Quest’argomento può considerarsi importante per tutti e non solo per coloro che amano esclusivamente la poesia con l’A maiuscola. Prima d’entrare nel vivo della questione, permettetemi di spendere due parole su tale materia e, in modo assai sintetico, darvi alcuni cenni su ciò che s’intende per poesia. Ai giorni nostri si può fare poesia utilizzando una lingua che non ha in sé nessuna regola strutturale. Mi spiego meglio. Chiunque, purché sia in grado e n’abbia le capacità, può scrivere poesia, può raccontare di amori, passioni, sentimenti, mali e gioie senza vincoli di sorta, senza alcun tipo di freno formale, a patto che ciò che si dice abbia un senso e possegga un minimo di decenza poetica… Fin nel secolo scorso, invece, non era così; chi s’avvicinava a quest’ambito lo doveva fare seguendo regole ferree, precise e insindacabili, perché la tradizione poetica, che annoverava nomi illustri come Petrarca, Dante, Poliziano, Ariosto, Leopardi, Manzoni, Foscolo per citarne solo alcuni, aveva dato, sulla scorta illustre della classicità, dettami poetici assai restrittivi, cui qualsiasi poeta doveva sottostare pedissequamente. Sulla scorta di questa convenzione letteraria si può, a questo punto, entrare nel vivo della materia.
Il testo poetico si distingue da quello di prosa non per il contenuto, che può essere persino identico, ma per la forma esteriore e per la cadenza ritmica. Esso, infatti, si divide in versi, che possono essere organizzati in strofe o restare sciolti da qualsiasi legame precostituito e sono altresì caratterizzati, ed è questo che li rende unici, da una particolare e sempre varia cadenza musicale, il cui esito dipenderà dalla lunghezza, dalla distribuzione dei versi, dalla posizione degli accenti e da altri elementi sonori detti rime. Si può affermare che il testo poetico, quando si espleta, lo fa sempre con un abito elegante, raffinato, dove ogni cucitura è fatta con precisione millimetrica, dove il materiale che compone la trama del tessuto è di qualità assai pregiata, direi unica, dove ogni particolare è di gran fattura…Si può desumere, quindi, che poetare è attività complessa ed originale.
Il verso
Tenendo conto di ciò che si è detto nelle righe precedenti, si può affermare con sicurezza che il verso è un insieme di parole caratterizzate da una regolata successione di sillabe accentate e di sillabe non accentuate e dalla presenza di una pausa principale alla fine e da una o più pause interne o cesure. Da ciò ne deriva che un verso può essere piano, sdrucciolo e tronco. I versi possono essere di vario tipo e si differenziano in base al numero delle sillabe che contengono. Si ha un verso piano quando termina con una parola piana (accento tonico sulla penultima sillaba ).
a - I cipressi che a Bolgheri alti e schiètti ( verso piano perché l’accento tonico cade sulla penultima sillaba )
b - vanno da San Guido in duplice filàr ( verso tronco perché l’accento tonico cade sull’ultima sillaba della parola tronca )
c - Sparsa le trecce mòrbide ( verso sdrucciolo perché l’accento tonico cade sulla terzultima sillaba )
Nella tradizione poetica italiana si ritrovano versi che vanno dalle due alle undici sillabe. Prima di elencare i vari versi, che è poi lo scopo di questo paragrafo, è necessario mostrare come si computano le sillabe. Per computare le sillabe di un verso e quindi comprendere di che verso si tratta bisogna scomporlo come segue:
Nel mezzo del cammin di nostra vita ( Dante )
Nel / mez / zo / del / cam / min / di / no / stra / vi / ta
Si nota che il computo porta ad evidenziare undici sillabe. E’ intuitivo quindi affermare che dividere in sillabe un verso significa principalmente sezionarlo nella sua lettura. Ora si elencheranno i tipi di versi:
Tipo di verso |
Sillabe |
Esempi |
binario |
due |
Dietro Die / tro |
tternario |
tre |
Tossisce tos / si / sce |
quaternario |
quattro |
Su voghiamo Su / vo / ghia / mo F. Redi |
Quinario |
Cinque |
Quante cadute Quan / te / ca / du / te G. Giusti |
Senario |
Sei |
Che pace la sera Che / pa / ce / la / se / ra G. Pascoli) |
Settenario |
Sette |
L’albero a cui tendevi L’al / be / ro a / cui / ten / de / vi G. Carducci |
Ottonario |
Otto |
Quant’è bella giovinezza Quan / t’è / bel / la / gio / vi / nez / za . L. Magnifico |
Novenario |
Ove |
Il giorno fu pieno di lampi; Il / gior / no / fu / pie / no / di / lam / pi G. Pascoli |
decasillabo |
Dieci |
Soffermati sull’arida sponda, Sof / fer / ma / ti / sul / l’a / ri / da / spon / da |
endecasillabo |
Undici |
Tanto gentile e tanto onesta pare Tan / to / gen / ti / le / etan / to o / ne / sta / pa / re Dante |
Le rime
Gli aspetti ritmici del testo poetici si rinforzano, amplificandosi ulteriormente, quando ci s’avvicina agli elementi di carattere fonico, mi riferisco naturalmente alla rima. In poetica la rima consiste nella perfetta identità di suoni tra le parti finali di due parole a partire dall’ultima sillaba accentata..
Fiore / colore
Montagna / campagna
Zia / mia
Tempesta / festa
Se l’identità della parte finale non è perfetta, ma è limitata soltanto alle sole consonanti, si avrà consonanza.
Guardare / vedere
Questo / posto
Montagna / regno
Se invece l’identità è limitata alle sole vocali si avrà assonanza.
Vita / mina
Attento / successo
Ponte / corse
La rima, nel testo poetico, risulta importantissima, oltre a dare ritmo e musicalità al componimento, collega i vari versi tra loro dando un’organicità strutturale all’intera poesia . Da qui i tipi di rima più usati:
a – rima baciata, è quella rima che ha uno schema regolare, vale a dire AA BB CC. Questa rima è posta alla fine d’ogni verso
Nella torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio salto. I cavalli normanni alle lor poste frangon la biada con rumor di croste. ( G. Pascoli ) |
A A B B |
b – rima alternata o chiusa, è quella rima che ha uno schema alternato, vale a dire AB AB AB. Queste rime sono distribuite in modo tale che rimano i versi pari e dispari
Altri fiumi, altri laghi, altre montagne |
A |
c –rima incrociata, è quella rima che ha uno schema incrociato, vale a dire ABBA. Queste rime sono distribuite in modo tale che il primo verso rimi con il quarto ed il secondo con il terzo.
Voi che per li occhi mi passate ‘l core e destate la mente che dorme guardate a l’angosciosa vita mia che sospirando la distrugge Amore ( G. Cavalcanti ) |
A B B A |
d – rima incatenata o terza rima, è quella rima che ha uno schema incatenato, vale a dire ABA BCB CDC. Questa rima si trova generalmente nei componimenti composti da strofe di terzine. Il primo verso fa rima con il terzo della prima terzina, il secondo con il primo della seconda terzina e così dicendo.
Nel mezzo del cammin di nostra vita |
A |
– rima ripetuta, è quella rima che ha uno schema ABC ABC, Queste rime sono ripetute in modo costante.
Or volge, Signor mio, l’unidicesimo anno |
A |
La rima, inoltre, può essere:
a – rima interna, quando si trova nel corso del verso e rima con la parola finale del verso precedente. Se poi collima con la cesura del verso, si dice rima al mezzo.
Passata è la tempesta
Odo augelli far festa / e la gallina… ( G. Leopardi )
b – rima equivoca, questa rima prende questo appellativo perché non è sempre evidente. Si espleta quando rimano tra loro due parole che presentano lo stesso suono ma diverso significato.
Scendea tra gli olmi il sole
in fasce polverose
erano in cielo due sole
nuvole, tenere, rose.
( G. Pascoli )
c – rima derivata, è quella rima costituita da parole che hanno la stessa radice.
Ogni soccorso di tua man s’attende
Che ‘l maggior padre ad altr’opra intende ( F. Petrarca )
d – rima ipermetra, si ha quando una parola piana rima con una parola sdrucciola e la sillaba che eccede è elisa con la prima sillaba del verso seguente che comincia con una vocale o è computata tra le sillabe del verso seguente
E’, quella infinita tempesta
finita in un rivo canoro
dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro ( G. Pascoli )
questi versi la parola restano fa rima con tempesta perché nel computare il verso la sillaba no deve essere contata con la sillaba del verso successivo.
Altro esempio:
Non far piangere piangere piangere
ancora chi tanto soffrì. (G. Pascoli )
Si noti che l’accento del primo verso cade proprio sull’ultima sillaba, pertanto sdrucciolo e che il verso successivo inizia con una vocale, da ciò, quindi, la prima sillaba del secondo verso si elide.
La strofa
Nei testi poetici, i versi si raccolgono per lo più in una struttura ritmica detta strofa, in cui trovano la loro vera dimensione e sul piano musicale e sul piano logico-concettuale, pur mantenendo ciascun la propria specificità ritmico-musicale. Le strofe possono essere a schema fisso o variabili. Quelle fisse sono caratterizzate da un numero fisso di versi e uno schema di rime preciso e non mutabile.
a – distico, strofa costituita per lo più da due versi in rima baciata o alternata.
Erano in fiore i lillà e l’ulivelle; ella cuciva l’abito di sposa; né l’aria ancora apria bocci di stelle, né s’era chiusa foglia di mimosa: quand’ella rise; rise, o rondinelle nere, improvvisa: ma con chi? Di cosa? rise, così, con gli angioli; con quelle nuvole d'oro, nuvole di rosa |
A B A B A B A B |
b – terzina, strofa costituita da tre versi, generalmente endecasillabi, a rima incatenata.
Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra sovra la gente che quivi è sommersa. Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e‘l ventre largo, e unghiate le mani; graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra. Urlar li fa la pioggia come cani; de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; volgonsi spesso i miseri profani. Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, le bocche aperse e mostrocci le sanne; non avea membro che tenesse fermo ( Dante ) |
c – quartina, strofa costituita da quattro versi di qualsiasi tipo.
Forse perché della fatal quiete tu sei l’immago a me sì cara vieni o Sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni e quando dal nevoso aere inquiete tenebre e lunghe all’universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni (U. Foscolo ) |
d – sestina, strofa costituita da sei versi, generalmente endecasillabi, di rima diversa.
Signorina Felicita, a quest’ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico. (G.Gozzano )
e – ottava, strofa costituita da otto versi endecasillabi, di cui i primi sei a rima alternata e gli ultimi due a rima baciata. Questa strofa si ritrova di regola nei poemi epico-cavallereschi del Quattrocento e Cinquecento.
Su la riviera Ferraù trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,
l’elmo nel fiume si lasciò cadere,
né l’avea potuto anco riavere. ( L. Ariosto )
Componimenti poetici
All’interno dei testi poetici, le varie strofe possono raggrupparsi in strutture ritmico-musicali più ampie, dette metri, che costituiscono i componimenti poetici. I principali metri della tradizione italiana sono:
a – ballata o canzone a ballo, questo tipo di componimento è assai antico, di origini prettamente popolari, caratterizzato all’inizio dal fatto di essere accompagnato dal canto e dalla danza. La ballata è formata da un’introduzione, nominata ripresa o ritornello, caratterizzata da un numero di versi variabile da uno a quattro. Dopo la ripresa vengono le stanze, composte ciascuna da due piedi, rispettivamente chiamati prima mutazione e seconda mutazione, e da una volta, l’ultimo verso della volta, che possiede sempre il medesimo numero di versi della ripresa, rima con l’ultimo verso della ripresa. Dopo la volta, si ripete la ripresa, che può essere seguita da un’altra stanza, chiusa ancora dalla ripresa e così via.
ripresa | ‘l mi trovai fanciulla, un bel mattino di mezzo maggio, in un verde giardino |
X X |
1° mutazione | Eran d’intorno violette e gigli fra l’erba verde, e vaghi fior novelli |
A B |
2° mutazione | azzurri gialli candidi vermigli ond’io porsi la mano a cor di quelli |
B C |
volta | per adornar ‘e mie biondi capelli e cinger di grillando el vago crino |
B X |
ripresa | l’ mi trovai fanciulla, un bel mattino i mezzo maggio, in un verde giardino |
X X ( A. Poliziano ) |
b – canzone, questo componimento è considerato il più solenne tra tutte le forme poetiche della tradizione italiana. Ha un origine provenzale, ed è stata usata dai poeti del Duecento per cantare l’amore e con Francesco Petrarca raggiunse il culmine e la perfezione, tant’è che si conosce anche come canzone petrarchesca. E’ formata da una serie di strofe o stanze, miste di endecasillabi e settenari. Ogni stanza è composta da due parti la fronte, formata a sua volta da due piedi, e la sirima, che può essere unica o divisa in due parti uguali, dette volte. La sirima è legata alla fronte grazie ad un verso che può restare o isolato o rimare con l’ultimo verso della fronte e che si chiama chiave.
Fronte / 1° piede Chiare fresche e dolci acque
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
2° piede gentil ramo, ove piacque,
(con sospir mi rimembra)
a lei di fare al bel fianco colonna;
chiave erba e fior che la gonna
sirima / 1° volta leggiadra ricoverse
con l’angelico seno;
aere sacro sereno
2° volta ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:
date udienza insieme
a le dolenti mie parole estreme. ( F. Petrarca )
Nei secoli successivi, a partire dal Cinquecento, i poeti esemplificarono la struttura petrarchesca articolando in maniera meno rigido sia le strofe sia i rapporti tra esse. Nell’Ottocento il buon vecchio Leopardi diede vita, grazie alla sua abilità poetica, alla cosiddetta canzone leopardiana, in cui gli endecasillabi e settenari si succedono liberamente, al di fuori di qualsiasi corrispondenza ritmica o strutturale precostituita.
c – sonetto, questo componimento ha origini antiche. Nasce nel Duecento, e forse dall’uso di una stanza isolata di canzone, been presto riscuote grande diffusione tra i poeti e per la sua brevità e per la sua duttilità. E’ ritenuta la forma privilegiata per la lirica. Costituito da 14 endecasillabi, distribuiti in due quartine e due terzine. Lo schema ritmico è vario.
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Di quei sospiri ond’io nudriva il core
In sul mio primo giovenile errore,
Quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono;
Del vario stile in ch’io piango e ragiono
Fra le vane speranze e ’l van dolore,
Ove sia chi per prova intenda amore,
Spero trovar pietà, non che perdono.
Ma ben veggi’or sì come al popol tutto
Favola fui gran tempo: onde sovente
Di me medesmo meco mi vergogno:
E del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
E ’l pentirsi, e ’l conoscer chiaramente
Che quanto piace al mondo è breve sogno. ( F. Petrarca )
d – ode, Componimento poetico di contenuto nobile e profondo, privo di uno schema metrico preciso e vario nei tipi di versi che possono essere settenari, ottonari, decasillabi, doppi quinari, doppi senari. Si sviluppò nel Cinquecento ad imitazione dei classici greci e latini: Anacreonte, Pindaro, Saffo, Orazio. E’ stata molto utilizzata dai nostri poeti: Parini, Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Se tratta di argomenti civili o religiosi, prende il nome di inno.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
cosi' percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
ne' sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verra'.
Come si può notare da questa lunga dissertazione intorno alle strutture formali del testo poetico, fare poesia non è così facile come si creda, se poi si desidera tenere in considerazione tutte quelle regole che rientrano nella tradizione poetica italiana, l’unico consiglio che mi sento di dare è quello di essere sempre originali e d’avere alle spalle ore ed ore di lettura di testi poetici.
Francesco Anelli
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