LA CRISI E IL PARADOSSO DELL’ARTE CONTEMPORANEA
Riflessioni sulla fine della modernità e sulla morte dell’arte di Nicola Vitale |
La situazione attuale |
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La morte dell’arte
Il primo che si era reso conto che era finita è stato Hegel, come tutti sanno. Quando parla di “morte dell’arte” dice una cosa molto profonda al di là di quello che di solito si ripete più banalmente: si rende conto che l’arte, giunta all’età della conoscenza, non ha più una funzione. (C. Sini) (5) Hegel all’inizio del XIX secolo aveva profetizzato nelle Lezioni di estetica (6) una sorta di superamento dell’arte, per il quale gli è stato attribuito il concetto che da tempo risuona come uno slogan: “la morte dell’arte”. In realtà il filosofo tedesco interpreta l’arte quale grado intermedio del processo di autocoscienza dello Spirito assoluto, cioè come la sua espressione momentaneamente involuta, dove l’Idea, espressa in una forma sensibile, è però priva del concetto, realizzazione suprema della conoscenza. Questa concezione progressiva della vita dello Spirito spinge Hegel a pensare in divenire anche l’espressione estetica attraverso un “progresso” delle forme d’arte. Vi è in un primo tempo una forma simbolica caratteristica dell’arte primitiva e arcaica nella quale l’Idea «è ancora indeterminata e priva di chiarezza»; da qui l’arte approda a una forma classica dove l’Idea è realizzata in modo esemplare assumendo la bellezza naturale. Ma il raggiungimento della forma classica segna anche il limite che lo Spirito infinito deve necessariamente superare per completarsi. La forma romantica è questo superamento per cui l’arte incrina la perfetta unione tra Idea e natura in cui lo Spirito infinito aveva trovato la sua finitezza, proiettandosi al di là di se stessa. “La morte dell’arte” si colloca in questa fase romantica per cui Hegel vede nelle opere d’arte del suo tempo il segno della fine del processo di espressione dello Spirito nella forma artistica, per profetizzare una nuova epoca dove il concetto è la realizzata espressione dell’Idea nella sua infinitezza. L’arte in tal modo è considerata “cosa del passato”, attività superata dal pensiero; gli artisti del presente non realizzerebbero opere realmente nuove, in quanto i passi verso la perfezione dell’arte sono stati tutti compiuti e non possono essere che imitati, aderendo soggettivamente a modelli passati. L’arte rimane dunque secondo la visione di Hegel una forma secondaria della cultura occidentale. |
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Fine della modernità
Sono passati due secoli e queste intuizioni di Hegel sono sicuramente interessanti per interpretare quanto avvenuto nel frattempo. Se pensiamo infatti all’Ottocento, un secolo in cui vediamo mescolarsi romanticismo e classicismo accademico, simbolismi e realismi di ogni genere, pare che il ristagno profetizzato dal filosofo si sia realmente verificato. Così come l’arte moderna potrebbe essere interpretata, seguendo tale logica, come un’ulteriore frammentazione dei modelli, innescando un processo autodistruttivo nel quale si riattualizza la “morte dell’arte” che segna il concludersi di un’epoca. La visione che pone l’arte quale modo primitivo o ingenuo di rappresentare e dare senso all’esistenza è presente nella filosofia già dalle sue origini, quando Platone esclude dalla città ideale artisti e poeti, promulgatori di quel caos di passioni che la filosofia vuole invece dominare. La lunga tradizione razionalista, che da Socrate attraversa e pervade la cultura occidentale, privilegia il concetto quale elemento primario della conoscenza e struttura fondante della realtà. Una cultura che nel rinascimento, con l’età moderna, traccia le fondamenta del progetto di totale razionalizzazione e controllo scientifico dell’esistenza, che ai giorni nostri giungerà a una prima realizzazione. Il XIX secolo si apre infatti con la grande profezia hegeliana di un radioso avvenire orientato al compimento di un’epoca dell’Idea e della scienza, tuttavia sappiamo che le cose non sono andate esattamente così: il XX Secolo ha dovuto subire gli sconquassi dei totalitarismi costruiti su tali strutture di pensiero, mentre il prodigioso progresso scientifico e tecnologico, che ha rivoluzionato la vita del globo, sembra in questi anni aver preso la mano all’uomo innescando un processo di intensificazione esponenziale della competizione a tutti i livelli che pone come cieco obiettivo il profitto e il potere. Con il crescere dei disagi della civiltà scientista e tecnologica, avanza un nuovo fronte culturale che già dalla fine dell’Ottocento aveva posto le sue fondamenta nell’opera di grandi filosofi come Shopenhauer, Kierkegaard e in particolare Nietzsche, che mette in discussione la costruzione monolitica del pensiero occidentale, minandone le fondamenta. L’incrollabile, assoluta validità sulla quale si è costruita la nostra cultura basata sulla struttura metafisica dei concetti, inizia a vacillare. L’idealismo hegeliano subisce le più aspre critiche e, contemporaneamente alla filosofia, la breccia decisiva nelle fortificazioni del razionalismo e del determinismo è aperta dalla scienza che nel primo ventennio del Novecento mette in crisi la tradizione cartesiana e newtoniana per una visione radicalmente nuova nella quale il principio meccanicistico è superato dalla teoria quantistica. L’universo, tradizionalmente concepito come una grande macchina coordinata da un sistema causale di cui gli atomi costituiscono il fondamento, si rivela in realtà un’entità energetica unitaria le cui parti sono simultaneamente collegate, nel quale gli atomi e le molecole non sono che particolari densità di energia che la coscienza, come alcune teorie asseriscono, tradurrebbe in esperienza sensoriale diventando elemento costitutivo della stessa materia. Il pensiero razionale fin qui sicuro del proprio controllo su una realtà oggettiva vacilla, ogni campo del sapere è scosso alle fondamenta, mentre la psicologia rileva con Freud e Jung il lato oscuro della coscienza, dove istinti e pulsioni, rimossi o deformati, agiscono inavvertiti sulla vita psichica, modificando la percezione della realtà. La natura, imbrigliata, piegata e sfruttata, pare prepotentemente risollevarsi dal profondo dell’uomo stesso, ribellarsi e reagire disseminando il disagio psichico, mentre cataclismi provocati dal dissesto ambientale sconvolgono vaste aree del pianeta. Misurata, incasellata e anatomizzata per secoli, la natura torna a mostrarsi nella sua essenza enigmatica; l’uomo che aveva pensato riducendola a oggetto di potersene servire, deve ora tentare di ricomporne l’equilibrio stravolto, pena la sua stessa distruzione. In questa minaccia, già attiva nelle vie di fatto, si pone il vero tema della “fine della modernità”, il limite ormai conclamato della filosofia razionalista e della scienza determinista. Tuttavia, se possiamo asserire che l’occidente si sta giorno dopo giorno modificando in questa direzione, in quella che è stata chiamata cultura postmoderna, resta oscuro il principio su cui costruire un senso alternativo al dominio della pura razionalità, che vediamo perdere progressivamente consistenza e credibilità insieme al progetto, da esso derivato, di un continuo accrescimento della ricchezza materiale, del benessere e del potere. Le vie alternative infatti, che nella storia dell’umanità hanno costituito le civiltà: la religione e l’arte, che la cultura esistenzialista indica come strade percorribili, sembrano in occidente drammaticamente coinvolte nella medesima crisi e declino del concetto. Se da una parte abbiamo parlato di un’ipotetica “morte dell’arte”, dall’altra scopriamo nel nostro mondo un’altrettanta crisi della vocazione religiosa, in un clima diffuso di perdita della fede. E’ da questo panorama sconfortante che si genera il clima fosco della nostra epoca, il tramonto della modernità, con tratti di disperazione nascosti sotto l’euforia nervosa di grandi imprese, viaggi, assembramenti e manifestazioni di ogni genere. |
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Il paradosso dell’arte
In questo momento storico l’arte si trova dunque al centro di un paradosso. Da una parte infatti la cultura esistenzialista individua l’arte come elemento rilevante in cui indirizzare la ricerca del senso; dall’altra la situazione di fatto vede l’arte contemporanea implicata in una crisi senza prospettive, sotto la spada di Damocle della profezia hegeliana. Per alcuni filosofi esistenzialisti l’arte sarebbe il modo con cui l’uomo potrebbe ricostruire l’integrità che la cultura razionalista ha compromesso, attuando quel “riavvicinamento all’essere” promulgato da Heidegger, come reintegrazione all’origine, dell’uomo e della civiltà. L’arte è vista in questo senso come un’attività il cui linguaggio conserva la globalità dell’esperienza esistenziale, fatta tanto di pensiero, sogno e immaginazione, quanto di percezioni materiali e di pulsioni istintuali. E’ questa l’espressione più prossima del vero essere, quell’essenza che gli esistenzialisti intendono non separabile dalla vita dell’uomo, in contrapposizione alla concezione dell’essere che la filosofia sin da Socrate ha posto nell’Idea e nel concetto. Il paradosso in cui l’arte contemporanea si viene a trovare sembrerebbe dunque dipendere da questa riduzione dell’essere da parte della cultura occidentale, cioè dal fatto di aver trasferito tutto il senso dell’esistenza - arte inclusa - in una mappa metafisica di concetti e immagini mentali, alla quale ci si è progressivamente assuefatti come si trattasse della vita stessa. Sini coglie ciò nella produzione contemporanea: E’ il lavoro del critico che autentica l’opera d’arte, non l’opera d’arte che viene prima del critico. E’ la logica della cultura storico-critica ridotta a minimalia che determina l’opera d’arte e non che viene dopo per farla conoscere. (7) Se le cose stanno realmente così l’attuale crisi dell’arte avrebbe ben poco a vedere con la “morte dell’arte” profetizzata da Hegel, da cui è vista come attività superata, ma coincide invece con la fine della metafisica concettuale, e dunque con la fine della concezione filosofica, linguistica e storicistica dell’arte nella quale siamo immersi e con cui la gran parte degli artisti hanno, consapevolmente o inconsapevolmente, da lungo tempo operato. |
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NOTE
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NOTA
Nicola Vitale, poeta e pittore, è nato a Milano nel 1956. Come poeta ha pubblicato sull’Almanacco dello Specchio(Mondadori, 1987 e 2005), è presente nell’antologia a cura di M. Cucchi e S. Giovanardi Poeti italiani del Secondo Novecento(Mondadori, 2004), e ha pubblicato le raccolte La città interna,Primo Quaderno Italiano Poesia contemporanea (Guerini e Associati, 1991), Progresso nelle nostre voci (Mondadori, 1998),La forma innocente (La collana, Stampa, 2001), Condominio delle sorprese (Mondadori, 2008). Come artista visivo ha esposto in mostre personali e collettive, in spazi pubblici e gallerie private, in Italia, Svizzera, Islanda e Stati Uniti. Hanno scritto del suo lavoro Pierre Restany, Rossana Bossaglia ed Elena Pontiggia. La sua ultima mostra personale Le (n) meraviglie del mondo è in corso presso la galleria milanese The White Gallery. http://www.nicolavitale.com http://www.thewhitegallery.it/thewhitegallery.html http://poesia.blog.rainews24.it/2010/05/13/nicola-vitale-le-n-meraviglie-del-mondo |
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi -Editing: Anna De Vivo |
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