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blog di giuseppe diodati

Rubo il tempo

Rubo il tempo alla vecchia Marta
sulla soglie della sua casetta bassa
con i ceci stesi al sole
e le sue mani tremolanti.

Rubo il suo tempo
quando mi racconta della figlia e della guerra
degli gnomi e delle partorienti
con quei due denti
e la lingua arrovellata.

Rubo il tempo e inforco gli occhiali
per scrivere un racconto
una poesia
o solo un freddo resoconto di un viaggio.

Rubo il tempo si
anche se è peccato
ma non mi confesserò
oggi
perchè non ho tempo.

Cronaca di un viaggio - parte quarta

Si viaggiava verso casa di Xiomara e iniziavo a vedere quel mondo notturno.
Il presepe attorno a Caracas, le mille luci della collina, ma non c’erano pastori ma gli emarginati del Venezuela ed erano tanti, ma tanti.
Luci a perdere ovunque nelle colline.
Zio Carmine e Mario a spiegarmi che quelli erano Ranchos , il termine è simpatico ricorda un film western, la realtà però è che non è consigliabile affatto anche solo fermarsi vicino a quelle casette basse, a volte di lamiera, no non si vive bene in quei posti e quando vivi nella spazzatura ti abbrutisci.
Poi zio ha iniziato a tessere le lodi di Silvio Berlusconi ed è forse il caso che evito di dire quello che penso di Silvio e delle cose “buone” che ha fatto.
Il traffico è sempre il traffico, per un attimo mi chiedo se adottino la guida a sinistra come in Inghilterra poi capisco che non sono sul grande raccordo anulare ma poco ci manca.
Accidenti Stalin senza baffi.
Si è Stalin, ma non era morto? Ovunque le immagini di un Chavez sorridente che parla al popolo, i dittatori tendono al sorriso sempre, ora non dite che sto usando della sottile ironia, non sono il tipo.
Che Chavez governi il Venezuela ti viene subito agli occhi, così come non puoi non notare ovunque l’esercito e non la polizia, si vede che il ministro La Russa è venuto prima in vacanza da queste parti. Leggi tutto »

Cronaca di un viaggio - parte terza

Ero atterrato, ero in Venezuela, mi sentivo euforico. Avevo attraversato l’oceano e ora dovevo capire cosa dovevo fare.
Dunque vediamo, appena si atterra si cercano i bagagli. I bagagli non erano nel mio stesso aereo, il trasporto bagagli è a carico di Alitalia, indi i nostri bagagli erano arrivati addirittura prima di noi.
C’era una fila di rulli a destra e a sinistra, guardo il tabellone e indica un numero.
Ora gli scrittori, quelli bravi davvero ricordano il numero e lo dicono, io faccio fatica a ricordare cosa di avessero dato da mangiare sull’aereo.
Una cosa buona per la mia vicina, aveva detto ci danno la comere, una commare a pranzo? È indigesta cavoli.
Insomma il numero dell’uscita bagagli c’era, ma io non trovavo dove fosse la scritta, mi guardo attorno e con non curanza guardo dove vanno quelli che erano sull’aereo con me.
E aspettiamo, il tempo passa, la gente picchietta, poi all’improvviso questi benedetti rulli si mettono in moto e dalla buca centrale sbuca il primo bagaglio esce e ora so per certo che non riconoscerò mai i miei.
Sono tutti simili e io nemmeno mi ricordo di che colore sono i miei.
Per un paio di volte penso di aver individuato una delle valige.
Nulla, c’è sempre qualcuno che se le porta via.
La gente scema sempre di più, mi sento come un bambino che uscito dalla scuola vede andar via i suoi compagni ma dei propri genitori nemmeno l’ombra.
Il primo che racconta che caso mai io mi sono dimenticato un figlio a scuola lo banno.
Insomma nulla, delle mie due valige o malette in spagnolo, nulla.
Siamo in cinque a essere senza valige e il primo si mette in fila ad un banco dove un funzionario riempie le denunce.
Un italo-venezuelano mi traduce dicendo che sono rimaste a Madrid le nostre. Leggi tutto »

Cronaca di un viaggio - parte seconda

All’aeroporto ci attendeva una hostess di Aireuropa, attendeva tutti quelli che dovevano imbarcarsi per il Venezuela.
Eravamo in sette e la ragazza camminava a passi svelti con quei tacchetti da efficiente e bella ragazza di una compagnia aerea.
Accanto a me un ragazzo che era fidanzato con una spagnola e che parlava con la tipa in quella lingua che sono apparentemente è comprensibile.
Iniziò quella che sembrava una corsa campestre in un aeroporto che sembrava non finire mai, la distanza con le partenze transoceaniche è notevole a Madrid.
Il mio orgoglio maschile mi portava a tenere il passo con i due, cercando di non mostrare alcun segno di affaticamento, povero me, in verità avevo anche una sete incredibile e mi sarei voluto fermare un secondo, ma avrei perso il contatto con il gruppo di testa.
Quanto agli altri, non scorgevo che un signore arrancante a circa cento metri da noi.
Cammina, cammina, cammina saltammo a piè sospinti anche un controllo di dogana grazie alla Hostess. Leggi tutto »

Cronache di un viaggio - parte prima -

Ora succede che scrivi come un cretino direttamente sul computer, senza prima salvare su word e poi al posto di salvare, dimentichi che sei su face, clicchi sopra e perdi tutto quello che ti eri scritto.

Così la seconda versione del racconto, perde molto, perché sei già incazzato che devi riscrivere tutto da capo e decidi di cambiare il taglio al racconto.

Non che sia poi uno scrittore e non che il banale racconto del mio viaggio in Venezuela possa interessare qualcuno, salvo quella rompi di mia cugina Pina che dice, beh che ci racconti del Venezuela?

Ora te lo sorbisci tutto il racconto cara Pinuccia.

Insomma si parte il giorno 20 di ottobre a notte fonda da Pescara in autobus con zio Carmine e si viaggia dormicchiando per tre ore.

Poi s'arriva al Leonardo da Vinci  che è notte fonda ancora e sapendo che dovranno passare cinque ore prima della partenza. Mio zio attende meno perché parte con Alitalia, io aspetto di più perché vado con Air Europa.

Non che abbia una grande esperienza di voli, l'unico mio volo è stato con mia moglie nel 1983 vero Palermo.

Certo atterrare a Punta Raisi era già allora un bel viaggio, ma quello che mi aspettava era un viaggio molto più lungo.

Chi si aspetta grandi emozioni dal mio racconto o avventure mirabolanti può smettere qui di leggermi. Leggi tutto »

L'odore dell'amore

 

C’è ancora il suo odore
sui cuscini di velluto
per terra
sul tappeto persiano.

Luce soffusa
e tende rosse lunghe
con quei pennacchi sfilettati.

Sulla parete l’arazzo di stoffa
gli ussari e le loro donne
nel laghetto con i cigni
con gli spadoni lucenti.

Guardo la porta intarsiata
i miei stivali adagiati
mentre il mio sigaro veleggia
su, verso il soffitto dalle travi di legno.

Lei è snella, flessuosa
come un giunco di palude
e si muove nelle mie mani
come modella di creta
e il suo odore m’invade
mi prende sul collo
come vampiro con la voglia di sangue.

Un disco per terra
accanto ad un fazzoletto da donna
lì dove il tappeto è piegato
dove rivedo i suoi piedi nudi
piccoli come quelli di una ballerina.

Il mio bicchiere trabocca
il ghiaccio si è sciolto
l’odore di lei è solo un ricordo
gli amori finiscono sempre
di notte.

 

La donna che non sapeva amare

Il bar del centro
era da sempre il luogo delle promesse
con la buona classe dirigente
riunita prima della messa.

Lei,
bella come sempre,
con il suo fard quasi trasparente
sorseggiava gli occhi della gente
con quella scollatura
che ricordava una madonna del seicento.

E la gente
che la omaggiava, degli sputi della borghesia
tragici lutti di una città del nord
che ha nebbia tra piazza della Loggia e la via per il cimitero.

Al centro
i soliti barboni
a litigare con la lega
a discutere della tratta degli sfollati
ed io
conducente di un calesse mezzo storto
a cercare di trovare
una ragione per un torto.

E quella rosa gialla
sul tavolo di quel bar
mentre la donna che non sapeva amare
sorrideva
per non piangere ancora.

E la gente, la gente
accalcata
dietro le vetrine
sporche di mosche e di residui di latrine.

E lei
che non aveva nemmeno il coraggio
di sentire il profumo
della rosa
che gli avevo regalato
nei giorni
della presa delle chiese al primo maggio.

I ghirigori del Tamigi

 

Il Tamigi è sempre stato scontroso
con i suoi ghirigori allucinati,
Marcy mi raccontava i suoi amori
con i suoi capelli tinti di rosso
e il suo vestito di mille colori.

Marcy e i calzini colorati
Marcy con le sue storie mezzo inventate
per il fumo che compravamo ai cinesi
mentre Ringo Star accudiva sua madre.

Ma io non le ho mai creduto
quando mi parlava d’amore
per i suoi denti troppo bianchi
e quel modo di baciare sulla destra.

Ho capito tutto nel Pub
con il bicchiere di caramelle alla frutta
spegnendo la mia ultima sigaretta
sbagliando l’ultima freccetta..

Quel giorno ho capito che era tempo
di tornare nel mondo delle mie viti
con tutte le cicatrici del caso.

Il Tamigi gocciolava delle sue ultime bugie
tra alghe rosse e fotografie
quel giorno era già tardi
i miei venti anni
erano finiti
quel giorno era già tardi,
Jhon Lennon suonava Yesterday
 

 

Quante volte ho incontrato il venditore di zucche d'acqua

 

Ho incontrato tante volte
colui che vendeva l'acqua
dentro zucche con tappo intarsiato,
mi seducevano le sue parole
quando voleva offrirmi da bere.

La mia sete è sempre stata molto grande
come la mia voglia di vivere,
per questo  ho riufiutato sempre le sue offerte,
per combattere le mie battaglie
senzo dei e senza bandiere.

Ho incontrato sempre
quell'uomo
dalla barba lunga e folta,
mi ha raccontato le storie che io vi ho raccontato,
di donne e di eroi
d' avventure e poesie
e canzon tante canzoni.

Ho giocato a carte con luii
non ho mai perso davvero.

Che giorno è oggi?
Cosa dice l'oracolo della luna?
Dice che non ci sono più battaglie nella pianura
e tutte le siepi hanno perduto le more.

Ora è li
il venditore d'acqua
ha due cammelli con se
e aspetta.

Ho freddo questa notte
e poche coperte per il viaggio
la mia spada ha perso il filo
come i miei denti ed i miei capelli
però è bella la luna tra le palme
con le noci di cocco dove si nasconde un iguana
fuggito al suo destino
forse è stato più fortunato di me.

E' tempo
la luna è alta
è una bella notte questa
il venditore d'acqua copre il suo volto
e io copro il mio.

Ha un machete Hemingway

 

Ha un machete Hemingway
taglia le noci di cocco
sulla strada per Valencia
ha la pelle nera
un dente in meno
ma sorride.

Il nome glielo ha dato
un prete spagnolo
quando lo ha trovato
sotto una pianta di banane.

Ha un machete Hemingway
ti da una cannuccia per bere
e sorride
anche se ha un dente in meno.

Sua moglie ha un sedere grande
e due figli che corrono tra le strade
dei Ranchos al limitare della foresta,
uno sta con una banda,
ma suo padre
non lo sa.

Taglia le noci di cocco Hemingway,
ma non scrive libri o poesie
nemmeno per il suo pappagallo sordo
sulla strada per Valencia,
ma ha un cuore grande
ed una moglie dal culo grande
e pesca
a volte con un filo un amo
e un bullone come piombo
ma non i Marlin
e non vive a Cuba
ma sulla strada per Valencia
per pochi bolivar ti da un sorriso
e una noce da bere
come la vita.

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