far ciò ci serviremo di un paradigma, di un modello prefissato entro cui compiere la nostra ricerca.
Fisseremo cioè dei paletti.
I punti cardinali del nostro saranno costituiti da:
a) una succinta ricerca economico-sociale;
b) una succinta ricerca storica;
c) una succinta ricerca filosofica;
d) una succinta ricerca artistica.
Le suc-cinture dovranno, per via generale, circoscrivere non solo l’epoca precisa in cui egli visse, ma altresì il periodo immediatamente precedente, in quanto solo indagando tutt’intorno a nostro soggetto, non solo nell’arte sua propria, ma nella globalità di quel mondo, sarà possibile comprendere se, perché, e come, egli si distacchi dall’era anteriore andando a costituire o meno, insieme ad altri molteplici fattori e protagonisti, la “novità” predetta.
Per ultimo ma non ultimo, cercheremo di definire con lo stesso stile usato finora, quello di passare sul blog per salutarci, (è ben accetto, dalle donne, anche baci baci- per Iry) il concetto di novità.
Gabriele Menghi
taglioavvenuto
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