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Hart Crane - Il tunnel - Legge Ezio Falcomer

 
Testo: Hart Crane, "Il tunnel"
Voce: Ezio Falcomer
Copyright: Accademia dei Sensi
 
 
 
Hart Crane, “Il tunnel”
 
“Per trovare la via dell’occidente
Dritto per le porte dell’ira”
Blake
 
 
Rappresentazioni, assortimenti, sintesi –
Lungo Times Square fino a Columbus Circle le luci
Formano un canale per le masse, sessioni notturne,
Rifrazioni dei mille teatri, facce –
Cucine misteriose… Tutto esplorerai.
Un giorno a memoria imparerai ogni spettacolo famoso
E vedrai il sipario che s’alza a dispetto dell’inferno;
Troverai il giardino nel terzo atto morto,
Ti tasterai le ginocchia – e ti vorrai trovare a letto
Coi rotocalchi di cronaca nera a portata di mano.
 
-Allora prendi pure il cappello e via.
Come al solito, - anche
Mentre scendi – grida pure
A dodici che salendo se ne vanno
Una lode d’adesione
Per ciò che il tempo uccide.
 
Non puoi deciderti tutto per la sotterranea;
Meglio prima due passi svelti sotto la sopraelevata
Dieci isolati o giù di lì? Ma ti ritrovi
Che t’accingi a sbatter le braccia a mo’ di pinguino, -
Come al solito incontrerai l’ingresso spalancato:
La sotterranea spalanca la promessa del più celere ritorno.
 
Fatti minimo allora, per nuotar sulla marea che sciama
Da Times Square a Columbus Circle ardenti di luce –
Evita le porte di vetro giranti alla tua destra,
Dove inscatolato da solo un secondo, l’occhio si spaura
- Del tutto impreparato si riprecipita nudo alla luce:
E giù accanto al cancelletto infila la moneta
Nella fessura. I gong sferragliano già.
 
-E così
Di città s’indicano
Le sotterranee, fiumane sotto a vie
E fiumi… Nel vagone
La risonanza del moto
Sottoterra la monotonia
Del moto è il suono
Di altri volti, anche sottoterra –
 
“Fuori una matita Jimmy – abito ora
A Floral Park
Flatbush – il Quattro Luglio –
Come il sogno confuso d’un piccione – patate
Da scavare nel campo – in giro in città – anche –
Una notte dopo l’altra – la linea Culver – con
Le ragazze si sta mettendo bene – di solito una volta – “
 
Le nostre lingue ritrattano come logore banderuole.
Questa risposta viene come verderame, come capelli
Dopo l’estinzione, la cessazione dell’osso;
E la ripetizione agghiaccia – “Cosa
 
“Cosa vuoi? Giù di forma al golf?
Tra la la paparino non chiedermi spiccioli – E’ questa
La Quattordicesima? Sono le sei e mezzo ella disse – se
Non ti piace il mio cancello perché
Ti ci dondolasti, perché ti ci
Dondolasti
Ad ogni modo – “
 
-E in qualche modo ad ogni modo dondolare –
 
I fonografi dell’ade nel cervello
Sono tunnel che si ricaricano da soli, e l’amore
Un fiammifero spento che scivola lungo un orinatoio –
Da qualche parte sopra la Quattordicesima “prendere il diretto”
Per ignorare qualche nuovo presentimento di dolore –
 
“Ma voglio servizio in quest’ufficio “Servizio”
Dissi – dopo
Lo spettacolo ella pianse un poco dopo ma – “
 
Che testa è quella appesa al gonfio passamano?
Che corpo fuma lungo le rotaie morse,
Prorompe da un involto che arde senza fiamma laggiù indietro
In bivi interni degli abissi del cervello, -
Sbuffa da un mutilo moncone molto indietro
In fessure intercomunali della mente…?
E perché spesso incontro il tuo sembiante qui,
Gli occhi come lanterne d’agata – continuamente
Sotto le réclamess di dentifrici ed antiforfora?
- E i loro occhi viaggianti verso il costato,
E i loro occhi come lordi vassoi ti trafissero?
E la Morte, in alto, - inarcuata gigantesca
Brancica in te – verso di me, Oh per sempre!
E quando trascinarono la tua carne convulsa,
Le tue mani tremanti, quella notte a Baltimora –
Quest’ultima notte durante gli scrutini, tu
Malfermo, rifiutasti tu la lista, Poe?
 
Per Gravesend Manor si cambia a Chambers Street.
La banchina irrompe fino a fermarsi immota.
 
L’intenta scala mobile innalza una serenata
Silenziosa
Di scarpe, ombrelli, ogni occhio fissa la sua scarpa, poi
Si dilegua da qualche parte in alto dove strade
Prorompono improvvise nella pioggia… Tornano i gong:
Gomiti e leve, capotreno e porta sibilante.
Il tuono è galvanotermico quaggiù… Il vagone
S’avvia. Il treno gira, si curva in uno strido,
Imboccando l’estremo livello per il tuffo
Sotto il fiume –
Ed alquanto più vuoto di prima,
Folle, sussulta un istante, s’aggobba; poi
Si lancia… Verso gli angoli per terra
Volano, vorticano e volano i giornali.
Da finestre sul nulla scrosciano segnali nel fragore.
E il Demone accompagna a casa pure te,
Immigrata che fai le pulizie, un cencio in capo?
Ora che son spazzati i corridoi, le sputacchiere –
Lavati e a nudo i grattacieli squallidi,
Riporti tu a casa occhi e mani di madre,
O Genovese, a bimbi ed a capelli d’oro?
 
O Demone, antro travaglioso carico d’eventi!
Il cui riso orrendo è una gazzarra di mantici
- O il massacro soffocato d’un giorno che nasce –
Oh crudelmente inoculi l’alba che trapela
Con antenne tese a mondi che avvampano e sprofondano; -
Ci dai col cucchiaio più liquido che non la vaga
Locuzione della più antica stella, e spedisci
La coscienza ombelicata nel vento scatenato,
Legata al cordone per vagire – e subito morire!
O stretti come monete tra fuliggine e vapore,
Il bacio della nostra agonia tu raccogli
Ammassati, tutti ci assorbi – gangli stridenti
Infervorati da un canto che ci viene a mancare.
Eppure, come Lazzaro, sentire il declivio,
La zolla e l’onda che s’aprono, - sorgere il terreno,
- Un suono d’acque inarcate a cavallo del cielo
Incessante con una Parola che non vuol morire…!
 
Un rimorchiatore, sbuffando ghirlande di vapore,
Balzò in avanti, con un galvanico fischio si spinse su pel
Fiume.
Contai gli echi convergenti, uno dopo l’altro,
Scrutai, sfogliai la mezzanotte sopra le banchine.
Luci, costeggiando, uscivano dal timpano oleoso delle acque;
La notte, in qualche luogo, scheggiava vetro sopra un cielo.
 
E sotto questo tuo poro, O mia città, ho viaggiato,
Proiettato da un dedalo di torri batti tempo… Domani,
Ed essere… Qui sulla sponda dell’East River –
Qui in riva all’acqua le mani abbandonano il ricordo;
Giacciono inerti e senz’ombra in quell’abisso.
Quanto lontano ha la stella radunato il mare –
O saranno le mani trascinate via, a morire?
 
Il bacio della nostra agonia tu raccogli,
O mano di fuoco
Raccogli.
 
 
 
 
 
---------------------------
 
Testo originale
 
 
Performances, assortments, résumés—
Up Times Square to Columbus Circle lights
Channel the congresses, nightly sessions,
Refractions of the thousand theatres, faces—
Mysterious kitchens. . . . You shall search them all.
Someday by heart you’ll learn each famous sight
And watch the curtain lift in hell’s despite;
You’ll find the garden in the third act dead,
Finger your knees—and wish yourself in bed
With tabloid crime-sheets perched in easy sight.
 
 
Then let you reach your hat
and go.
As usual, let you—also
walking down—exclaim
to twelve upward leaving
a subscription praise
for what time slays.
 
 
Or can’t you quite make up your mind to ride;
A walk is better underneath the L a brisk
Ten blocks or so before? But you find yourself
Preparing penguin flexions of the arms,—
As usual you will meet the scuttle yawn:
The subway yawns the quickest promise home.
 
 
Be minimum, then, to swim the hiving swarms
Out of the Square, the Circle burning bright—
Avoid the glass doors gyring at your right,
Where boxed alone a second, eyes take fright
—Quite unprepared rush naked back to light:
And down beside the turnstile press the coin
Into the slot. The gongs already rattle.
 
And so
of cities you bespeak
subways, rivered under streets
and rivers. . . . In the car
the overtone of motion
underground, the monotone
of motion is the sound
of other faces, also underground—
 
 
“Let’s have a pencil Jimmy—living now
at Floral Park
Flatbush—on the fourth of July—
like a pigeon’s muddy dream—potatoes
to dig in the field—travlin the town—too—
night after night—the Culver line—the
girls all shaping up—it used to be—”
 
 
Our tongues recant like beaten weather vanes.
This answer lives like verdigris, like hair
Beyond extinction, surcease of the bone;
And repetition freezes—“What
 
 
“what do you want? getting weak on the links?
fandaddle daddy don’t ask for change— Is This Fourteen - it’s half past six she said—if
you don’t like my gate why did you
swing on it, why didja
swing on it
anyhow—”
 
 
And somehow anyhow swing—
 
 
The phonographs of hades in the brain
Are tunnels that re-wind themselves, and love
A burnt match skating in a urinal—
Somewhere above Fourteenth TAKE THE EXPRESS
To brush some new presentiment of pain—
 
 
“But I want service in this office SERVICE
I said—after
the show she cried a little afterwards but—”
 
 
Whose head is swinging from the swollen strap?
Whose body smokes along the bitten rails,
Bursts from a smoldering bundle far behind
In back forks of the chasms of the brain,—
Puffs from a riven stump far out behind
In interborough fissures of the mind . . . ?
 
 
And why do I often meet your visage here,
Your eyes like agate lanterns—on and on
Below the toothpaste and the dandruff ads?
—And did their riding eyes right through your side,
And did their eyes like unwashed platters ride?
And Death, aloft,—gigantically down
Probing through you—toward me, O evermore!
And when they dragged your retching flesh,
Your trembling hands that night through Baltimore—
That last night on the ballot rounds, did you,
Shaking, did you deny the ticket, Poe?
 
 
For Gravesend Manor change at Chambers Street.
The platform hurries along to a dead stop.
 
 
The intent escalator lifts a serenade
Stilly
Of shoes, umbrellas, each eye attending its shoe, then
Bolting outright somewhere above where streets
Burst suddenly in rain. . . . The gongs recur:
Elbows and levers, guard and hissing door.
Thunder is galvothermic here below. . . . The car
Wheels off. The train rounds, bending to a scream,
Taking the final level for the dive
Under the river—
And somewhat emptier than before,
Demented, for a hitching second, humps; then
Lets go. . . . Toward corners of the floor
Newspapers wing, revolve and wing.
Blank windows gargle signals through the roar.
 
 
And does the Daemon take you home, also,
Wop washerwoman, with the bandaged hair?
After the corridors are swept, the cuspidors—
The gaunt sky-barracks cleanly now, and bare,
O Genoese, do you bring mother eyes and hands
Back home to children and to golden hair?
 
 
Daemon, demurring and eventful yawn!
Whose hideous laughter is a bellows mirth
—Or the muffled slaughter of a day in birth—
O cruelly to inoculate the brinking dawn
With antennae toward worlds that glow and sink;—
To spoon us out more liquid than the dim
Locution of the eldest star, and pack
The conscience navelled in the plunging wind,
Umbilical to call—and straightway die!
 
 
O caught like pennies beneath soot and steam,
Kiss of our agony thou gatherest;
Condensed, thou takest all—shrill ganglia
Impassioned with some song we fail to keep.
And yet, like Lazarus, to feel the slope,
The sod and billow breaking,—lifting ground,
—A sound of waters bending astride the sky
Unceasing with some Word that will not die . . . !
 
 
. . . . .
 
 
A tugboat, wheezing wreaths of steam,
Lunged past, with one galvanic blare stove up the River.
I counted the echoes assembling, one after one,
Searching, thumbing the midnight on the piers.
Lights, coasting, left the oily tympanum of waters;
The blackness somewhere gouged glass on a sky.
And this thy harbor, O my City, I have driven under,
Tossed from the coil of ticking towers. . . . Tomorrow,
And to be. . . . Hereby the River that is East—
Here at the waters’ edge the hands drop memory;
Shadowless in that abyss they unaccounting lie.
How far away the star has pooled the sea—
Or shall the hands be drawn away, to die?
 
 
Kiss of our agony Thou gatherest,
O Hand of Fire
gatherest—
 
----------------------------------------
(Tratto da Sergio Perosa (a cura di), “Da Frost a Lowell,  Poesia americana del Novecento”, Milano, Edizioni Accademia, 1979, pp. 232-39)
 

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