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viene

anche nel gelo
ciuffi di sale scaldano il mare
l'amore è una puttana
ancheggia a onde
s'infrange nell'attimo
viene
vieni

 

 

Terre ... lontane.

 
cara m'è sempre quella strada stretta
corre giù per gli scoscesi groppi
polverosa sassosa.
causa di mille escoriazioni
coi fiori scombinati ai bordi
che nessuno coglie ma coglieva
e prode selvatiche d'erbe saporite.
contorti ulivi a rami sempreverdi
per dondolare uccel di passo
oppure domestici canterini
a rispondere dalle gabbie appese
alle scorzate mura lì a lato
della finestra dove il geranio
fa dei suoi fiori bella mostra.
suoni del vespro ancor dalla chiesetta
unica squilla antica più del campanaro
solitario testimone
più per la vecchiezza
che per il ricordo dei radi praticanti
che manco sanno non c'è l'officiante
ormai è sera.
 

Terra

 .. e a tendere le  mani

 
Onde cerchiate s'aprono nel suolo
tremori si diffondono dal basso
e la tenaglia s'apre cigolando
ritorno degli orribili stridori
 
così la terra scuote le sue faglie
fino a cullare case di cartone
sembra così agli occhi di chi resta
a piangere e a tendere le mani
 
cartocci chiusi sulla terra amara
per chi soccombe sotto i colpi suoi
e quelli che rimangono a sperare
 
di continuare ancora un altro giorno
e toccare così volti imploranti
dopo la furia di sconvolgimento
 
 
Copyright © Lorenzo 17.1.10

Il mio e il tuo

 
canta pure del tuo amore sublime
dagli occhi chiari dai capelli intonsi
quello che ha petali per labbra
usignoli nella voce piume le mani
a carezzarti a sparger fiori per te.
lasciami sopprimere il mio
che delle mie ferite fu l'autore
ci pose sopra fin caustico il sale
per cui con un nonnulla
viepiù il cuore risanguina.
vola felice all'agape sopra l'eliso
di parole soavi e dolci sorrisi
riempiti il cappello che mille e mille
chicchi di bene augurante riso
copriranno la strada del tuo avvio.
lasciami posare il mio nel giusto avello
che se non lo perdo lo scordo
a questa mancanza non avrò appello.
 

αι, povero Apollo!

Neanche l'essere un dio
mette al riparo dal dolore
:
considerate la sorte di Apollo,
dio delle arti, della musica, della medicina,
auriga del cocchio solare,
il potente e bellissimo Febo,
dio oracolare
che ci parla attraverso la Pitia.
 
Voi che v'inchinate alla sua potenza
voi che ad ogni alba ne seguite l'arco in cielo,
voi che ne invidiate lo splendore,
voi no, voi non sapete
quanto soffrì per amore
l'Apollo divino.
 
Ci fu Dafne, che amò non riamato
per il capriccio e l'invidia di Cupido;
poi Cassandra, che si rimangiò
- oh, a che terribile prezzo! -
la sua promessa d'amore.
E persino gli fu preferito un umano:
Marpessa scelse Ida,
perché l'uomo e non il dio
sarebbe invecchiato con lei.
 
E poi ci fui io, io, Giacinto.
Oh, come teneramente ci amavamo
e giocavamo e discorrevamo insieme!
Ma un giorno caddi, colpito a morte
dal disco da lui lanciato.
C'è chi dice sia stato un errore del dio
e chi pensa fu l'invidia di Zefiro,
ma insomma morii, tra le braccia sue forti.
 
ai, povero Apollo, come pianse e gridò!
Non volle fossi trascinato nell'Ade
e trasformò il mio sangue in un fiore.
Con le sue lacrime sui miei petali
incise le sillabe del dolore.
 
Mi chiedete perché io compianga
la sorte del dio e non la mia?
Ad ogni primavera io torno a fiorire
e il mio nome risuona nel mondo.
E invece chi più si ricorda di Apollo?

Poi Di Colpo Arriva La Sera

Poi di colpo arriva la sera,
te la senti d'un tratto al tuo fianco
e paventi che non serva lottare,
e sei stanco di batterti ancora

tutto il giorno stringendo tra i denti
il coraggio d'afferrare il tuo sogno.
Ora è sera e sei sempre lì fermo,
ora è sera e non hai mosso un passo

e ti chiedi se questo è il tuo scopo
o piuttosto tornartene al campo,
ripiegare da guerriero battuto,
contentarti del poco che hai.

Ma sarebbe morir con lo spirito
ch'è più duro che il corpo finisca,
le tue membra per sempre costrette
a guardare te stesso sconfitto,

macerando la rabbia e la pena
d'aver visto la terra promessa,
bevuto ai suoi fiumi di miele
e bandito per sempre dall'Eden.

Ti rinserri le vesti ed ancora,
addestrato a soffrire ed andare,
ti rimetti nella tua direzione:
o si ottiene la gioia o si muore.

      loripanni

Cose Così [di neve 2]

Stai al di qua dei miei abbracci
tra brillanti di neve per terra
nella gioia dei tuoi occhi dentro
lo sgabello ai piedi di due ali
e io vivo,
per sbocciarti fra i rami

 

 

 

 

Così mi placo

Avvolto dalle foglie sempreverdi
ti ascolto parlare e non sorridi.
Di questo mio cammino che mai l’autunno
come se il cuore mio sorridesse
vuole ancora con se
le mie mani ti cercano
e io così… mi placo.
 
Ascolto violini strider lontani
ti guardo sorridere quando non parli
a quei suoni pizzicati al cuore
come orecchie a sentir parlare
e sorrido sospeso
le mie mani ti cercano
e così… mi placo.
 
Dei minatori ascolto le frasi tremanti
e aspiro con le narici durante l’amore
i loro volti così neri di terra e carbone
come la vita aprisse argini ai fiumi
che i sorrisi si sbiancano
e le cateratte dal monte aprissero
e così… mi placo.
 
Opere tra i quadri esposti in gallerie del tempo
d’amore che si spandono come olio sul piano
tra tristi oppressi che siete voi
vivo di te e di te mi cibo e rinasco
incontentabili finti giullari apparite
so che io di te non mi stancherò… e così… mi placo

Il mio futuro con te

 
Tu, amore mio,
che mi domandi sempre
di parlarti del nostro futuro!
Oggi voglio scriverti cosa
veramente penso.
E perdonami se parlerò
di presente e di passato
costruendo metafore su metafore,
confuse immagini nei tempi
e similitudini allegoriche
tra strofe e passi,
righe in rima nei modi
e scioglilingua poetici
a cavallo tra poesia e prosa
(come fosse un gioco che mi riesce
perché mi ci trovo
come un gatto sul tetto).
 
Sai… anche noi
camminiamo sullo stesso bordo
al ciglio delle stesse tegole
scosse, sempre mosse
legati da un’unica mano.
E sul foglio, di questa
carta che vola
agli spesso imprevisti
vortici dei tempi,
sta scritta la poesia
della mia vita con te.
Ma troppo dentro
questo soffio di vento stiamo,
che a volte ne ho paura
io stesso… viverlo.
 
In questi pochi
attimi di vita
di questi prossimi
infiniti anni con te,
a volte immensi amori perduti
e sogni infranti
come fantasmi vagano
e uniche sono le mobili
parvenze che vagamente
a volte compiamo
(strade di gesti che lastrichiamo
d’inutili parole).
Perdiamo la storica memoria
persino difficile a dimenticarsi
dal tanto male
di olocausti compiuti
ed erigiamo
approssimative scuse
o ci accontentiamo
di un suono mediatico
e di una lacrima
che scivola facile
… o del falso sorriso
dello stupido al potere.
 
E per le occasioni uniche perdute?
A volte, in quel caso,
un insulto sta a difenderci
o un sussulto sta ad amare.
Ma il tempo passa e grava

C'è luce nella casa di Lazzaro

C'è luce nella casa di Lazzaro
uno spiraglio sottile
dalla porta semi aperta.
Odore di morte
e profumo di sugo
mischiato come accade
quando le candele
bruciano le menzogne.
Dove è tua moglie Lazzaro?
E' andata oltre il Giordano
con un carro armato Israeliano
e due valige con lo spago.
C'è luce nella casa di Lazzaro,
sua moglie ha lasciato la porta semiaperta
e nessuno sa dove sia andata
nessuno.
E c'è una musica che esce
dal suo appartamento
una musica che spacca
che cade
con una voce di bambina
che canta una ninna nanna.

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