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blog di Franca Figliolini

Nelle mani

  nelle mani e' trattenuto un gesto
una tensione dal gomito alla punta della dita
un fervore inatteso e vitale
privo di turbamento e di malizia
 
come quando nuove foglie nascono dal ramo
srotolandosi e protendendosi alla luce
 
sarà sogno o sarà realtà
o non sarà niente di tutto questo
qualcosa come una pausa fra due note
una soluzione di continuità
: comunque sarà :
 

Incipit

c'è un po' di mare in quest'aria azzurra
confinata tra i palazzi
 
arriva da lontano ad onde vaghe
come un sogno

Cartoline da Vienna

1.
 
Non ti dirò del sole che piega

per una strada diversa

e disegna un percorso che non conosco


 
né dell’assenza

che è un rapido addensarsi di nubi

cirri dai cupi contorni di pioggia


 
Ti racconterò del caffè pieno di gente

e della musica in quella chiesa

e del sorriso della bambina al suo cane


 
della passeggiata sul Graben

e delle storie nelle strade


 
di come ogni luogo ormai s’assomigli

ma ci si perda lo stesso

 
2.
 
La signora giapponese

vestita armani e calzata inglese

pela con le unghie laccate da smalto francese

l’uva cilena nel bestwestern viennese


 
I semi pero’

li sputa con precisione

disegnando parabole orgogliosamente nipponiche

: ogni sputo un centro

nel tovagliolo piegato con l’origami


 
Il signore tedesco

la guarda con ammirazione
ché lui di precisione se ne intende

finalmente capisce perché erano alleati

ma lui è ormai completamente de-semizzato

e inghiotte tutto, senza sussultare


 
E mentre chiacchiero in inglese

con un simpatico portoghese

penso (in italiano)

che il mondo è davvero uno strano paese.

 
3.
 
Lasciamo stare

che anche qui come ovunque

il selciato è intriso di sangue e dolore

mai lavato dalla pioggia

appena assopito sotto la neve

pronto a brillare insieme agli ori

al sole della primavera


 
E se percorro una strada

che si chiama blutgasse

ci sarà un motivo per questo

                         [nome crudele


 
E dove vuoi che sia altrimenti?

non c’è altrove per l’uomo

solo il brutale qui ed ora

il brusco memento della ferocia


 
e d’altronde c’è anche la musica, senti?

Tanta, e così bella…

Forse è un modo per chiedere perdono

al proprio essere

:

creare bellezza

pretendendo una natura divina
 
 

La storia e le storie

«Io gli credevo. Avevo fiducia in lui. Lui rappresentava la patria, la continuità. Cosa volevi, Maria? Che mi mettessi coi comunisti?»
«Che c’entrano i comunisti? Sempre co’ ‘sti comunisti. Mica c’erano solo i comunisti nella Brigate partigiane. C’erano i bianchi, gli azionisti. E tu? Tu coi badogliani. Con quello. Già dopo Caporetto si sapeva chi era quello. E poi le guerre coloniali, ad ammazzare indigeni con l’iprite. Ma come si fa ad essere Badogliani? Giuseppe, dimmelo, come si fa?»
«Io non lo sapevo. Sapevo che lui era con il re…»
«E già, infatti era con il re, anche quando sono scappati e hanno lasciato Roma indifesa. Gli alleati ci avrebbero protetti e invece no. Hanno pensato solo a mettersi in salvo loro.  E ci hanno lasciato qui, nelle mani dei nazisti. Tu che ne sai? »
«Io lo so. Io ero in montagna, mica a Brindisi con loro. Sarà stato mal consigliato, sai…»
«Si, proprio. Mal consigliato… come Mussolini. Sono sempre mal consigliati questi. Mai una responsabilità personale per le nefandezze che hanno commesso. Lo so che eri in montagna. Ma noi eravamo qui, Giovanni ed io. Qui a Roma, coi nazisti che imperversavano. Che ne sai tu?  La città sembrava morta, morta. I nazisti ovunque, come un cancro. Ci difendevamo come potevamo. Sempre a scappare da una casa all’altra, con la paura di essere denunciati.»
«E certo. Io ero altrove. Giovanni ti era vicino…»
«No, non è questo. Troppo facile, Giuseppe. E’ che le scelte definiscono gli uomini. Io non ti amavo più. Non ti stimavo più. Tu hai fatto una scelta, ed io ho fatto la mia»
«Ma che c’entra la politica con l’amore? Noi pensavo di sposarci, di fare dei figli insieme. Tu mi hai tradito. Mi hai tradito: è questa la verità, e basta.»
«C’entra. Quando la storia prende il sopravvento sulle nostre storie personali, c’entra. Io non ti ho tradito. Siete voi badogliani che avete tradito gli italiani.»
E Maria se ne andò, sbattendo la porta. Stavolta per sempre.

 

Maria Assunta

La chiazza di sangue era enorme.
Il rosso brillante si stava già scurendo ai bordi, virando verso il nero.
Mamma e papà capirono finalmente cosa aveva cercato di gridare nonna dalla finestra e misero una mano davanti agli occhi di noi due bambini, perché non vedessimo quell'immensità rossa spuntata nella tromba delle scale di casa. Ma era troppo tardi. Avevamo già visto. E se anche non avessimo visto, sarebbe bastato l'odore che impregnava tutto: un odore denso, sconosciuto e dolce.
Ci spinsero in fretta in ascensore, e poi in casa. Mentre aspettavamo il pranzo seduti in salotto, sentivamo i genitori e mia nonna che confabulavano in cucina. Non ci dissero niente, nessuna spiegazione. Ma noi sapevamo che bastava aspettare. Quando mamma e papà furono usciti per tornare al lavoro (allora non esisteva l'orario continuato), chiedemmo a nonna. E lei, con la tipica ruvidezza contadina di chi ne ha viste tante, rispose: «Ma niente, quella pazza di fronte si è buttata di sotto, dall'ottavo piano». Mio fratello voleva sapere i particolari: come avesse fatto, quanto ci avesse messo per arrivare e com'era dopo essersi schiantata a terra. Io chiesi perché. Alle domande di Paolo, mia nonna rispose con dovizia di dettagli. Alla mia, con un'alzata di spalle ed un sollevarsi degli occhi dal cielo.

Trilogia del panico

1.
 
Quando il buio
è ventre
di morti improbabili
di mie morti
corpo ridotto alla sua fisicità
carne e sangue e ossa
 
                                             la voglia di piangere
                                             è un nodo nel cervello
                                             una lama le lacrime
                                             che rotolano sul viso
E sono stanca
incapace di accettare
questo lento rovinare
 
verso il nulla
 
 
2.
 
Chi sei chi sei e cosa
                           vuoi
                quando stringi i denti

Poeti - 2

 2.
 
                          [Majakowskij]
 
Ah, come amo Majakowskij

     ed il suo vessillo

                    rivoluzionario

Soffocato dai drappi funerari

                dei burocrati assassini

 
La sua morte
            non fu resa

                    cedimento

 
Ma l’unico modo

Di dimostrare

                    che il popolo
                                amava 

                                            il suo canto 

 
In centinaia di migliaia

            al suo funerale

Il marinaio e Poseidone

«Lasciami vivere, Poseidone!
Placa la tua ira
che mi fradicia e travolge
sbattendo e lacerando le vele
riempiendo di sale le ferite che m'inferse
                                                     [la vita
per la sola colpa d'essere con lui,
Odisseo dalle mille astuzie.
 
Lui s'è vantato di aver fatto tutto da solo,
lui ha accecato tuo figlio Polifemo.
Io ero solo lì,
un marinaio bruciato dal sole
che nessuno protegge o sostiene
: né un dio né un umano.
 
E adesso mi sbatti come un fuscello
sulla nave che beccheggia impazzita.
 
Ho paura di questa nera distesa
che mi vuole inghiottire.
 
Oh, potentissimo dio,
risparmia la mia piccola vita.
Prendi lui non me, te ne prego.
Ché io non ho colpa
né potevo fermarlo.
 
Salvami, salvami
fratello di Zeus, dio dei profondi abissi!»
 
Così pregava il marinaio di Ulisse,
ma l'onda lo travolse e l'uccise.
Nessuno conobbe il suo nome,
nessuno cantò la sua storia.
 
Non sfidò, non vinse, non visse.
 
Poseidone l'affogò nel mare
: noi lo condannammo all'oblio.
 
 

Taormina

non siamo fatti per sostenere lo splendore
di questo mare che s'annera
sotto al cielo livido
 
della terra spaccata dai fichi d'india
che strapiomba e si perde
mangiata dalle onde
 
no, non è per noi
che abbassiamo lo sguardo e tiriamo avanti
ma per quel gabbiano
che plana
solo
 
perdendosi all'orizzonte
 
 
Taormina, 26 marzo 2010

Felice da morire

Lei aveva un rapporto quotidiano con la sua morte. Non che la desiderasse, non più di quanto avesse desiderato la vita, d'altronde. Solo che, come dire?, sapeva che prima o poi sarebbe capitato, così come le era capitato di nascere le sarebbe capitato anche di morire. In realtà accumulava anche quelli che adesso si chiamano "fattori di rischio" come se li collezionasse - questo ce l'ho, questo mi manca. Sicché si sarebbe potuto supporre un certo gusto per l'autodistruzione, ma non c'era compiacimento in questo, solo che non la vedeva come un rischio, la morte. Piuttosto come una certezza. Trovava stucchevoli tutte quelle dichiarazioni sul fatto che fumare o essere grassi accelerassero il processo: come si può accelerare ciò il cui tempo non è previsto né prevedibile? Non è come se gli esseri umani avessero una data di scadenza, ma solo se conservati in modo corretto. Solo, ad un certo punto, almeno finora, ed estrapolando dai precedenti, e senza voler porre ipoteche sul futuro, accade che muoiano.

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