Scritto da © Manuela Verbasi - Mer, 11/06/2014 - 23:09
Giuseppe Ungaretti, poeta e scrittore, è nato nel 1888 ad Alessandria d’Egitto ed è morto a Milano nel 1980.
Il nostro ha compiuto un lungo percorso stilistico, attraverso l’elaborazione di forme poetiche che, con il passare del tempo, sono diventate sempre più complesse, mantenendo costante la cifra originale di una scrittura scabra ed essenziale, prosciugata, secondo i canoni dell’ermetismo.
Le sue raccolte sono L’allegria, Sentimento del tempo, Il dolore, La terra promessa, Il taccuino del vecchio, Nuove, Poesie disperse.
Come ha scritto Thomas Merton, che ha letto Ungaretti in inglese, il poeta è coinvolgente, la sua intensità ti annienta e l’onestà con la quale egli rifiuta di battere in nessuna altra cosa che sul suo chiodo, sul suo tasto è ammaliante.
Leone Piccinni afferma di non sapere quanto spazio sia stato dato dalla critica al fatto che la nascita della poesia in Ungaretti avviene in un clima di rapporti letterari e culturali del tutto a sé; è rimasto appartato, fuori dalla bagarre italiana del tempo, fuori dalla polemica e dalla necessità di una scelta, di una presa di posizione all’interno della nostra cronaca letteraria.
Si prendono in esame alcune poesie del nostro, estrapolati dalle sue raccolte, per un’analisi testuale che ci restituisca l’etimo, l’essenza, della scrittura ungarettiana
Da L’allegria (1914-1919)
Chiaroscuro
Anche le tombe sono scomparse
Spazi neri infinito calano
da questo balcone
sul cimitero
Mi è venuto a trovare
il mio compagno arabo
che s’è ucciso l’altra sera
Rifà giorno
Tornano le tombe
appiattate nel verde tetro
delle ultime oscurità
Poesia altissima, nitida, luminosa, leggera e compatta; si snoda come una partitura
musicale e bellissimo è l’incipit. Eleganza formale. Componimento risolto senza il minimo sforzo. L’energia della parola decolla soavemente nella chiarezza di un pensiero preciso. Il tema è quello della morte nominata attraverso le tombe e l’amico arabo morto suicida, che va a visitare il poeta in una forma lunare di misticismo.
Da Sentimento del Tempo (1919-1935)
Lago luna alba notte
Grandi arbusti, ciglia
Di celato bisbiglio…
Impallidito livore
Rovina…
Un canto solo passa
Col suo sgomento muto…
Conca lucente
Trasporti alla luce del sole.
Torni ricolma di riflessi, anima,
E ritrovi ridente
L’oscuro…
Tempo fuggitivo tremito…
Componimento bellissimo visionario nella sua vaghezza, sotteso ad un forte misticismo naturalistico. Magia e sospensione si coniugano nelle strofe ben dosate in ogni singolo sintagma. Si respira un’atmosfera di onirismo purgatoriale. La poesia è concentratissima e risolta efficacemente. I sintagmi si coagulano in un’armonia prodigiosa. E’ una descrizione che ha una carica fiabesca, con lampi di neoromanticismo e orfismo inquietanti.
Da Il dolore (1937-1946)
Tutto ho perduto
Tutto ho perduto dell’infanzia
E non potrò mai più
Smemorarmi in un grido.
L’infanzia ho sotterrato
Nel fondo delle notti
E una spada invisibile
Mi separa da tutto.
Di me rammento che esultavo amandoti,
Ed eccomi perduto
Un infinito delle notti.
Disperazione che incessante aumenta
La vita non mi è più,
Arrestata in fondo alla gola
Che una roccia di gridi.
Poesia dal carattere narrativo e affabulante, nitida ad elegante nella sua cristallina chiarezza. Scarso lo scarto poetico dalla lingua standard. Protagonista è l’io-poetante molto auto centrato che parla dei suoi dolori in modo sublime e senza gemersi addosso. Le quattro quartine libere si agglutinano armonicamente tra loro Mitizzata è l’infanzia, irraggiungibile e lontana e perduta nella rimembranza che diviene grido La notte diventa un nero baratro simile alla morte e anche l’amore, motivo di esultanza è perso.
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