E’ cosi… dunque, scrivo con rabbia senza nemmeno capire il perché.
Inchiodata a questa seggiola, vagabonda lungo le strade, sorella, madre, figlia, ladra, puttana, con il sangue mescolato alla stizza, all'ira, alla disperazione.
Derelitta lungo una strada che non riconosco piu', incerta sul futuro, indecisa sul presente, colpita da una malia incapace di controllo.
Stupida donna!
Non ho bisogno piu' di definizioni, non posso vivere piu' entro i limiti, non mi occorre derisione da parte vostra, ne di falsi ed inutili sorrisi. Lunghe ore a fissare il vuoto, un vuoto che ha sapore amaro e che fa male, ore che scorrono lente, come se il tempo non esistesse, come se nulla importasse e poi con mano pesante, simile ad un macigno mi accingo a scrivere.
Scrivere. Cosa poi? Cose che già sapete? Cose che non vi importa sapere?
Che lei mentalmente e verbalmente ci ha maledetto per cio' che e' successo?
Che non accetta gli addii? Che ho preferito scappare piu' che farvi del male. Che odia piu' me che voi?
Se ascoltassi Kilena, la mia folle ragione strapperei questo foglio facendo in modo che mai giunga a voi. Ma, spesso si sa, domina l’istinto. Anche in me, anche in lei, che preferisce la superbia e la caparbieta' agli altri sentimenti. Cosa urla l'istinto e cosa invece la mia folle ragione?
Far morire la bestia, frantumare gli specchi che vivono in me, riflettendo un’immagine che non riconosco, distruggere i desideri e i sogni, lasciare che su di essi scorra vivida scivolando via e perdendosi per sempre su una terra arida, ragione, istinto e sentimento e rimanere qui “Sola.” LONTANA.
L’istinto, quello alla quale mi aggrappo con tutte le mie forze, per rimanere lucida, invece mi chiede l’abbandono, chiudere gli occhi, far morire il respiro, aprire le braccia.
Tornare. Lento l’istinto insinua la sua voce fra le risate e le grida di quella donna che vive in me e che prende troppo spesso il controllo, Kilena che chiede, pretende e vive ordinandomi di darle ascolto. Cosa spera? Cosa realmente desidera? Grida. Come il vento fra gli alberi durante una bufera, spezzando ogni ramo, ogni pensiero razionale che mi impone di star zitta.
Dove siete nelle mie notti insonni. Perche vi siete aggiunto ai miei tormenti?
Perchè desidero saperlo? Per dirvi che le certezze non bastano a proseguire un cammino di cui in realta' non conosciamo la strada?
Per dirvi che i cerchi di cui siamo formati si allargano come se fossero onde, si disperdano in un mare che e' troppo grande per contenerci, e che basta gettare in essi una pietra, per colpire il centro, per colpire il cuore del cerchio e fargli assumere forme indefinite e vaghe...
Immobile, incapace di pronunziare realmente un addio.
Non batte il cuore, non freme la mente, ma dilaga il vuoto dentro.
Un vuoto inspiegabile che somiglia tanto ad una macchia d’olio, scivolosa e unta, che intacca i pensieri, immobilizzandoli in quel che pare un mare denso e giallo, in cui si cerca di nuotare, di stare a galla per non soffocare. E poi? Improvviso. Quel dolore sordo che somiglia tanto ad una pugnalata al ventre, uno spasmo che mi lascia senza fiato. Sapete cos’è il fiato vero? Il denso respiro sussurrato alle orecchie che fa accapponare la pelle, caldo e sensuale per i corpi scossi da brividi, sensazioni inquietanti, e poi occhi che ci guardano e noi ridiamo, ridiamo di noi stessi e ridiamo degli altri, della loro vita e dei loro dubbi e quel liquido dorato che entra nella nostra gola iniziando lentamente a soffocarci, togliendoci l’aria, togliendoci ogni forma di reazione.
Le vostre, le nostre certezze per quanto piccole e immutabili essi siano sono migliori, perchè pensavo che noi non avessimo legami, ne con la vita, ne con la morte. Davvero rifuggiamo alle catene del potere, davvero cerchiamo di bruciare quella coperta che se ci copre il capo ci scopre i piedi?
Esistiamo?
Il nulla, Narciso, e' questo che siamo? E’ da quando il nulla si agita come se fosse vortice impazzito, geme d’angoscia e urla? Urla furente di rabbia mentre un liquido salato che qualcuno chiama lacrime scava la pelle, come se fosse un contadino rabbioso che ara la sua terra imponendogli di dare frutti, maledicendola per la sua aridita' e per il suo essere sterile e piena di sassi.
E’ questo che sono? Una donna, viva, mio malgrado.
Solo la morte probabilmente puo' fermare il dolore che ho dentro.
Mi mancate come la luna al sole.
Eco.
Naranya
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Supervisione Paolo Rafficoni
-Testo selezionato da Francesco Anelli
-Editing: Alexis
-Racconto di Naranya
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto
Naranya
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