La casa rossa - neraorchidea | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Sfoglia le Pagine

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

La casa rossa - neraorchidea

Sono ricordi interiori quei pomeriggi di fine estate guardinghi, di traverso, il cielo pieno di nuvole elettriche come mongolfiere in rotta, una stagione avara, calda di pioggia, grigia, che centellinava il sole come se fosse un sidro dolce.
Era rossa quella casa oltre la siepe di bosso, tranquilla, costeggiata da filari di pioggia, celata alla vista da lunghi filari di viti, si stagliava su dolci colline, con le porte sbarrate, colma di fiori d’ortensia e di alloro. Una casa nell’equilibrio fittizio della mia memoria che spingeva altrove quello che aveva sotto gli occhi e ristabiliva forme di sfuggita. Sono cresciuta sfoggiando mani inguantate e giocattoli infelici, seduta sotto i tavoli di pietra in una caparbia negligenza, anelando sofferenze capricciose, vivendo come se la vita fosse una malattia, un tacito accordo senza riserve. Ho saggiato amori a gambe incrociate sull’erba, in tanti affetti che lasciavano lividi, un deliquio di penombra in quelle cento stanze, nella precisione confortante di luci ed ombre. Ho socchiuso porte segrete cercando risposte, sconfessando a pieni mani il senso corporale del tempo. Mi addormentavo all’alba, senza le preghiere della sera, come se la morte e Dio mi appartenessero per antico privilegio, in quelle ore dove la pioggia batteva sui sampietrini, sulle mie parole nude, che scrivevo in bella calligrafia , parole che si affollavano e si diradavano riempiendo spazi vuoti, colorando cartoline con il nome della piazza scritto in corsivo, in una cattiva stampa di un campanile sbilenco e di una fontana, parole che si immergevano tra gli scuri malconci, tra le lenzuola ruvide mai toccate da un ferro da stiro, si aggrappavano alle macchie di umido sul soffitto in notti troppo azzurre , in un vuoto senza appagamento di cervello e di cuore. Le scrivevo di soppiatto nella mia camera blu, propizie di superstizione, attinte dal nero inchiostro e portate sul candore bianco di un foglio, evanescenti, cariche di passato, instabili di libertà, attratte da mille amori alla finestra, da volti che si alzavano come segnali al loro bizzarro volere, col cuore sottile e crudo come il solco del tempo, come una piccola ruga appena scoperta. Volavano alte, con il fiato mozzato, in quelle solitudini non scelte, poi si incamminavano lievi oltre le persiane illuminate in una quiete felicità domestica, tra tegole, grondaie e rigagnoli d’acqua. Vacillavano in istinti vitali di stupore in quelle sere d’aprile dai passi vuoti, abbracciando amori incorporei, deviate nel loro cammino dalla provvidenza in un eterno rito di resurrezione. E mi addormentavo con la penna in mano, il lume acceso sul comodino, nel silenzio assoluto degli uccelli notturni,sognando la cioccolata delle cinque e conversazioni di un tempo passato. Avevo amato e non amavo più, i miei desideri avevano preso altre strade correndo in fretta,l’amore era stato una partita a patta, finito in pareggio, tendente alla quiescenza. Senza più regole di gioco. E nel pallido ovale di memoria del mio cuore restavano solo nomi, senza più sapore, cancellati sopra i miei passi, persi per sempre. In quella casa di sfuggita, nascosta ala mia vista, irragionevole di seduzione, pregiata di paccottiglia.

neraorchidea


-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Paolo Rafficoni
-Supervisione: Manuela Verbasi
-Editing: Rita Foldi
-Racconto di neraorchidea
-tutti i diritti riservati agli autori, vietato l'utilizzo e la riproduzione di testi e foto se non autorizzati per iscritto

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 1 utente e 3171 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • live4free