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blog di Glasya Labolas

Il debito d'ognuno

Così mi parlo talvolta
prima di frenarmi gli spasmi
imboccando quel vialetto ombroso
lontano dai cortei grigi, dalla lotta.
Qui resto con la sete mai paga
di chiudere la pelle alle distanze
e chiedere la domanda 
                           esatta
per le briciole che trastullo.

Dove mai ti vide un uomo così? [...]

A bussarti 
nel tuo guardare
come sulle finestre di una estate
una nuova, che acceca ogni frase
sarei privo di talento
- buffoneggiando un cardellino o un'upupa, per essere più d'èlite -
 
così navigo d'attorno
incerando i sensi alle sirene
cordata alle mie smorfie giulive
e salvarti
da tempeste irragionevoli d'orsa.
 
A velarti
certe nicchie in disavanzo
per il grado ottimale
delle lune al viso
e disperdere tra meridiani sciocchi
le schiene d'ogni postura
- distratto dalla scelleratezza beota di chi non mastica cicuta a iosa -
 
così presto la superficie specchiante
del disamore
alla mercè di tanto ingenuo
ammaliare
che si rinnova nel volteggio
delle pencole 
quando sbuffi un nuovo pensiero
e di luce ti fai tanta da morirmi... 

I silenzi del comunicativo - Delle tue colonne ancora

Non ci sono più fumi a Londra
non aspettano i risvolti

Un muro di mattoni novembrini

Ho cucito la bocca
e fragorosamente ho parlato
scandendo la ragione tanto
che caddero le menomazioni
della gente farsa
che d'un senso soltanto si spingevano
e all'unisono ridevano
del baritono storpio

come la pagliuzza che tale resta,
pianta senza affanni
scorta l'ultima volta
non ricordo dove.

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