Scritto da © Giuseppina Iannello - Lun, 16/05/2011 - 10:42
In osservanza all'articolo degli autori Walter Teti e Germana Piccone, trovato nel sito internet: http://www.torricellapeligna.com/Amici%20Article136.html , mi ritengo in dovere di fare le mie contestazioni:
Giovanni Pascoli, in qualità di docente di Lettere Latine e Greche al Liceo-Ginnasio Statale
di Matera, nell'anno scolastico 1882/1883, non avrebbe mai chiesto favoritismi al preside, professore Vincenzo Di Paola, qualunque fosse stato il rapporto con lui, di amicizia o confidenzialità.
La scuola, presso cui insegnava il poeta, era la struttura di un organismo statale; il preside era, allora, colui che presiede all'organo collegiale, e non il padrone della scuola, come comunemente, oggi. I professori non erano servitori, e quindi, dipendenti del preside... Ma si era tutti servitori dello Stato. Pertanto, il professor Di Paola, in qualità di preside, non avrebbe potuto prelevare somma alcuna dalla cassa scolastica per anticipare lo stipendio agli insegnanti in deficit finanziario; sarebbe incorso in un grave reato nei confronti dello Stato. La cassa scolastica conteneva soltanto, il denaro indispensabile per le spese di cancelleria.
E' da rilevare inoltre, l'incongruenza con la finalità didattica del professore e poeta.
Sappiamo tutti che Pascoli era sostenitore ed ispiratore di valori morali e civili e che la sua poetica non era scindibile dalla concezione dell'insegnamento. L'insegnamento di Pascoli non era, soltanto, trasmissione di testi antichi, attraverso la metodologia e la tecnica dell'insegnamento, ma era Umanesimo e, in quanto tale, corrispondeva all'esigenza di cogliere i messaggi spirituali degli scrittori: l'individualità della persona, tradotta in globalità di sintesi, ossia nel contesto di una società universale. E' risaputo che l'idealismo di Pascoli è un idealismo, libero dai condizionamenti della società. Ed è per questa ragione essenziale, che in caso, di precarietà delle proprie condizioni economiche, Pascoli non avrebbe accettato una condizione di ripiego, chiedendo prestiti, perché sarebbe andato contro la propria morale che non ammette la vergogna del proprio status per chi opera secondo i dettami della coscienza. Il documento, riportato nel riquadro, con la scrittura del poeta che chiede un prestito al professor Di Paola, preside del liceo, è falso: lo si può appurare, effettuando una perizia grafologica. A sostegno della mia tesi, dico che la scrittura di Giovanni Pascoli, era piana e riposante, come emerge dai testi, conservati negli archivi, dell'Ateneo Magistrale di Messina. La “ti” di Giovanni Pascoli ha un taglio rivolto verso l'alto, mentre quelle del supposto documento, hanno un taglio trasversale amorfo. I segni amorfi sono quelli che rivelano la falsità di un documento. I segni particolari, evidenziano le peculiarità dell'indole e della personalità dello scrivente e per questo motivo non vengono imitati dal falsificatori; basterebbe una piccola disattenzione per smascherarli. Essi imitano preferibilmente, le aste in lungo: alte e basse, tralasciando la rotondità dei caratteri che convaliderebbe la falsità del testo.
Per un'approfondita indagine, basterebbe guardare il rigonfiamento di ogni singola lettera: le lettere palesemente tondeggianti, evidenziano alta spiritualità, desiderio di chiarezza e semplicità; sentimento di fratellanza che si evince anche dalle aste in lungo verso l'alto.
Le lettere poco gonfie, evidenziano, altresì, una spiritualità alta, poco legata alle cose terrene e sono peculiari delle persone proclivi alle scienze matematiche.
Le lettere, infine, caratterizzate da spigolosità, come nel caso del supposto documento, né rotonde, né ovali, sono indicative, invece, di personalità false ed ambigue.
La mia finalità è quella di far emergere la verità sull'indole, sulla personalità e sull'operato di Giovanni Pascoli, partendo da tutto ciò che ad un'indagine intellettuale, grafologica e logica, appare poco chiaro.
Molta importanza darò anche alle foto, molte delle quali ad una attenta osservazione, ma anche a colpo d'occhio, risultano contraffatte.
Giovanni Pascoli si ritiene offeso dalla “Soprintendenza archivista per la Toscana dei Beni Culturali", per non aver essa presa in esame, la richiesta di una perizia grafologica delle lettere, custodite nell'archivio della sua casa di Castelvecchio di Barga. Le lettere, in questione, sono quelle di Giovanni Pascoli, professore a Matera.
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