Sei stata, sarai
E te ne vai
nel luogo delle ombre
dove la luce spezza il raggio
Non troverai barriera al passo
feroce il tempo
selvaggio il vortice dei pensieri
di una realtà che scappa
Non troverai il silenzio della notte
per questo sogno quasi inventato
per quello che hai lasciato
strappandoci ancora al pianto
Sarai nel divenire poetico
in quel limite astratto
dove non esiste un margine
al soffio che ha spezzato il respiro.
Sarai
Raffaela Ruju
Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.
( Alda Merini)
Sono le stagioni che segnano il destino di Alda Merini, nata in primavera in quel ventun marzo del 1931 ci ha lasciato nella stagione in cui le foglie si adagiano al suolo creando quel tappeto di colore che a lei sarebbe piaciuto.
All’inizio la sua poesia si muove intorno a una realtà allucinatoria che arrende il lettore e sembra che ogni verso irrompa nell’immaginario, come se da questo la poetessa volesse attingere per non arrendersi. E lei non si arrende e ci racconta il crudo dolore dei manicomi in cui viene confinata; ci racconta l’isolamento delle anime diverse che non vogliono uniformarsi alla forma, alla visione della follia, alla morte stessa che il primo novembre l’ha carpita con quegli artigli di sofferenza e di malattia a cui il corpo non ha potuto sottrarsi.
E’ un paradosso morire il giorno di ognissanti e a me piace immaginare i suoi occhi che ridono di questa metafora, di questa definitiva assenza dal mondo, un’assenza che la vede risorgere molto più forte.
Viene il mattino azzurro
nel nostro padiglione:
sulle panche di sole
e di durissimo legno
siedono gli ammalati
non hanno nulla da dire,
odorano anch’essi di legno,
non hanno ossa né vita,
stan lì con le mani
inchiodate nel grembo
a guardare fissi la terra.
Nel 1965 viene internata nel manicomio Paolo Pini da cui Alda esce per brevi visite; da quel luogo d’inferno emerge la luce della poesia della Merini.
Cos’è per Alda Merini la poesia? e quanto la poesia è presente nella sua vita lo racconta lei stessa in questi versi.
Le più belle poesie
si scrivono sopra le pietre
coi ginocchi piagati
e le menti aguzzate dal mistero.
Le più belle poesie si scrivono
davanti ad un altare vuoto,
accerchiati da agenti
della divina follia.
Così, pazzo criminale qual sei
tu detti versi all’umanità,
i versi della riscossa
e le bibliche profezie
e sei fratello a Giona.
Ma nella Terra Promessa
dove germinano i pomi d’oro
e l’albero della conoscenza
Dio non è mai disceso né ti ha mai maledetto.
Ma tu si, maledici
ora per ora il tuo canto
perché sei sceso nel limbo,
dove aspiri l’assenzio
di una sopravvivenza negata.
L’uscita dal manicomio non segna la fine dei suoi malesseri esistenziali, e spesso si ritrova a vagare sola e abbandonata da tutti, nessuno l’ascolta e nessuno vuol dar corpo alla voce poetica di questa grande poetessa. Il senso di appartenenza cosmica e la ricerca di un’identità lo sentiamo molto forte in questi versi, in cui la poetessa sembra cammini a tastoni nella ricerca di Dio.
Chi sei
Sei il culmine del monte di cui i secoli
sovrapposti determinano i fianchi,
la Vetta irraggiungibile,
il compendio di tutta la natura
per entro cui la nostra indaga.
Sei colui che ha due Volti: uno di luce
pascolo delle anime beate,
ed uno fosco
indefinito, dove son sommerse
la gran parte delle anime,cozzanti
contro la persistente
ombra nemica: e vanno, in quelle tenebre,
protendendo le mani come ciechi …
21 dicembre 1947
Queste folli pupille
Queste folli pupille
troppo aderenti al ciclo dell’amore
spengile Tu, Signore,
e un colore uniforme
calami dopo, assolto ogni tremore
Perché più non m’illuda
di ritorni e di aspetti
e mi renda sotterra
nuda di voglie, ferma la golosa
tentazione dei vivi!
31 luglio 1953
Cristo portacroce
Quando lottavo duramente il giorno
per sradicare l’ora dal mio cuore,
sola entità di tenebre, angosciosa
era questa fatica alle mie mani.
Ma non so quale leggerezza imbeve
logicamente adesso la natura
del mio corpo rinato; so che muovo
allucinato il passo alle mie pene,
sento che in me recede il rigoglioso
volume del mio sangue e che più dolce
mi è liberare sguardi di paura.
11 novembre 1952
Anche la vita sentimentale della poetessa riflette la stessa agitazione che segna il suo vivere; un percorso ansioso segnato da lutti e da grandi passioni, questo la porterà alla contemplazione dell’incontro tra luce e oscurità dove scintilla contemporaneamente lo splendore e l’ ombra della passione; a testimonianza di questa passione Alda ci lascia moltissime opere tra cui:
La presenza di Orfeo
"Dalla solita sponda del mattino
io mi guadagno palmo a palmo il giorno:
il giorno dalle acque così grigie,
dall'espressione assente.
Il giorno io lo guadagno con fatica
tra le due sponde che non si risolvono,
insoluta io stessa per la vita
...e nessuno m'aiuta.
Ma viene a volte un gobbo sfaccendato,
un simbolo presago d'allegrezza
che ha il dono di una strana profezia.
E perchè vada incontro alla promessa
lui mi traghetta sulle proprie spalle."
Otello
Otello. Otello dalla voce rossa,
quaggiù non è più tempo di riscossa;
dalle verdi vallate della morte
alla tua sposa tu hai cambiato sorte.
Cerco l’ombra degli inferi profonda
e la palude mi diventa bionda;
altra donna ti è accanto,
altra natura
e tu mi hai rinchiuso nelle scaltre mura.
Molto spesso la Merini ricorre a figure mitologiche che utilizza in chiave metaforica per dare voce ai sentimenti, ai pensieri e ai suoi percorsi interiori. Nelle sue poesie ritorna spesso l’immagine dell’antro, della caverna, della grotta; queste figure rappresentano gli abissi, i tormenti e le sue prigioni interiori.
Spesso la Merini mescola elementi pagani con elementi che provengono dal cristianesimo e anche l’amore a volte è profano e a volte è erotico scatenandosi in un linguaggio visionario e a tratti ermetico.
“Le voglie erotiche
sono sempre riferite a un palinsesto” dice Alda.
La pelle nuda fremente
che di notte raccoglie i sogni,
la tua pelle nuda e fremente,
che vive senza emozioni
paga soltanto del mondo,
che la circonda indifeso,
la tua pelle non è profonda,
resta soltanto una resa:
una resa a un corpo malato
che nella notte sprofonda,
un grido tuo disperato,
e quello che ti circonda.
La tua pelle che fa silenzio, e lievita piano l’ora,
la tua pelle di dolce assenzio
forse può darti l’aurora,
l’aurora tetra e gentile
di un primo canto d’aprile.
In questo canto esplodono le armonie liriche e la poetessa si lascia trasportare dal profumo della carne in modo dolce e soave eppur, a tratti doloroso di quel vivere la pelle senza emozioni.
O il veleggiar del tuo caldo pensiero
sopra la mia parola
e il tuo dormire selvaggio
accanto al mio seno vivo:
o l’adombrarsi della primavera
quando cade il suono del seme
sulla terra feconda di parola.
Così tu sei l’esempio
del sole mio.
La tecnica dell’improvvisazione vede la nascita a getto di moltissime opere della poetessa, questa tecnica le sarà fedele compagna per tutta la vita segnando tutta la sua esistenza poetica, donandoci una forma unica di comunicazione dove la voce incarna la vita stessa del verso.
Concludo questo mio breve omaggio con un testamento che la stessa Merini ci ha lasciato, un testamento poetico e di vita che risale al 3 novembre 1953.
Il testamento
Se mai io scomparissi
presa da morte snella,
costruite per me
il più completo canto della pace!
Ché, nel mondo, non seppi
ritrovarmi con lei, serena, un giorno.
Io non fui originata
ma balzai prepotente
dalle trame del buio
per allacciarmi ad ogni confusione.
Se mai io scomparissi
non lasciatemi sola;
blanditemi come folle!
Alda Merini 3 novembre 1953
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano
-Direttore di Frammenti: Manuela Verbasi
-Autore: Alda Merini
-Recensioni e selezione di: Raffaela Ruju
-Foto di: ©Blue Road
-Redazione
-Editing: Manuela Verbasi
- Versione stampabile
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