Un tedio colorato
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La luna di Dachau
il loro nitrire
il lavacro autunnale dell'orrore
il drago che taglia bionde chiome
in questa luna che balugina sbiadita
tra l'oleandro e il limone
qui a Dachau
gli zoccoli di cristallo
nel chiaroscuro di un lume
in un mistico plenilunio
d'ombra mai vibrate
meste in un cerchio d'ape
irriverenti nel loro essere carne
morbide d’amore
croci abusate nella pace del solstizio
vedo pietre grezze
folli giumente
la fibra indegna degli illuminati
occhi di cani lupo
la vita parcheggiata al limitare del campo.
siamo solo transiti
appoggiati a uno spicchio di luna di talco.
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La casa vecchia
la casa vecchia
nella malia di cicale chiassose e di formiche
tra la malva rosata e il biancospino
in una curva dentro la città
celata delle acacie
dai fruscio incessante dei canneti
dai vecchi nidi queruli dei picchi
lo strazio delle foglie
vibrando di rosso e d'arancione
nei suoi fianchi tondeggianti
nel profilo ispessito dei lecci
nelle sue messi cullate a tarda sera.
nella canicola d'agosto
con collane di semi e conchiglie
navigavamo senza bussola o timone
tra le bisce della tana verde
ci orientavamo con le lucciole
contando nel cuore chiodi d'argento
l'alba di un crepuscolo audace
facevamo l'amore in silenzio
scambiandoci la foce,il lago,il mare
accendevamo le illusioni
spegnevamo sotto un grezza luna
il dolore fecondo della vita.
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The Wale
Vai Achab
stinto dalle intemperie
sulla rotta delle balene
il Pequod agganciato ad onde molli
a bordare la notte di squarci di sogni
di polle sorgive
di pallide stelle capovolte
recidi con la forbice
le primule gialle sulle prode
il ricordo dell'ultimo amore a Nantucket
il suo assillo dolce
la sua lenta nenia d’infinito
le astruse memorie in un porto di frontiera
traccia impietosi confini
arso di artigli fissi
illumina boccaporti
intreccia i capelli con le nuvole
a un sibilo di mare
nella precisione delle partiture
nella trine labili di vento
lascia cadere i baci come foglie
a bordo cuore
nel linguaggio chiaro della neve
per poi colorare la luna di porpora d'argento
le doglie del cielo
i dirupi scoscesi del tempo
e nel tuo vecchio bastimento
plasma collane di corallo
corone di rosa spina
quando la pioggia sarà alta marea
sanguinanate nell'anima e nel corpo
risacca
isola
o solo foce.
Femmine le dune.
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Gli occhi di Alda
Erano belli i tuoi occhi
Alda
dolci come quelli dei cani abbandonati
dolorosi come il lamento degli agnelli
la vigilia della Pasqua
caldi come un nido trattenuto tra le fronde di un castagno
nascondevano sotto le ciglia
urla e risate blasfeme
incubi
solitudini precoci
il cuore umano dei mutanti
arcani
vibravano di luce cristallina
di desideri oscuri
per le strade labili della mente
nel buio che ingoiava la tua carne
impazienti nelle tue sere giocate a carte con la pazzia
in uno slargo di sole
in un sonno d'altri tempi
ammaliavano
stanchi di una travagliata vita
scossi di torpore
nascosti come rospi sotto i sassi
nello sbattere lento delle tue parole appese al vento
lame di luce percossa
naufraghi e viandanti in notti di fine inverno
gemevano alla luna
in eco al suo latrato
feriti
celati tra le ombre
fiochi di lacrime che ti rigavano il viso
nascosti in un vecchio specchio delle brame
languidi come amanti esuli
raccoglievano smarrite dolcezza
agri di amori perduti
i tuoi occhi di fiaba sussurrata
che oggi hanno visto il paradiso.
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Il mio cuore stanco
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Didone
E io sono quella con lo sguardo sottile
gli occhi chiari schiariti di sole
le mani piccole a raccogliere stelle
il cuore a saggiare l’approdo
il ventre a partorire la morte
il suo amplesso blasfemo
e lui
è quello dallo sguardo di fuoco
gli occhi d’oro e di nuvole
che vaga in una Cartagine azzurra
in silenzioso cordoglio
all’ombra di antichi guerrieri.
lo tratteggio a matita
il suo sguardo indeciso
nel lamento di un giorno d’autunno
con Tiro alle spalle
Pigmalione pellegrino sui fianchi
adesso che i nidi non hanno più uccelli
e il bosco non ha più spighe di grano.
sembro una bambina nella mia tunica bianca
sembrano rose le orme di sangue e di neve.
Sembra impossibile che sia già ora di andare.
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Al mercato di Monghidoro
Era brulicante di vita il mercato di Monghidoro, in una vallata stretta tra abeti e latifoglie, accovacciato tra l’edera e il muschio, all’inizio della salita. Dolce come l’oblio del tempo, con uno scampolo di sole che indugiava sulle stoffe rovesciate, sulle verdure fresche, sui lenzuoli candidi di bucato sparsi sulle bancarelle. Sono rimasti dentro di me i suoi odori, i suoi colori continuando a disfarsi e reinventarsi nello scorrere dei giorni, pesando sulle mie membra, diventando ricordi sottili di memoria bambina, dolci rimpianti d’infanzia col sapore del vino caldo. Quasi un segreto, un piacere interiore, i contorni delle cose che diventavano malinconia, le persone ormai scomparse che si trasformavano in sogni, scheggiando ineluttabili il ciclo senza sosta della vita. Iniziava quasi all’alba nel borgo sonnolento, allargandosi fino a coprire tutta la strada fino alla piazza della chiesa: rubiconde donne di campagna si affannavano a vendere galline ed uova di giornata, contadini con i pantaloni di velluto offrivano mucche o vitellini appena nati. Erano centinaia i banchi che si ammassavano l’uno sull’altro, a cominciare da quello che vendeva i chicchi grossi di caffè tostato, a quelli che mostravano croccanti appena fatti, bastoncini a righe lunghe di zucchero caramellato. Il giovedì mattina si riempiva di un via vai incandescente, in un tempo teso al nulla, mischiato ad affari di cortile e a compere sfiziose. Ci si perdeva nelle enormi ciotole di terracotta in vendita accanto alla farmacia, e le bocce di vetro con la neve che scendeva, facevano pensare alla pigrizia ovattata dell’inverno che stava per arrivare. Luccicanti, eteree, sgusciavano dalla stoffa sottile del banco in mille forme, con i fondali popolati da pupazzi con il naso a carota, candidi e azzurri, di una dolcezza fittizia. Inebrianti nel fondo dell’acqua. Leggi tutto »
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L'ultimo sguardo d'amore
L'ultimo sguardo d'amore
dorme in posa con i gatti sopra il fieno
in un delicato dolore che non tace
e' piccolo pesce
pettirosso esile dal volo incerto
a toccare il contorno impreciso del mio cuore
il mio ventre morbido
si srotola in un buio rappreso
in una piccola alba ingrata
in un ronzio di calabrone
posando i suoi occhi di farfalla
in un frontespizio nero
scomposto in un letto sfatto
in una stanza col colore della neve.
Ha le ossa dolci
mani di tempesta
un ciuffo di grano scuro
appoggiato all'albero di ciliegio davanti alla finestra
sorride della pioggia
in un canto d'Andaluz
rosso corallo.
L'ultimo sguardo d'amore
già divenuto addio.
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Lo sguardo di Daniel
E' oltre l'assenza
lo sguardo di Daniel
indurito da indomite ciglia
voglioso di notti di cani randagi
avvolto da un sudario di luna
si appaga di lievi stupori
d'ambrosia e cristallo
sbilenco nel costato che freme
è lo sguardo di un cecchino crudele
nascosto in una sciarpa di vento
in un mantello di porpora scuro
è furore che passa per la cruna dell'ago
una serpe bianca nel seno
sparpagliato su rughe alla fronte
nei suoi occhi verdi di stagno
abbeverato da croci
che si posano piano
sulle perle del collo.
E sono amore crudele.
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