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blog di francesco ballero

Dovremo chiedere perdono a maggio

Dovremo chiedere perdono a maggio
che rese inutile il volo di rondini
migrate sulla terra che attendeva
il fiorire degli occhi e degli anemoni
al vento fragile delle nostre sillabe,
dopo che il ghiaccio di febbraio punì
le nostre mani ingorde di incantesimi.
 

Partire per le terre degli altri

Sediamo, amici, fra i fiori di maggio
in colline ove gli occhi si acquietano
nel farsi attenti, splendono bellezze
dischiuse ad accogliere
il lievito di vita caldo di doni
di lampo in lampo cantando
ad un cielo così colmo di sole.
 
E poi partiamo per le terre degli altri

E da oggi vi dirò...

E da oggi vi dirò che me ne fotto
di quanto le è piaciuto raccontare,
io prendo la mia barca e vado al largo
- sono molte le terre da esplorare -
Cavalco le onde barbare, mi butto all'arrembaggio,
navigo di bolina, persino controvento,
poi faccio comunella coi matti e coi pirati.
E me ne frego delle sue ragioni,

Quale dio? quale uomo?

Mi ha raggiunto quell’ombra
in cui tutto si arresta
e nulla più si esprime.
 
Quale dio? quale uomo?
 
Pena assidua infinita calata
da voce e sguardo a una terra che ignora
il mio resistere ad ogni domanda.
 

Folle come gli uccelli

A cosa pensi, cosa attendi ancora
 
se ti appare così sfrenata pena
la memoria di un vortice di vento?
intanto io gioco in echi di universi,
là dove le tempeste si frantumano
sui moli ed un tuonare mi sommerge.
 
Qui muore il canto in piazza e nelle case

Madre

Di te vidi su un letto di silenzio
solo un’ombra tremante fra i ricordi
col suo involto di toppe e di rammendi,
e dalla tua grandezza la mia pena
prese la forma ansiosa di un tumulto
- sfioriva alla finestra il biancospino -.
 
Ma in me risuona adesso ogni tuo gesto

Sarà quando le cose canteranno sommesse

Questa avarizia che cade per piazze e per case,
e depone le sue paure nelle urne,
ha sogghigni di vuoto.
La notte avrà lo sguardo

Per me che amo il mare

Per me che amo il mare,  
 
che c’è dopo l’azzurro che penetra l’effimero
e freme fra i riflessi sulla pelle
di un viso che non può fissare il sole?
se tra le mani ho appena una conchiglia
che ne sussurra l'onda.

Io vivo da solo

Sì, io vivo da solo
e sono padrone di tutto
quando chiudo la porta;
i fiori sul terrazzo,
un disco di Chopin,
le poesie di Quasimodo

Ritorno alla poesia

Ancora una volta è il sole che benedice i campi,
laggiù sopra gli alberi
in trasparenza polvere di vento
e fra i cerchi nell'acqua
riflessi di parole.
Ora è l'uccello bianco di palude,
ora l'aria chiara, il profilo di una donna controluce,
lo sterpo di radura,
la nube che vagheggia chiaroscuri.
Tu subito con collera mi dici
di una luna che si alza sul dolore,
che tutti i rami torneranno secchi
quando la sete arderà anche i miei versi.
Ma io scrivo anche per te,
perché le tue tempie battano l'aria,
seppur mai saprò dire l'essenza di una rosa;
scrivo il percorrere che mi separa dal chiarore,
le pause ed il rumore di rotaie
e chi spegne la luce nel silenzio,
per non restare solo nel dilemma. 
 

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