Nelle Tue Mani di Pizzo e di Piuma.
(Nel cavo della notte)
Fuochi da bere
toccandoti il cuore,
occhi fantasmi
su giorni mai nati.
Rintoccano i tacchi
su velo di seta
a legare il tuo viso
alla zingara terra.
(spremo cocci di lacrime)
Parole baciate di sogno,
cadono lievi
in coppe di vino,
fugando il domani temuto.
Porto la spada
come una rosa,
offro la rosa come una spada,
a trafiggere noi, anime sole.
(nelle tue mani di pizzo e di piuma)
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un tram ...
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Cose Così [fire]
Alexis, Fire - Spirito di Fuoco, Carbothelli su cartoncino, 2009
Cambia ad ogni passo l'ultimo tempo
soggiace sgorgando sangue inaridito
si rinserra di corde deliziando
così trascorre il giorno e guarda altrove
inginocchiato il cuore di spazi che imprimi
a riempirsi la bocca di fuoco e di spighe
Manuela
dedicata alla mia amica Alexis
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Il Bacio che voglio
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L'ultimo sguardo d'amore
L'ultimo sguardo d'amore
dorme in posa con i gatti sopra il fieno
in un delicato dolore che non tace
e' piccolo pesce
pettirosso esile dal volo incerto
a toccare il contorno impreciso del mio cuore
il mio ventre morbido
si srotola in un buio rappreso
in una piccola alba ingrata
in un ronzio di calabrone
posando i suoi occhi di farfalla
in un frontespizio nero
scomposto in un letto sfatto
in una stanza col colore della neve.
Ha le ossa dolci
mani di tempesta
un ciuffo di grano scuro
appoggiato all'albero di ciliegio davanti alla finestra
sorride della pioggia
in un canto d'Andaluz
rosso corallo.
L'ultimo sguardo d'amore
già divenuto addio.
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Per metafore
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Gnagna Meneghina
Quando mi trasferii nella mia nuova casa, in un paese così piccolo, dove non potevi fare uno starnuto senza che tutti lì intorno lo venissero a sapere, beh a quell’ epoca ero una ragazzina insulsa, impacciata, timida e magra come un chiodo ed anche l’unica ragazza di tutto quell’odioso microscopico paese fatto di vecchi che non avevano un nome proprio ma dei nomignoli come:Momigrando, Momipicio, Magnapatate, Mesapipina, Barconselo, Batoceta, Batirame, Bonanova, Spalavier, Nassavecia,Negavescovi, Sivoleta ect. ect.
La mamma ed io fummo costrette a lasciare la città che tanto amavo dopo la morte di papà causata da un incidente sul lavoro ed a trasferirci nella casa dei nonni che ora apparteneva alla mamma e l’unica che potevamo permetterci visto quel poco di sussidio che l’assicurazione ci passava.
Appena la vidi misi il broncio e cominciai a piangere. Era così piccola in confronto al bell’appartamento lasciato in città, e per giunta pure isolata. Come avrei fatto a sopravvivere in quello squallore proprio non immaginavo.
Per giorni cercammo di sistemarla e renderla più accogliente. Dipingere le tre stanze fu uno spasso ma il risultato non fu dei migliori. Io di notte piangevo ripensando alla scuola ed alle amiche, laggiù in città.
Fu una mattina, una delle tante del mio solito gironzolare per i prati ed i sentieri di campagna, che incontrai la donna che divenne per me quasi una nonna. La sua casa era a pochi passi dalla mia e quando ebbi occasione di entrarci scoprii che aveva un’unica stanza divisa a metà da un soppalco, di sopra c’era il suo letto e sotto la cucina, con un’unica lunga finestra che illuminava tutte e due le parti di quella buffa casa, il bagno naturalmente in cortile, ma era talmente linda, ordinata e perché no profumata di erbe che la donna raccoglieva e colma di cose interessanti che ne rimasi subito affascinata. Leggi tutto »
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La luce rosata dell'aurora
Contavo d’arrivarci al più presto,
prima che la luce rosata dell’aurora
tingesse l’onde lievi,
volevo andar via, prendere il largo,
solo io e il gozzo color striato d’azzurro
mare e bianco d’insistente luna.
Avevo corso tutta la notte,
scendendo giù per l’irrequieta scogliera,
a tratti incontrando solo ombre inesistenti
che infiammavano ancor più la piaga
delle mie amiche le incertezze.
A tratti, come accade per quelle mie vie,
una stretta screpolata stradina
mi conduceva più veloce
verso la meta che anelavo,
timoroso tardi di raggiungerla.
Non c’erano gechi già sui muri screpolati
né serpi tra la scabra e fragrante erba salata,
io solo c’ero, e la mia corsa di fanciullo
invecchiato di sole di mare e di speranze.
Alfine giunsi sulla spiaggia calma
di sole e di rumore, i piedi nudi agitar
facevano la sottile rena. Ecco la mia vela.
E io solo, gli ormeggi sciolsi e presi il largo.
Antonio Ragone (Da "I passi sul sentiero sconosciuto" Liberidiscrivere.eu 2009)
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L'uomo e la notte
Le voci umane
sono tremule foglie
al vento
d’una notte tiepida
d’estate:
e l’uomo quasi
si perde
in questo notturno
silenzio.
Antonio Ragone (Da "Viaggi verso il porto" Gabrieli International Editor 2004)
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L'assenza
Lo incontrai per una strada di fango
- il buio nascondeva il suo volto e non lo riconobbi -
erano già tutti dentro, seduti accanto
ad un boccale di vino. Mancavo solo io,
io, io fui l’ultimo a giungere al casale dei pescatori.
M’attendevano da tanti anni, e quando
entrai era già tutto finito, quelli già tutti
erano andati via. O non erano mai giunti?
Nessuna macchia di rosso vino sulla tovaglia c’era,
che sempre scorre nel berlo. Uscii.
L’uomo che fuori al buio non riconobbi
non lo conobbi mai, solo perché
semplicemente non era mai esistito.
Percepivo l’odore della nebbia nel respiro,
nessun lampione pur fioco illuminava la fanghiglia.
Ero solo, e se qualcuno avessi mai incontrato,
saremmo stati – io e lui – ancor più soli.
Vagando, vagando, pervenni alfine al porto?
Questo, questo, solo per la salsedine nell’aria?
Non seppi mai se anch’esso fosse mai esistito,
il mare, intendo, così immenso
per essere davvero mai esistito.
Quella notte, una buona volta, niveo da secoli,
intesi che nulla era tangibile,
perché nulla è ciò che in verità aneliamo.
Nella nebbia e nell’odore del mare,
che da sempre per me solo m’ero inventato,
all’improvviso pensai di rivedere
l’uomo nascosto nel buio.
Fu un attimo, poi disparve, perché non c’era.
Naturalmente perché non c’ero anch’io.
Antonio Ragone (Da "L'isola nascosta" Ed. Akkuaria 2007)
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