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La paga, lo stipendio e l'onorario

Vogliamo vedere come è nata la parola “chiave” che apre le porte della vita economica di ciascun individuo: lo stipendio?
Cominciamo con i vocaboli adoperati per indicare retribuzioni periodiche, per prestazioni di vario genere, come suol dirsi, anche se – naturalmente – la “carrellata” non sarà completa. Il termine generico, in assoluto, è la “paga” che si collega, ovviamente, al verbo pagare. Questo verbo, a sua volta, non è altro che il… latino “pacare” che, propriamente, significa “tranquillizzare”, “calmare”.
Pagare una persona significa, per tanto, fare in modo che questa si “tranquillizzi” e non reclami piú quello che deve avere: con la paga è stata… “pacata”, è stata “tranquillizzata”. La “prova del nove” si può avere “analizzando” il termine “quietanza”. Chi firma una quietanza si dichiara… “quieto”, vale a dire soddisfatto di quanto ricevuto per la sua opera.
Lo stipendio, invece, che in origine era una retribuzione corrisposta ai mercenari o il pagamento dovuto ai militari, ha acquisito l’attuale accezione di “retribuzione di lavoro subordinato degli impiegati” solo qualche secolo fa. Il termine è composto di un vocabolo latino, “stips” (piccola moneta), di origine non chiara, piú il verbo “pendere” che voleva dire “pesare” e, insieme, “pagare”: “stips-pendium”. Stipendiare vuol dire, propriamente, “pagare con moneta spicciola”. Nell’antica Roma i soldati avevano diritto, oltre allo stipendio, a una distribuzione periodica di sale, arriviamo, cosí, al “salario”: allorché si permutò questa distribuzione di sale in un pagamento periodico, esso fu chiamato, appunto, “salario”. Oggi, come è noto, il sale non si distribuisce piú ma il ricordo di quel tempo resta indissolubilmente nella radice del termine. Ci sembra superfluo ricordare che la differenza tra stipendio e salario consiste nella distinzione – che oseremo chiamare “classista” – tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Distinzione che – se non cadiamo in errore . non esiste in altre lingue: in Gran Bretagna, per esempio, un professore universitario riceve un “salario”. Ma continuiamo la nostra “carrellata” analizzando altri termini che indicano altri tipi di retribuzione.
Leggiamo spesso sulla stampa che vari sovrani d’Europa si sono aumentati il loro “appannaggio”. Cos’è, dunque, questo appannaggio? Per intuizione capiamo che è lo “stipendio dei regnanti”, esattamente “dotazione a favore di principi del sangue o ai capi di Stato”. Le due “n” del termine con cui oggi  si scrive ce ne nascondono l’origine che è francese: “apanage”, da “apaner” (dar del pane, in seguito “dotare”). In Francia, infatti, con questa parola si indicava “tutto ciò che serve per provvedersi il pane”; in altri termini si indicava un assegno che serviva per comperare le cose di prima necessità. Dal punto di vista etimologico, quindi, il solenne vocabolo equivale alla nostra modestissima e conosciutissima “pagnotta”. Non si dice, anche se scherzosamente, che una persona “lavora per una pagnotta”?
Soffermiamoci un momento, ora, sui termini che indicano le retribuzioni date volta per volta per singole prestazioni di servigi. Il compenso che si dà ai professionisti va sotto il nome – come si sa – di “onorario”. Il vocabolo mostra inequivocabilmente che cosa voleva significare in origine: denaro dato a titolo d’onore. La prestazione di un professionista è cosí “nobile” che non si può fissare un compenso: ciò che il cliente dà non è destinato a “pagare” una prestazione; ma a dare un segno tangibile di “onore”. Resta il fatto, però, che sempre di vile denaro si tratta. Ma tant’è, scherzi della lingua. Cosí pure, allorché un fedele chiede al sacerdote di celebrare una messa in suffragio di un caro defunto non gli dà un compenso sibbene un’offerta. Anche in questo caso, comunque la si metta, sempre di denaro si tratta.
E terminiamo con l’emolumento, che ci rimanda alla molitura. Con questo termine si indica il “compenso straordinario che un impiegato di altissimo grado può ricevere oltre lo stipendio”. Bene. L’accezione ‘nascosta’ è, propriamente, “compenso per la molitura”. Il vocabolo, che con il tempo ha acquisito anche il significato generico di ‘guadagno’, ‘compenso’, ‘paga’,’onorario’ e simili, viene, infatti, dal latino “emolumentu(m)”, composto di “e(x)” e un derivato di “molere” (macinare) e in origine era, per l’appunto, ciò che spettava agli addetti alla macinatura dei cereali.
                                                                                                                    
Fausto Raso
 

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