-Era una notte buia e tempestosa…
-Fischia il vento, no? E nemmeno urla la bufera?- intervenne Piero con tono sarcastico.
-Ma stai zitto, avrei voluto vedere te al posto mio… Inutile che ora fai lo spiritoso- ribatté Massimo piccato.
-Ecco, bravo, stai zitto e lascialo parlare!
A pronunciare quest’ultima frase era stato Giovanni, il più giovane dei quattro uomini seduti al tavolo del bar. Piero fece spallucce e si mise a fare un solitario con il mazzo di carte con cui avevano giocato fino a poco prima. Carlo rimase in silenzio, allungò le gambe sotto il tavolo e scivolò con il sedere fin sul bordo della sedia, tenendo in mano la bottiglietta di birra e guardando di sottecchi Massimo, che riprese a parlare:
-Ecco, come stavo dicendo prima che Piero se ne uscisse con ‘sta cazzata del vento e della bufera, era una notte davvero da lupi: il cielo era scurissimo e c’era tutto intorno aria di tempesta. Avete presente quando scende il silenzio assoluto, proprio un attimo prima che si scateni l’inferno? Le bestie sentono l’arrivo della tempesta molto prima di noi e si zittiscono.
L’uomo si interruppe, bevve una lunga sorsata di vino, poi fece un gesto con la mano a Bianca, la donna dietro al bancone, per ordinare un’altra bottiglia di vino. La proprietaria del bar chiese a voce alta: “Lo stesso?”. Massimo fece segno di sì. In quel bar, appena fuori da Casalpusterlengo, si poteva bere il miglior rosato della zona, quello proveniente dalle colline tra San Colombano e Graffignana.
-Ero sul mio furgoncino e cercavo un posto dove potermi riparare per quando sarebbe scoppiata la tempesta. Conoscevo poco la zona ed ero in aperta campagna: tutto attorno non una casa o un ponte o una grossa pianta dove potermi rifugiare.
-Manco fossi stato alla guida di una Ferrari! Il tuo furgoncino, arrugginito e scassato com’è, non patisce di sicuro due gocce d’acqua…- l’interruppe Piero, continuando ad allineare le carte davanti a sé e girandone due alla volta.
-Arrugginito e scassato, eh? Dici? Ma per fare il trasloco per tua sorella andava bene, vero? E poi quel cielo non prometteva, come dici tu, due gocce d’acqua ma una vera e propria grandinata.
Piero non ribatté limitandosi ad alzare gli occhi al cielo, poi riprese a girare le carte. Per qualche istante più nessuno parlò.
Il primo a rompere il silenzio fu Giovanni:
-Dai, Massimo, non stare a sentire cosa dice Piero. Racconta! Cos’è successo?
-Se questo continua a fare il cretino- affermò Massimo indicando con un cenno della testa l’amico che l’aveva interrotto- non racconto proprio più nulla, perché questa non è una storia da ridere.
I due si guardarono in cagnesco per un lungo momento, mentre Giovanni fremeva e temeva il peggio. Era da qualche giorno che Massimo, Carlo, Piero dicevano mezze frasi a proposito di quanto era successo a Massimo il venerdì precedente nelle campagne di Bagnacavallo, un posto a più di duecento chilometri da Casalpusterlengo, ma ogni volta che lui chiedeva spiegazioni gli rispondevano con mezze parole e con un vago “un giorno, poi, ti raccontiamo”.
Aveva dovuto insistere non poco e promettere che quel sabato sera avrebbe pagato lui da bere pur di poter conoscere l’intera storia. Massimo e Piero erano alla seconda bottiglia di vino, Carlo alla terza birra. Giovanni, per limitare le spese, continuava invece a sorseggiare il bicchiere che aveva riempito ad inizio serata, anche se il dito di vino rimasto era diventato caldo e quasi imbevibile. Pensò che se Piero continuava ad interrompere, sarebbe servita una terza bottiglia. Finalmente Carlo, quello che parlava meno di tutti ma che quando parlava tutti lo stavano ad ascoltare, disse:
-Ha ragione Giovanni: ora tu Piero la smetti e tu Massimo finisci di raccontare cosa ti è successo. A volte, voi due, sembrate marito e moglie: sempre a punzecchiarvi.
Si alzò e si stiracchiò; poi aggiunse:
-Intanto vado a prendermi un’altra birra. Voi volete qualche cosa?
Gli amici scossero la testa e Massimo riprese a parlare come se non fosse stato interrotto:
-Stavo andando lentamente, quando ad un certo punto ho intravisto un piccolo spiazzo al bordo della strada. Mi fermai immediatamente, anche perché nel frattempo m’era venuta voglia di cacare. Sapete come capita: ti viene voglia sempre nei momenti meno adatti ma quando ti scappa, scappa.
Gli altri annuirono comprensivi.
-Sono sceso dal furgoncino e ho fatto qualche passo lungo un viottolo che partiva dalla strada. Avrò fatto sì e no una decina di metri, nel buio più assoluto e in un silenzio agghiacciante… Tutto era immobile e silenzioso, nessun fruscio di foglie, neppure una zanzara o un grillo che mi facesse compagnia. Sembrava fossi l’unico essere vivente su tutta la faccia della terra. A quel punto decido di andare nel prato per liberarmi e –lo giuro- per andarmene via il prima possibile da quel posto che sembrava dover diventare l’inferno in terra. Anche se faceva caldo avevo la pelle d’oca persino sulla testa, nonostante io non sia proprio una donnicciola…
Massimo si interruppe, come per raccogliere le idee, poi tracannò il vino che aveva nel bicchiere, lo riempì nuovamente e passò la bottiglia a Piero che aveva allungato la mano; infine ricominciò a parlare:
-Ho saltato il fosso, una cosa da niente, sarà stato largo due o tre spanne. Non so bene cosa mi sia successo, ma mi sono ritrovato lungo e tirato per terra, come se qualcuno mi avesse fatto uno sgambetto. Sono pure caduto male, perché ho sbattuto la faccia. Ho bestemmiato, poi ho iniziato a muovere una mano per cercare di capire dove ero finito e ho sentito una cosa rotonda. Ho spostato la mano e ho trovato un’altra cosa rotonda. Ragazzi, ve lo giuro, erano delle teste, teste di bambini perché non erano grosse ed erano pelate…
Piero e Carlo annuirono gravemente, mentre Giovanni rimase a bocca aperta e sentì il bisogno di svuotare il proprio bicchiere e di riempirlo nuovamente per la sorpresa.
-E poi?
-E poi? E poi sono scattato come una molla e mi sono messo a correre verso il furgone. Mi era persino passata la voglia di cacare. Sono salito su e sono partito a razzo. Se non ho fuso il motore quella notte, non lo fonderò mai più. Quel furgone sarà vecchio, però è un gioiellino per quanto riguarda la meccanica.
-Terribile! Ma sei sicuro che fossero delle teste? Potresti esserti sbagliato…
-Ecco, lo sapevo che non mi avresti creduto! Per questo non volevo raccontarti niente, ma hai così insistito! Tu, poi, mi conosci da poco… Loro -indicando con la testa Piero e Carlo- che mi conoscono da sempre, sanno che non racconterei mai una balla così grossa. Quelle erano delle teste e qualcuno mi deve aver fatto cadere.
Giovanni aprì e richiuse la bocca un paio di volte prima di riuscire a parlare:
-Secondo te cos’era successo?
-Guarda ne abbiamo parlato a lungo. Forse sono finito nel bel mezzo di un rito satanico, quei riti dove fanno dei sacrifici umani. Una volta ho letto una notizia del genere, ma non ricordo con precisione dove era successo... Posso solo ringraziare la mia buona stella se sono qui a raccontarvi tutta la storia.
Per qualche istante tacquero, ognuno perso nei propri pensieri. Giovanni riprese a parlare:
-Ma non hai pensato di andare alla polizia?
-Ma sei scemo? Mi sarei messo in un mare di guai. Manco sapevo dove mi trovavo…
-Però Giovanni ha ragione, dovevi fare qualcosa- disse Carlo con aria grave. Poi continuò:
-Si potrebbe fare una spedizione e cercare di rintracciare quel posto: che ne dite?
Si misero a parlare tutti insieme, a discutere sul come e sul quando. Era mezzanotte passata ed erano alla quarta bottiglia di rosato, quando Giovanni disse che si era fatto tardi e che se ne sarebbe andato a casa.
-Ricordati di pagare, prima di uscire- disse Carlo mentre lo salutava e gli augurava una buona notte.
Rimasti soli, i tre amici scoppiarono a ridere.
-Sei stato davvero bravo! Pensa che ad un certo punto ho avuto così paura che per farmi coraggio ho sentito il bisogno di riempirmi il bicchiere…- commentò Piero tra le risate degli amici.
-Beh anche tu sei stato in gamba: hai visto Giovanni com’era preoccupato per le tue interruzioni? Mancava poco che gli venisse un colpo- fece Massimo, quasi strozzandosi per il gran ridere.
-Se insistevamo ancora un po’, quello era praticamente pronto a partire per Bagnacavallo seduta stante. Ma si può essere così scemi?- osservò Piero dando una gran manata sulla spalla di Massimo.
Scolarono i bicchieri, poi Massimo, dopo essersi asciugato la bocca con il dorso della mano, alzò il bicchiere vuoto in una sorta di brindisi:
-Bisogna dare il merito a Carlo per la genialata di trasformare quella mia stupida caduta nel campo di meloni in una storia degna di quel regista, come si chiama? quello dal nome impossibile.
-Iccoc, si chiama Icocc! Ma cosa ve lo dico a fare? Dai Bianca, porta tre grappini che a questo giro offro io!
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