Scritto da © Franco Pucci - Mer, 03/02/2010 - 17:59
Aprii di colpo gli occhi. Un sudore gelido ed appiccicaticcio mi teneva incollato al letto e la sensazione di essere osservato era sempre lì, prepotente. Girai lo sguardo e fu allora che La vidi. Seduta accanto al letto con la testa china, pareva dormisse accanto a me. Attendeva. Fu così, per un anno. Cambiavo spesso letto e stanza, ma Lei non si confondeva ed ogni volta la ritrovavo seduta, paziente, in attesa. Quante volte ho provato a spiegarle che la mia presenza era fortuita, non voluta. Non alzava neppure lo sguardo, immobile statua di sale, muta. La sua presenza, seppure così inquietante, alla fin fine mi fa compagnia - pensai- mi stavo quasi abituando a questi strani e periodici incontri fatti di completi silenzi e di attesa oramai condivisa. Una voce a me cara mi richiamò alla vita. Era l’ultimo giorno. La Signora alzò la testa e vidi i suoi occhi: gelidi pezzi di cristallo sfaccettato che riflettevano la mia immagine e me la rimandavano scomposta, spezzettata. “Non si fa aspettare così una Signora…” mi disse aprendo per la prima volta quella specie di ferita sghemba che le attraversava il viso. Si alzò e scomparve. La puttana.
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