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blog di giuseppe diodati

Effetto notte

I rumori si s'attenuano,
non svaniscono,
ma diventano solo sottofondo.
La veste di lei
diventa fruscìo,
quasi mossa da un vento
che non c'è.
Un gatto nero,
sul muro della casa di fronte
muove pietre opache.
Lei si affaccia alla finestra,
la luce disegna le sue forme,
trasparenze dipinte.
Io poggio gli occhiali,
perchè non mi servono per guardarla
e questo romanzo, perde due pagine
come tremiti d'erba nel prato.
I capelli aspirano la notte
e io aspiro i suoi capelli
mentre lontano
una macchina corre a sollevare
l'acqua di una pozzanghera,
lontano, oltre al coda del gatto.

L'ipocrisia per le mosche

A volte vorrei dipingere
con i colori di fiele
un quadro elettrostatico
di molte primavere.

Non so dipingere
nemmeno disegnare
però guardo la gente
ascolto, il loro dire.
E in silenzio vado
sulla collina degli sguardi
a vedere il mio confine.

Massacravano gli ebrei
nei campi di sterminio
ma la gente osannava Hitler
a Monaco o a Berlino.

Stalin uccideva i comunisti
ma la gente affilava il bavero
del suo cappotto
dicendo che era giusto.

Respingono in mare
i disperati
facendo finta di non sapere
quale sia la loro fine
salvo piangere domani.

Così parlo con le mosche
sedute sulla roccia bianca
e loro mi raccontano di Sabra
o dei massacri lontano dalle televisioni
e delle donne che non valgono nulla
lungo le file del deserto nero.

Il bene, il male
lo zucchero filato
e l’ipocrisia della gente
che darebbe l’anima a un criminale
per una vita di migliore condizione.

Le mosche raccontano
le mosche sanno
e a disturbar gli ipocriti
ora vanno.

Rue Notre Dame de Lorette 56

 
C’è un Cristo giallo
sulla parete di fronte
all’infinito impresso sul dolore.

Non chiedere mai
al Signore quello che la natura
getta sul greto del fiume.

Gli animali di Hiva Oa
odorano la sua tomba
allungata sul mare.

C’è un Cristo giallo
senza ombre
sulla montagna dei peccatori.

Van Gogh ha un rasoio affilato
e le mie mani arroventano
le catene degli schiavi
ma Van Gogh ha un rasoio affilato
e io guardo i suoi girasoli.

Il paradiso a Hiva Oa
e i cavalli e la gente
e i segreti
ma quel Cristo giallo
non guarda verso la tomba
di Paul Gauguin

La favola della bambina-donna che sa volare

La bambina che sa volare è una bambina che vive su una casa in cima ad un grande albero.
In silenzio, seduta sul pavimento, le ginocchia al mento.
Guarda la finestra e le nuvole scaltre e furbe, le nuvole sono di una furbizia unica.
Le nuvole conoscono la sua storia e me l'hanno raccontata.
Imparò a volare che era una bambina, ma volare basso si deve, altrimenti la gente poi è invidiosa, come la maestra cattiva.
Ci sono tante maestre cattive sapete?
La bambina donna è diventata grande ed ha disegnato il mondo attorno a lei, lo ha fatto colorato insieme a un cantastorie di cui mi sfugge il nome.
Ha costruito lei la casa sull'albero, lui rideva mentre lei costruiva la sua bellissima casa.
- Sei mattissima le diceva, sei mattissima.-
Su quella casa scrive le sue canzoni, le sue poesie.
E' brava la ragazza che sa volare, molto brava.
Ha un gatto di nome Asdrubale, lo so che è un nome scemo, ma il cantastorie ha detto che era quello il nome giusto e lei, lei ha detto va bene.
Ora il gatto sta guardando le nuvole e le vuole prendere, Asdrubale è un gatto tutto matto, matto come il cantastorie, matto come un poeta.
La bambina che sa volare ora è donna, ma non lo guarda. Conta le sue mani, sono due e dieci sono le sue dita, dieci.
Potrebbe fare magie e ne vorrebbe fare una tanto strana, la magia del tempo, ma non le riesce.
Conta le dita e apre le mani, le mani che un cantastorie sta cercando.
Forse vi racconto anche cosa succede.

Sputammo l'inverno

Sputammo l'inverno
che c'era poca neve
e gli idranti erano pronti.

Sputammo l'inverno
spaccandoci i denti
sopra la foto di Mao
e gli occhi di Ho Chi Min.

E qualcuno sparava alle rondini
dai tetti delle fabbriche occupate
mentre di rosse bandiere
erano i nostri cortei
prima dello scontro
di sangue e fiele.

Raccogliemmo i nostri cuori
amanti perversi
ragazzi con la bocca da latte
che sapeva di molotov e utopia.

Alla fine sputammo l'inverno
con un disco di Bob Dylan
e la minigonna di lei
che ondeggia da fare paura
nella casa psichedelica
alla fine dell'ultima rivoluzione

Il re dei fenicotteri rosa

Il re dei fenicotteri
beve rum a colazione,
ha una chitarra elettrica,
ma a volte preferisce la tastiera.

E il lago sembra una macch
di petali di rosa
quando al mattino
il sole spinge le piume
del grande stormo.

Qualcuno dice che sia un poeta,
qualcuno l’ha dipinto come terrorista,
ma il re dei fenicotteri rosa
è solo un pellegrino smarrito.

Non è voluto più ripartire,
la sua compagna ha la pelle nera
manda al cielo benedizioni
ed accudisce i suoi quattro figli.

Nascosta nella sua capanna
c’è una divisa da ferroviere,
per un treno finito in Africa Centrale
per un scambio partito male
mentre a Bologna scoppiava un temporale.

La casa sull'Oceano

Pallidi soli
oltre la banchisa polare
e barche affondate
sugli scogli della memoria.
Naviganti d'oppio
che hanno perso la rotta
a volte s'attardano
dinanzi l'aurora boreale.
Ho una casa sull'acqua,
un cane con un occhio solo
dalla coda mozzata da un orso polare
e scrivo memorie
mentre i ghiacci si sciolgono
e l'acqua precipita a sud.
A volte la regina delle nebbie
mi viene a trovare,
è cieca
e mi tocca il viso per capire
dove sia la mia bocca,
il suo fiato vapore
io lecco perchè io,
io non la debbo toccare;
questo è il patto
che lei ha fatto con me.
Il mio cane no,
si struscia sulle sue gambe gelate
e ulula preghiere
che lei comprende
perchè è ammaestratrice di anime
e di animali.
Non parliamo,
non vuole
vuole solo che io sia fermo
senza muovere le mie mani
che lei accarezza
perchè è il suo modo d'amare.
La nebbia la porta,
la nebbia la viene a cercare,
mi lascia sempre
qualcosa:
una pietra, una rosa,
un osso di seppia,
ambra di mare,conchiglie di vetro
e anemoi splendenti
dentro tazze di vetro.
Forse mi ama,
forse non può amare,
forse è solo il sogno
di un uomo che vive,
nella casa sull'oceano
con un cane orbo
dalla coda mozzata.

Mio padre era socialista

 

 

Mio padre era socialista e tifava per la Juventus.
I figli o fanno le stesse cose del padre o l’esatto contrario, forse per affermare la mia identità iniziai a tifare per l’Inter e per capire bene la realtà divenni comunista.
Mio padre era un uomo mite, colpito da tre infarti ed una trombosi morì che non aveva nemmeno 53 anni, non sto qui a piangere lacrime false, sono passati tanti anni, morì nel 1975.
Per anni ho pensato che sarei morto prima di lui, oggi so che non è stato così.
Era direttore all’ufficio imposte, ma non siamo mai stati bene economicamente e non ci trovo nulla di strano, gli stipendi erano quelli che erano e così nemmeno una casa ci potemmo comperare.
Però una cosa trovavo strana, quella che i suoi colleghi avessero case e mobili di lusso, mio padre ci spiegò.
Ci spiegò l’importanza di essere onesti, di non lasciarsi corrompere perché non né vale la pena.
Faceva gli accertamenti , ma non prese mai una lira da nessuno, aiutava soprattutto i piccoli commercianti e gli artigiani che stavano peggio degli operai allora.
Era socialista, quello era il suo credo, poi venne Craxi e le cose cambiarono, lui non vide il cambiamento.
Aveva ragione lui a dire che l’onestà è più importante di tante altre cose anche se … anche se a lui non dedicheranno mai una via.

Tessitori di miele

Oltre le dune
di Al Berath,
dolve la luna
rimane a lungo
sul dorso del cammello
anche quando il sole
spegne le stelle,
lì trovi la terra
dei tessitori di miele.

Una zingara è la regina
del popolo che intesse
favole e miele
per venderle al mercato delle utopie.

Tu che sai sempre
il bene ed il male
chiedi a loro dei bambini
saltati sulle mine
o delle bimbe violentate dai soldati
chiedi a loro
ti regaleranno un canestro
di datteri e favole amare.

Io conosco la regina
dei tessitori di miele
dice i ragazzi non hanno bandiere
nemmeno dei
o succhi di odio
solo amore tra un cammello
e un delirio miraggio.

Il suo nome è Anbar
perchè profuma d'ambra
il suo nome è Anbar
ed è lei la regina
dei tessitori di miele.

Il giorno in cui arrivarono i cosacchi a Piazza Salotto

S'era andati a prendere un caffè a Piazza Salotto, forse perchè non s'aveva nulla da fare o forse per finzione scenica, lascio a voi l'arcano dubbio, ma svelo in parte alcuni segreti.
Fabio prese caffè ristretto con un cucchiaino di zucchero, Dani uno macchiato con zucchero di canna, io a vetro che non è un vetrino, ma normale caffè non in tazza.
Si discuteva di calcio con Fabio romanista e di destra, i difetti non vanno mai da soli e Dani scocciata dalla politica e dal calcio, agnostica in tutto.
Sentimmo il rumore e uscimmo in piazza.
Arrivavano in truppa ed a cavallo, con il colbacco e la stella rossa.
Fucile in spalla e cappotti lunghi, come nei film.
Uno portava la bandiera rossa, la mise sul monumento di quel giapponese, costato tanto, pure la poltrona di sindaco a chi l'aveva avuta in regalo.
Qualcuno persino applaudiva, Nicola, vetero comunista con i capelli bianchi.
Altri ridevano divertiti.
Guardammo da ogni parte dove fossero le telecamere, ma nulla.
Daniela voleva farsi una fotografia, ma un sergente dai lunghi baffi la scansò via. Leggi tutto »

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