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Siamo tutti latinisti 3°

AD HOC

Appunto per questo, a proposito, adatto alla cosa di cui si parla o che si sta facendo. Da non confondere con "a d.o.c.", sigla dei vini a denominazione d'origine controllata

 

 

A DIVINIS

La sospensione " a divinis" (officiis), dagli uffici divini, è una pena inflitta dal codice di diritto canonico a sacerdoti che si siano resi indegni del loro ufficio, per mancanze gravi. Pertanto non possono celebrare la messa, confessare, amministrare i sacramenti; tuttavia al prete colpito da questa censura resta la facoltà di confessarsi e comunicarsi, come un laico qualsiasi. Per mancanze gravissime, c'è la riduzione allo stato laicale, che restituisce il prete alla condizione di semplice fedele, privandolo dell'abito ecclesiastico, e dei diritti connessi alla condizione di chierico. Questa riduzione ha carattere "giuridico" non"teologico"perché il sacramento dell'ordine è per sua natura indelebile, tant'è vero che in caso di necessità il prete spretato può amministrare i sacramenti. Una conferma di ciò l'abbiamo nella locuzione proverbiale "sèmel àbbas sèmper àbbas" chi è stato abate una volta, resta abate per sempre.

 

 

AD KALENDAS GRAECAS

Parlando dei debitori morosi, dai quali era vano aspettarsi il pagamento di quanto dovuto, Augusto diceva ironicamente (lo racconta Svetonio) "pagheranno alle calende greche".Siccome nel calendario greco le calende non esistono,"ad kalendas grecas" equivale a "mai". Già che ci siamo, ricordiamo che cosa sono le calende greche. Il mese dei nostri antenati latini è paragonabile a un ponte su tre pilastri, che sono tre giorni fissi: le calende (ilprimo del mese) le none (il giorno 5), le idi (il giorno 13). Nei mesi di marzo, maggio, luglio, ottobre le none e le idi venivano spostate, rispettivamente al 7 e al 15. Giulio Cesare fu ucciso alle idi di marzo, cioè il 15.

Come veniva determinato uno qualsiasi degli altri giorni del mese? Conteggiando quanti giorni lo separavano dal più vicino di quei tre giorni fondamentali. Un calcolo un po’ complicato, ma i romani v'erano abituati.

 

AD LIBITUM

A piacere, a volontà, secondo il proprio capriccioso desiderio. Nel secondo girone dell'Inferno, Dante colloca tra i peccatori carnali la regina assira Semiramide la quale "a vizio di lussuria fu si rotta che libito fe' licito in sua legge per tòrre il biasmo in cui era condotta"

Inferno V. 55-56

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