Scritto da © Pinotota - Ven, 27/05/2011 - 15:46
CARPE DIEM
"Carpe diem, quam minimum crèdula pòstero", scrive Orazio a Leuconoe: cogli l'oggi, vivi alla giornata, e nel domani credi il meno possibile. Orazio non ha né illusioni né rimpianti. Tra gli smaniosi del futuro e i nostalgici del passato, egli è un sorridente Giano bifronte che, con pacato realismo, coglie l'attimo fuggente. Non è né pessimista né ottimista: è "attimista". "Carpe diem" è il motto di chi, sapendo che il futuro non dipende da noi, gode il presente e in particolare quel presente prezioso e irripetibile che è la giovinezza. Sull'eco di Orazio, Lorenzo il Magnifico canta:
"Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto sia
del doman non v'è certezza". (Trionfo di Bacco e Arianna)
E la Traviata folleggia:
" Libiam nei lieti calici
che la bellezza infiora
e la fuggevol ora
s'inebri a voluttà". (Atto I- Scena II)
Ma perché affannarsi? " A chaque jour suffit sa peine", dicono i francesi, a ogni giorno basta la sua pena.Domani è un altro giorno. Chi si angoscia per il domani, si angoscia due volte e inutilmente. Tanto l'ateo quanto il credente non hanno ragione di farlo. Per opposti motivi. Il primo è convinto che il mondo sia guidato da forze cieche contro le quali non può nulla; il secondo trova immediato conforto abbandonandosi nelle braccia della Divina Provvidenza. Dice il Vangelo di Matteo: "Guardate gli uccelli del cielo, che non seminano né mietono né raccolgono nei granai, guardate come il Padre vostro li nutre. Non valete voi più di loro?…Osservate come crescono i gigli nei campi, che non lavorano né filano. Ora io vi dico che nemmeno Salomone, in tutta la sua maestà, era vestito come uno di essi. Se Dio riveste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani viene gettata nel fuoco, quanto più penserà a voi, gente di poca fede…Non vi inquietate dunque per il domani, perché il domani avrà le sue inquietudini". (VI, 26)
CASTIGAT RIDENDO MORES
Domenico Biancolelli era un Arlecchino bolognese (XVII secolo) bravissimo nell'improvvisare, secondo gli schemi della commedia dell'arte, frottole e monologhi, prendendo lo spunto da qualunque cosa gli capitasse in mano. Una sera preso un fiasco improvvisò una chiacchierata che, caso strano, non fece ridere il pubblico.Irritato per la magra figura, il Biancolelli disse
al fiasco " E' colpa tua se non mi applaudono" e lo buttò via. Da allora, quando un attore fallisce la scena, si dice " Ha fatto fiasco". L'espressione ha trovato fortuna in Francia, dove si dice tuttora "faire fiasco". Ma non minore fortuna ebbe il Biancolelli che, fiasco a parte, fu chiamato a Parigi con la sua compagnia dal Cardinal Mazzarino. Pregato dal Biancolelli, il letterato Jean
de Santeul dettò un motto latino da scrivere sul busto di Arlecchino che ornava il proscenio della Comédie Italienne: "Castigat ridendo mores", ridendo corregge i costumi.
La risata, meglio ancora il sorriso, che è un riso sorvegliato dall'autoironia, è la medicina migliore per i nostri difetti. E' un sedativo che placa le smanie dell'intolleranza, un bisturi che sgonfia gli ascessi della retorica, un lassativo che ci libera dalle ideologie maldigerite. A questo punto si rende necessaria una distinzione fra umorismo e satira. L'umorista è un tizio che sorride alle follie del mondo, ma non crede alla sua perfettibilità, perciò si rifugia in un indulgente, elegante scetticismo, al riparo da ogni illusione. Al contrario, il satirico usa l'arma del riso, il sarcasmo, la caricatura, per aggredire il mondo e cambiarlo. Canzona e fustiga la società perché crede sia possibile migliorarla, si batte per questo scopo e non demorde, sebbene riceva continue delusioni. Insomma è un ottimista con rabbia. L'umorista è un pessimista con serenità.
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