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I silenzi del comunicativo - Delle tue colonne ancora

Non ci sono più fumi a Londra
non aspettano i risvolti

I due nemici

Il Caporale Jon mastica in continuazione chewingum impeccabile nella sua uniforme estiva dell'esercito USA: camicia e pantaloni lindi. stirati a vapore, con delle pieghe talmente evidenti da sembrare la divisione del mondo e scarpe nero brillante. Appoggiato allo spigolo della porta, con aria indifferente, da atleta a riposo, si guarda le unghie delle mani, cercando qualche imperfezione. Introduce e accompagna alla porta i prigionieri che vengono escussi nell'ufficio del Comandante. Un tipo dall'aria efficiente seppur con quel vizio maniacale della cura delle unghie. Era un posto di responsabilità, eppure lui appariva quasi superfluo. Come sogliono fare gli americani, in fondo al corridoio, prima della serie di porte per gli uffici, era posto uno specchio, perché gli ospiti si acconciassero a dovere prima di presentarsi, non per vanità ma, perfezionisticamente quasi a testimoniare che la forma è sostanza e Jon, se possibile, l'ha consumato fino alla più sottile lamina riflettente. Bello, fisicamente, come deve essere bello un vincitore, Jon, sebbene non avesse sparato un colpo di fucile, era tra i vincitori della guerra.
S'accende la luce rossa sulla porta dell'Ufficio Interrogatori, Jon apre la porta e due MP escono con in mezzo un soldato in grigioverde.

L'attesa

Aprii di colpo gli occhi. Un sudore gelido ed appiccicaticcio mi teneva incollato al letto e la sensazione di essere osservato era sempre lì, prepotente. Girai lo sguardo e fu allora che La vidi. Seduta accanto al letto con la testa china, pareva dormisse accanto a me.  Attendeva. Fu così, per un anno. Cambiavo spesso letto e stanza, ma Lei non si confondeva ed ogni volta la ritrovavo seduta, paziente, in attesa. Quante volte ho provato a spiegarle che la mia presenza era fortuita, non voluta. Non alzava neppure lo sguardo, immobile statua di sale, muta. La sua presenza, seppure così inquietante, alla fin fine mi fa compagnia - pensai- mi stavo quasi abituando a questi strani e periodici incontri fatti di completi silenzi  e di attesa oramai condivisa.  Una voce a me cara mi richiamò alla vita. Era l’ultimo giorno. La Signora alzò la testa e vidi i suoi occhi: gelidi pezzi di cristallo sfaccettato che riflettevano la mia immagine e me la rimandavano scomposta, spezzettata. “Non si fa aspettare così una Signora…” mi disse aprendo per la prima volta quella specie di ferita sghemba che le attraversava il viso. Si alzò e scomparve. La puttana.

Quando piangi...

E' un vulcano la notte tua
bagnata di lacrime
Trasforma l'uomo in agnello
ferito
E' un privilegio il tuo pianto
 

Metafora nautica

Sulla plancia, la pancia della nave.
Nella stiva, la sua parte digestiva.
A bordo, due generi di pellegrini:
esposti, dei passeggeri sopraffini;
nascosti, dei batteri clandestini.
A dritta, la garitta
della guardia che veglia sulle rotte.
A babordo, la spia che ci sorveglia di notte.
Sul masto, dei cuscini
per contemplare comodamente
il mare vasto.
All'ancora, un atto pratico.
In sala macchine, il patto simpatico
tra il guasto e il meccanico.
Al timone, un comandante sornione.
E le vele, chi ce le issa, chi ce le scende?
L'eleganza di questa ciurma ci sorprende.

A prua, la paura di farsi la bua.
A poppa, la prudenza non è mai troppa.
Ma l'istinto a restare, o a restar solo,
prima o poi uno lo abbandona al molo.

[02102009]

Metafora automobilistica

Se andassimo a miscela
avrebbe compito facile chi cela
emozioni ed empatia
dietro lo specchio dell'ironia,
sotto il distacco del commento caustico,
o chi archivia l'orgasmo col sarcasmo.

L'occhio una cella fotovoltaica,
l'orecchio una cimice, il cervello
ovviamente un calcolatore, la schiena
la scocca, lo stomaco un carburatore.
L'ostetrico in catena di montaggio,
l'anagrafe al concessionario,
il medico dal meccanico,
il becchino al ferrivecchio.
Eccetera eccetera. Che museo delle cere!

Però, per un bacio tremerebbero
le cerniere. Tra i due petti incollati
deraglierebbero i cuscinetti a sfere.
Il cuore da bravo volano vibrerebbe
fuori dal suo contenitore.
E nel far l'amore piano, esulterebbe
un tripudio di cilindri nel motore.
Il cinismo è una forma del pudore.

[02102009]

Guscio per io solo.

tutto il calcare dell'universo
ho fuso per costruirmi il guscio
che perlaceo diventa intorno a me
fuso dalla mia fantasia
così che la solitudine
perfetta perla traslucida vi covi
cresca e brilli viepiù.
l'alimento dei versi più belli
con musiche inebrianti universali
di muliebri forme e caldi corpi
per molcere il sogno di vivere
in tranquille valve paradiso
entro l'invoglio glabro solingo
al riparo dalle vita che non so vivere.
 

Fruscia l'erba d'un sorriso

verde sul Tamigi
 
Fioca spettrale evanescente danza,
malinconica e irraggiungibile,
pallida la luce della sera.
Sento il vento intonare una canzone
oscura. Monotono sfiora il viso,
con una carezza fa stormire
i rami e fruscia l’erba d’un sorriso
alterno. Ombre sfilacciate, i sogni
della notte abitano ancora angoli
nascosti finché il sole s’appende
all’aria come una garza gialla.

La preda

In preda
alle più pigre strade
fui madre
con i miei soli d’aria
E padre
eterno e a mente mia
m’addentro
sui suoi sospiri ed impari
Imparo
quei timpani nei tacchi
mi stacco
con tocchi ad occhio e croce
Nei muri
ridotti in crepe sfitte
riletti
dal fine fino agli ossi
Son orso
ed arso dai rimorsi
fui perso
presso qualsiasi morso
In preda
a dritte vie mal dette
m’imbatto
felice io il carnefice
Son figlio
di tutti i giorni morti
fraterno
con lo straniero perno
In preda
alle più pigre strade
son grigi
i miei difetti o pregi
In preda
all’avventura dura
approdo
lì dove trovo cura
La preda
o pietra della vita
affina
il cinico mio scandalo
E scaldo
un latte ad alto importo
lo sconto
e poi mi scontro a torto
In preda
alle mie piaghe e pieghe
io prego
in piena affondo e affido
Quest’arte
impoverita a parte
affranca
chiunque e me compreso
Affranto
e lacero è il mio manto
non mento
scultore son del marmo
In preda
creatività composita
folleggio
in rima d'un dileggio

 

Ringraziamenti

Ai redattori che lavorano con passione e realizzano a mio parere, effetti speciali piacevoli come il Magazine di Natale, sei pagine di poesie in una cornice calda e colorata... ai redattori che fanno i libri e le copertine, che selezionano le perle e seguono i concorsi, che si scervellano per trovare soluzioni, ai redattori che commentano anche chi non commenta mai nessuno, ai redattori professori, che correggono gli strafalcioni, che curano i laboratori, ai non professori per gli strafalcioni da correggere, per la passione che mettono in quello che fanno, a chi fa le recensioni, le locandine, le pagine del sito, le mostre, le letture di poesie, e alle idee che non ci mancano.  A chi legge tutto e ascolta tutti.  A chi non si arrabbia mai. A chi si arrabbia ma gli passa subito. A chi si dimentica tutto. A chi sostiene chi è da sostenere. A chi è sostenuto. A chi non ha mai fatto nulla ma non molla la redazione. All'allegria e all'amicizia, alla spalla mai negata quando qualcuno è in difficoltà. Senza loro e senza alcuni Autori che pensano di non essere in redazione ma ci sono (senza saperlo), ai soci sostenitori (siamo un bel gruppo e saremo una folla) a chi c'è e si vede, a chi vorrebbe esserci ma non può in questo periodo, il mio grazie di cuore, anche a nome di chi si affaccia a Rosso Venexiano e di tutto questo e molto altro gode.

Grazie di vero cuore.

Manuela

presidente ass.ne culturale
Rosso Venexiano

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