Scritto da © Anonimo - Lun, 05/09/2011 - 07:22
Un titolo diverso (se più vi garba).
Autori ed attori: Princess, Tiziana, Ferdi, Orme.
Proscenio
Si lesse così quella sua lettera, si lesse in piedi e con qualche lacrime al viso, si lesse che così scorreva la sua parola:
“Ho l'impressione che il cielo abbia smesso di guardarmi, e di questo a volte mi dispero. Per me esso era una finestra ed io continuo a guardarlo, forse con una diversa affezione. Ma anche i nostri occhi sono finestre dell'io, però qui non li vediamo. E allora c'è lo sforzo, quasi spasmodico di immaginare quegli occhi al di là, quelli che hanno scritto sulla tastiera quelle parole, che le hanno poi affidate al vento del web. Non sono i loro occhi, infine a giungerci?
Ma lo sforzo è notevole, non sempre, non tutti ci riescono.
In questi giorni io vi adoro, voi due, perché mi siete amici, perchè mi sento amica e accolta.
Cosa vi potrebbe interessare del mio cielo, che in fondo non c'è più, e che da questa casa ai piedi della montagna riesco appena a intravedere? Nulla e tutto.
E allora la connessione fluidifica la parola, l'anima si apre, proprio in quel luogo, su quella pagina che diviene casa, la casa.
Ho vissuto l'assoluto, nella misura e forma che più di ogni altra cosa si è adattata a me, per un tempo lungo che ora mi appare brevissimo.
Non riuscirò più a guardare verso il basso, anche se altro c'è.
Vi abbraccio.”.
S’era in Rosso e le tende di quelle finestre stavano lì lì per aprirsi, per dar corso a quelli eventi in linea.
Dura la linea del metro segue la sua dinamica di brevità nello spazio tra due punti e di quelle regole dell’animo forgiate solo con parole non avrebbe mai compreso ogni profondità. Confinata com’era a vivere nella geometria d’una sola superficie.
Si misurava le dimensioni dell’animo, si cercava ogni sua misura, ogni suo sentire, ogni suo mezzo rivolo di respiro. E così quelle parole porte e quelle in arrivo.
Gli aquiloni ormai alzatisi nei cieli erano ben saldi lì coi loro fili.
Ferdi
Lei disse l'aquilone. Noi, che guardavano sommarsi le ore ostiche, contavamo il tempo a metri, non a giri di metalli o segni d'ombra, ma a misura de’ suoni di rimbalzo per riprenderci le parole. Lei, allora, aggiunse il grido: se lo trovò addosso, lo vestì, ne chiuse i bottoni, le stava stretto per potersene spogliare, salire nuda legata ad un nastro orfico, dirigere il lato corto, l’angolo ottuso oltre il bosco, l’angolo superiore al grado di comprensione, quello che s’incunea nel blu e lo fissa escogitando un nuovo colore - che so, un rosa antico di una rosa rosa carnicino, una pelle chiamata attenzione e carezza - parlò dell'urlo che non sarà mai un nome e del nome che non potè essere grido, ma suono sordo, inappropriato luogo, perimetro concesso e non goduto.
Sia tu, dunque, oggi, l’aquilone, amico mio, o il suo colore.
Ti sia data l’ora non contraffatta, la parola pura, il simbolo, l’aerostato del verbo e un profilo senza clausura.
Siine il santo esterrefatto, il miracolo nella sua natura.
Oh, dalle il canto come fosse ancora il momento imminente per il primo volo.
---- così s'iniziava l'aria, la s'iniziava tra il sorriso e la dolce lacrima di pianto.
Atto I
Il gioco della parola. Attori: Ferdi e Orme.
Ferdi
Che cosa scaraventi la parola sul foglio o, in alternativa, il pixel spento (di cui il nero intellegibile) è senza meno un turbine, un urugano che si avvita dall'orizzonte dell'occhio invisibile al confine del braccio, alla mano. se questo è vero, ed io ne sono portatore insano, occorre aggiungere che la tempesta nel suo procedere raccoglie e schianta contumelie come tutti gli ori che incontra. da ciò una visione esterna, quasi di non appartenenza benchè sia comune e piuttosto diffusa.
tutto questo, però, non certifica l'esistenza del contrario; cioè che gli elementi possano turbinare dal confine del braccio - la mano, può leggersi "mouse" - all'occhio invisibile che trasforma in parole quel vento angosciante e violento, lo evolva a linguaggio personale e lo dispieghi come opera compiuta ancorché da comprendere e seguire.
nasce così una poetica emotiva, piagata, pulsante e partecipata dalla stessa carne a cui il monito impedisce di mostrarsi, intrinseca alla domanda imperterrita di nuova via espressiva, una sciarada evocativa, mai spezzata, continua, vortice, che ha un suono umano ma una elasticità elettronica, in grado di mutare aspetto mentre viaggia sulle labbra, dai router, imbarcata senza alcuna imbracatura, quindi libera nella pancia dello scafo, quindi vibrante nella gola, perciò inappellabile e fuoribonda. non è più il tempo degli antichi misteri del cuore: è l'ora delle proiezioni olografiche del sangue venoso.
che abbia o meno un messaggio da consegnare, una indicazione fievole o maestosa, una mappa dettagliata, un percorso della sua miniera, non importa: la poesia qui è bastante a se stessa e da sé trae il metallo prezioso, forgia la sintassi inattesa, procura ferite ai fanti della parola: i generali ormai sono tutti morti.
vuoi tu Orme prendere il qui presente tuo testo e darmelo in sposo?
Orme
E non sono un sacerdote, mio caro capitano, non vissi in maremma, né tantomeno in guadalogna - chi era costui, il sindaco non comunista di Bologna?, ahi quei portici di quella città, ahi, vi nacqui in seconde nozze, vi nacqui senza cintura di atterraggio, ahi, capitano, ahi, vuoi tu sposarti, vuoi tu qui prendere in isposa una donna che già ti appartiene, vuoi goderne di quei frutti che già ti possiedono e possederne di più che il più poi straripa, e, direbbe la scolara nuova venuta: sbrodola nel dosso?
vedi su tante mappe i dossi dei piegamenti in muscoli e bracci di attesìe oltre ogni portello, oltre ogni già bussola che pieghi e spieghi, nel lato e sul davanti, quel suo indice minuto?
Ferdi
Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco? qualcosa che non possa più dare alla mia donna che pure se ne fregia al supermarket, nei crocchi dei prodotti, alla cassiera raccontandole di una notte insonne per camminare le stelle?... che non caddero, se non colpendole i capelli. se non meravigliando per quel nessun rumore che fanno i loro aghi di luce quando s'invaghiscono della sua pelle? e lei, che pure tu ravvisi nei miei occhi, descrivi mano a mano che tu scrivi, dimmi, è la stessa che apre i tuoi occhi chiamandoti al fulgore dell'alba di travertino? ecco che entrambi l'accogliemmo nella sera, ecco che scrivemmo parlandole in segreto di noi perchè l'altro non sentisse, ma ci capivamo eccome! ci integrammo persino a parola e ne venimmo fuori, come usciti dalla stessa notte però discosti.
Orme
Scoscesi nell’atrio di un dire a volte calmo, altre frettoloso, ci prese sì mano che ancora non ci si scorda
Peccaminoso fu il nome e chi lo scrisse, ci mossero così, poi, nel dianzi di quegli appelli nostri, di quei movuti passi di cui si osa tanto al Signore,
beltade si parean le opre nostre quando al mattino, incamerata la spoglia di un bell’osso, solevamo camminar in su la via dei trangoli, tra il tre e lo quattordici, quando il sole, lì, ancor non vi si teneva.
Corso ci prese, corso tra il rimitarre e le dolci sharade, tanto che lo foco ci si calmò di dosso.
Indice ci fu la nota in pagina riscossa, così almeno si disse, se la memoria non mi tenne pegno.
Ferdi
Ah, bell'Anima! eccoti al fin, ch'io ti ausculto come battito del core che semper aduna in sospirati luoghi (aquì o altro ove) lo dire fine, l'augusta lingua de' poeti e l'altre men gaje che pur'anco seguitano a venire su' nostri passi, su' le nostre Orme.
niente potè sfuggire a la memoria, nè pagherolle pegno; la discordanza, il dimenticar m'è dolce in esto mar, esta contratta similitudine co lo legiadro tuo rimembrar.
ecco, confondommi lo secolo o forse lo juorno, così che continuando si possa mondare l'astrusa macula che ancor si dee a l'amico proseguir di fianco a 'l fianco: vuolsi così colà dove si vuota ciò che si scuote, e più non dimando, ma faccio spesa sì come bene per accidente non venga.
Orme
Accidenti non venia, altrimenti noi tuosto lo sconosciamo in core lo altrui creato che a lo parlare nostro non parebbe poi di tanto strano.
stranezza è la mercanzia che a lo portone altrui altri vi scriva lo nome suo come fosse lo pilastro de lo dire
quando anche nui, come ogni asino di terra, sapimmo che lo dire appartiene in fondo a tutti quanti.
noi lo cumprammo a lu mercato in quei dieci jorni de la festa, e tra le giostre e li tric trac ne facemma 'na bella nostra grande capannella.
senza canne componemmo le sinfonie, che sì li jorni lì, ad uno ad uno, ci portavano entrambe le mani a piene feste.
---- si chiude il sipario.
Si lesse così quella sua lettera, si lesse in piedi e con qualche lacrime al viso, si lesse che così scorreva la sua parola:
“Ho l'impressione che il cielo abbia smesso di guardarmi, e di questo a volte mi dispero. Per me esso era una finestra ed io continuo a guardarlo, forse con una diversa affezione. Ma anche i nostri occhi sono finestre dell'io, però qui non li vediamo. E allora c'è lo sforzo, quasi spasmodico di immaginare quegli occhi al di là, quelli che hanno scritto sulla tastiera quelle parole, che le hanno poi affidate al vento del web. Non sono i loro occhi, infine a giungerci?
Ma lo sforzo è notevole, non sempre, non tutti ci riescono.
In questi giorni io vi adoro, voi due, perché mi siete amici, perchè mi sento amica e accolta.
Cosa vi potrebbe interessare del mio cielo, che in fondo non c'è più, e che da questa casa ai piedi della montagna riesco appena a intravedere? Nulla e tutto.
E allora la connessione fluidifica la parola, l'anima si apre, proprio in quel luogo, su quella pagina che diviene casa, la casa.
Ho vissuto l'assoluto, nella misura e forma che più di ogni altra cosa si è adattata a me, per un tempo lungo che ora mi appare brevissimo.
Non riuscirò più a guardare verso il basso, anche se altro c'è.
Vi abbraccio.”.
S’era in Rosso e le tende di quelle finestre stavano lì lì per aprirsi, per dar corso a quelli eventi in linea.
Dura la linea del metro segue la sua dinamica di brevità nello spazio tra due punti e di quelle regole dell’animo forgiate solo con parole non avrebbe mai compreso ogni profondità. Confinata com’era a vivere nella geometria d’una sola superficie.
Si misurava le dimensioni dell’animo, si cercava ogni sua misura, ogni suo sentire, ogni suo mezzo rivolo di respiro. E così quelle parole porte e quelle in arrivo.
Gli aquiloni ormai alzatisi nei cieli erano ben saldi lì coi loro fili.
Ferdi
Lei disse l'aquilone. Noi, che guardavano sommarsi le ore ostiche, contavamo il tempo a metri, non a giri di metalli o segni d'ombra, ma a misura de’ suoni di rimbalzo per riprenderci le parole. Lei, allora, aggiunse il grido: se lo trovò addosso, lo vestì, ne chiuse i bottoni, le stava stretto per potersene spogliare, salire nuda legata ad un nastro orfico, dirigere il lato corto, l’angolo ottuso oltre il bosco, l’angolo superiore al grado di comprensione, quello che s’incunea nel blu e lo fissa escogitando un nuovo colore - che so, un rosa antico di una rosa rosa carnicino, una pelle chiamata attenzione e carezza - parlò dell'urlo che non sarà mai un nome e del nome che non potè essere grido, ma suono sordo, inappropriato luogo, perimetro concesso e non goduto.
Sia tu, dunque, oggi, l’aquilone, amico mio, o il suo colore.
Ti sia data l’ora non contraffatta, la parola pura, il simbolo, l’aerostato del verbo e un profilo senza clausura.
Siine il santo esterrefatto, il miracolo nella sua natura.
Oh, dalle il canto come fosse ancora il momento imminente per il primo volo.
---- così s'iniziava l'aria, la s'iniziava tra il sorriso e la dolce lacrima di pianto.
Atto I
Il gioco della parola. Attori: Ferdi e Orme.
Ferdi
Che cosa scaraventi la parola sul foglio o, in alternativa, il pixel spento (di cui il nero intellegibile) è senza meno un turbine, un urugano che si avvita dall'orizzonte dell'occhio invisibile al confine del braccio, alla mano. se questo è vero, ed io ne sono portatore insano, occorre aggiungere che la tempesta nel suo procedere raccoglie e schianta contumelie come tutti gli ori che incontra. da ciò una visione esterna, quasi di non appartenenza benchè sia comune e piuttosto diffusa.
tutto questo, però, non certifica l'esistenza del contrario; cioè che gli elementi possano turbinare dal confine del braccio - la mano, può leggersi "mouse" - all'occhio invisibile che trasforma in parole quel vento angosciante e violento, lo evolva a linguaggio personale e lo dispieghi come opera compiuta ancorché da comprendere e seguire.
nasce così una poetica emotiva, piagata, pulsante e partecipata dalla stessa carne a cui il monito impedisce di mostrarsi, intrinseca alla domanda imperterrita di nuova via espressiva, una sciarada evocativa, mai spezzata, continua, vortice, che ha un suono umano ma una elasticità elettronica, in grado di mutare aspetto mentre viaggia sulle labbra, dai router, imbarcata senza alcuna imbracatura, quindi libera nella pancia dello scafo, quindi vibrante nella gola, perciò inappellabile e fuoribonda. non è più il tempo degli antichi misteri del cuore: è l'ora delle proiezioni olografiche del sangue venoso.
che abbia o meno un messaggio da consegnare, una indicazione fievole o maestosa, una mappa dettagliata, un percorso della sua miniera, non importa: la poesia qui è bastante a se stessa e da sé trae il metallo prezioso, forgia la sintassi inattesa, procura ferite ai fanti della parola: i generali ormai sono tutti morti.
vuoi tu Orme prendere il qui presente tuo testo e darmelo in sposo?
Orme
E non sono un sacerdote, mio caro capitano, non vissi in maremma, né tantomeno in guadalogna - chi era costui, il sindaco non comunista di Bologna?, ahi quei portici di quella città, ahi, vi nacqui in seconde nozze, vi nacqui senza cintura di atterraggio, ahi, capitano, ahi, vuoi tu sposarti, vuoi tu qui prendere in isposa una donna che già ti appartiene, vuoi goderne di quei frutti che già ti possiedono e possederne di più che il più poi straripa, e, direbbe la scolara nuova venuta: sbrodola nel dosso?
vedi su tante mappe i dossi dei piegamenti in muscoli e bracci di attesìe oltre ogni portello, oltre ogni già bussola che pieghi e spieghi, nel lato e sul davanti, quel suo indice minuto?
Ferdi
Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco? qualcosa che non possa più dare alla mia donna che pure se ne fregia al supermarket, nei crocchi dei prodotti, alla cassiera raccontandole di una notte insonne per camminare le stelle?... che non caddero, se non colpendole i capelli. se non meravigliando per quel nessun rumore che fanno i loro aghi di luce quando s'invaghiscono della sua pelle? e lei, che pure tu ravvisi nei miei occhi, descrivi mano a mano che tu scrivi, dimmi, è la stessa che apre i tuoi occhi chiamandoti al fulgore dell'alba di travertino? ecco che entrambi l'accogliemmo nella sera, ecco che scrivemmo parlandole in segreto di noi perchè l'altro non sentisse, ma ci capivamo eccome! ci integrammo persino a parola e ne venimmo fuori, come usciti dalla stessa notte però discosti.
Orme
Scoscesi nell’atrio di un dire a volte calmo, altre frettoloso, ci prese sì mano che ancora non ci si scorda
Peccaminoso fu il nome e chi lo scrisse, ci mossero così, poi, nel dianzi di quegli appelli nostri, di quei movuti passi di cui si osa tanto al Signore,
beltade si parean le opre nostre quando al mattino, incamerata la spoglia di un bell’osso, solevamo camminar in su la via dei trangoli, tra il tre e lo quattordici, quando il sole, lì, ancor non vi si teneva.
Corso ci prese, corso tra il rimitarre e le dolci sharade, tanto che lo foco ci si calmò di dosso.
Indice ci fu la nota in pagina riscossa, così almeno si disse, se la memoria non mi tenne pegno.
Ferdi
Ah, bell'Anima! eccoti al fin, ch'io ti ausculto come battito del core che semper aduna in sospirati luoghi (aquì o altro ove) lo dire fine, l'augusta lingua de' poeti e l'altre men gaje che pur'anco seguitano a venire su' nostri passi, su' le nostre Orme.
niente potè sfuggire a la memoria, nè pagherolle pegno; la discordanza, il dimenticar m'è dolce in esto mar, esta contratta similitudine co lo legiadro tuo rimembrar.
ecco, confondommi lo secolo o forse lo juorno, così che continuando si possa mondare l'astrusa macula che ancor si dee a l'amico proseguir di fianco a 'l fianco: vuolsi così colà dove si vuota ciò che si scuote, e più non dimando, ma faccio spesa sì come bene per accidente non venga.
Orme
Accidenti non venia, altrimenti noi tuosto lo sconosciamo in core lo altrui creato che a lo parlare nostro non parebbe poi di tanto strano.
stranezza è la mercanzia che a lo portone altrui altri vi scriva lo nome suo come fosse lo pilastro de lo dire
quando anche nui, come ogni asino di terra, sapimmo che lo dire appartiene in fondo a tutti quanti.
noi lo cumprammo a lu mercato in quei dieci jorni de la festa, e tra le giostre e li tric trac ne facemma 'na bella nostra grande capannella.
senza canne componemmo le sinfonie, che sì li jorni lì, ad uno ad uno, ci portavano entrambe le mani a piene feste.
---- si chiude il sipario.
Atto II
L'ispirazione.
Attori: Princess, Tiziana, Ferdi, Orme.
Princess
Era ed e' il grido, la parola adatta mia di oggi, quella più giusta, più personale. Era ed e' il grido del "tu", che sei tu, che e' lui, che siete voi, che sono io. L'interlocutore vicino, sensibile, che prova l'ascolto e la dolcezza che può avere la parola.
Voi siete il cerchio, io una tangente, equidistanti dal centro della narrazione. Concedetemi il privilegio di essere una tangente, un segmento quasi nullo, che possa stare li', oppure andarsene.
Gli aquiloni non gridano, cercano soltanto un orizzonte dove scollinare, per vedere cosa c'è al di la' e di questo sono paghi.
Gli alberi cercano l'orizzonte rincorrendo le radici sotto terra. Io li immagino impazzire di gioia nella loro incessante ricerca sotterranea.
Io ho perso le parole, magari non mi credete, ma e' così. Ho perso anche la poesia ma oggi dopo tanto tempo, ho sentito il grido dentro, il grido della parola, che e' quello giusto.
E ho fatto volare gli aquiloni.
Tiziana
La parola l'ho temuta a lungo, si mostrava languida sulla punta della lingua, l'ho respinta perché sapevo che mi avrebbe sopraffatta, e scorre in vena lontana dagli schemi prefissati. Odiata e amata nell'associazione che ne faccio talvolta con l'Arte e la possibilità di tradurla in un dialogo infinito che frena solo a causa di gesti, gesti indispensabili perché non sempre tutti prestano ascolto, eppure basterebbe colare gli occhi sui fogli come lava incandescente, fare luce fra le trame che la compongono.
Non le trovo “le parole adatte” sono conficcate nei passi brevi del mio fiato, quello che in gola stringe ineluttabile sino a cercare la morte.
Questo scivolare sulla rete metallica in tensione, come un cavo che “porta” ma non sai mai sin dove, talvolta dall'altra parte di te stesso, e mi fa paura, questo mostro intrigante che ci rende simili e bugiardi.
A volte vorrei essere polvere ed infiltrarmi fra gli interstizi di questo progresso che sottomette quelli contrari, quelli che non rimangono in fila che non obbediscono, sfasciare il progetto distruttivo che logora. Le mie vene si radunano tutte in punto preciso e poi si disfano, vorrei non essere ma sono e mi adeguo, come una meretrice pesto i marciapiedi che percorrono vie sconosciute e mi vendo agli occhi dei senza occhi aspettando un cielo che mi strappi il respiro.
Chapeau al tuo gesto che si compie.
Princess
Così sei qui, Tiziana, fra le parole ardue e languide, che mettono paura. Eppure l'onda forte del tuo cuore mi arriva e dentro mi ritrovo.
Hai sentito la ninna nanna di orme di ieri sera? Cantava così:
"S’accora la parola int ‘a poesia, e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
L'ho trovata una dolce ninna ninna, dopo le fatiche del giorno, quelle del parlare e del tacere, quelle del sentire e dell'immaginare.
"S’accora la parola int ‘a poesia, e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Puoi essere regina qui con noi, sei vuoi, nei hai i titoli e le capacità.
Vestiremo un abito bianco, per questa ninna nanna, e la canteremo insieme attorno al falò che avremo acceso sulla spiaggia.
Orme
Arduo il passaggio, arduo l’attraversarne il segno, il fiato, l’accalorare che accomuna simili cori. Necessità ci prese dell’altrui e del nostro sguardo quando veduto in alto l’aquilone ci iniziammo ad imitarne le danze. E breve e lunga era la necessità della presa di quella mano che stende il suo bucato nel candido candore d’ogni sua vena.
Venerata ogni parola che vi leggemmo nella sua giusta accortezza, e di cui ci muovemmo innanzi.
Tu che di poesia spargi l’aria, e non muovi parola se non nel giusto ardire, prestaci quei tuoi miracoli di fiamma e fa che la nostra amica ritorni a noi, a questo nostro dire.
Ferdi
Ma l'amore che si muove come lacrima e coglie l'epoca del dolore prima che s'af_facci(a) al viso la smorfia agra, quel fiume che ipotizza null'altro che piene e scrosci a cascata "comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne." (*) Ora, quindi, che si disse del gelo sciolto, che insieme trovammo il guado, abbandonammo la pozza, seccammo i passi e le Orme, non secchiamo la fonte. Che questo sia un passar d'ombre è solo dovuto al segmento elettronico che ci connette insieme, la matassa di bit a cui affidiamo la maglia del dialogo, il vestito dismesso e rimesso, la scarpa virtuale per camminare insieme comodamente: " e dimme mo, Nennella bella, comm''è ca dint''a lluocchie tuoie 'o cielo è sempe 'na fenestra? E si isso ancora te guarda, acala chill'uocchie 'nterra, pecchè dint''a lluocchie, llà, nce ne sta 'n'ato.(**)
Princess
Ecco il "tu" che usi qui, anche tu. Senti la scioltezza di questo pronome, che è meraviglioso, la sua immediatezza, il suo scavalcare i confini, nell'epoca dell' "io" imperante, l'uso del tu mi appare come manna.
E' il "tu" che ci accarezza e porta lontano, chissà.
E il candido candore d'ogni vena, che tu nomini, lo tengo stretto, perchè è così importante che tu lo abbia visto e rintracciato, e infine nominato.
E poi la giusta accortezza, che ci fa muovere innanzi.
Non è forse miracolo, non è magia? A me così pare.
Io ti ringrazio di questo, non sai quanto, o forse sì.
Orme
Signori, si disse: Ci scusiamo se attraversiamo la via, ma indietro è rimasta quella compagna nostra, soffiata che s’aveva il suo bel viso tra i suoi aquiloni, e di cui quel colorato vostro. Vedete voi come vede la nostra vista, e quant’altro v’aggiungono i pensieri vostri?
Noi veniamo da lontane terre, da terre lontane con pane duro e piedi così forti che non si recano fatica a navigar le risa.
Tu donna che ci avanzi di sguardi, e molti, cosa ne pensi di tutto questo bel consesso?
Vuoi che tu sia solo mia donna, o anche qui nostra, e quindi, tutto per l'intero: nostra regina?
--------------------------- si chiude il sipario sul secondo atto
(*) "Come fosse una perduta acqua di neve / neve bianca / neve senza giuramento di rimanere ghiaccio / neve fatta di sangue trasparente / neve che scorre in un letto e perde la voce / neve della tua bocca vergine di sonno (o sogno)"
(**) "e dimmi adesso, bambina bella, come mai negli occhi tuoi il cielo è sempre finestra? E se lui (il cielo) ancora ti guarda, abbassa quegli occhi a terra, perchè negli occhi, là, ce n'è un altro."
Atto III
s'alza il sipario e nel tutto buio con solo gli aquiloni illuminati
Princess
E' la parola grido fra le messi di aquiloni, lunghe file nei campi, le mani a risalire l'onda soffio delle gambe. C'è un grido lontano, non lo senti? O un sussurro, appena ti avvicini. Chiedimi di me, di una carne intatta, la follia vagante, chiedimi del giorno senza sfiorare la sera. Toccami per sentire il mio sangue, se c'è, se ancora scorre, se raggiunge la superficie, quella degli aquiloni. Gridami del cielo, lascia lontana la notte, sganciala dalle mie braccia e sostienimi il seno. La caduta, il risalire, poi ancora fra le messi lunghe, fra gli aquiloni.
E tu.
Respiro.
Sempre al buio, voci maschili:
1° voce
Ecco signore, ecco: Senti il suo canto?
senti il suo grido?
Canto e grido che ritornano qui come ritorna il buio in ogni sera.
2° voce
Abbassa il tono della tua voce a che io li ascolti bene.
3° voce
O mio Signore, o mio Signore, illuminaci della retta via.
------------------------ si chiude il sipario
Atto IV
La parola e l'analisi del testo
Orme
Ascoltasti quella voce, ascoltasti il canto, ascoltasti quell'ascetico segno apparso d'improvviso ai nostri orecchi che pareva disseminare tra quelle buie vie dei campi, all'unisono, il grido di gioia e quello di passione?
M'apparve al singolo suono come una parola sola, lunga e circoscritta nell'intero suo grido, ma poi, analizzandola alla mente, risultava composta da almeno 30 parole e forse più.
Parola dolce, parola avventurata, che, mischiandosi, volgevano assieme il loro canto verso un approdo, se mai può esservi approdo per una parola in sé.
Rinviava e poi, pareva tornare in sé, quasi un andare in quel suo circolare giro, per chiudersi così al suo ritorno.
Parala indicativa, parola riflessiva, parola replicante?
La sua eco sfuggiva a questi eventi, a queste nostre possibili risposte, così sembrava dire quella sua voce.
Tiziana
Fibre scomposte in definite file opposte, dietro il parapetto del labbro, nascosta la gola riempita di voci. “Le hai udite s-volgersi una ad una in sequenza mentre il poeta soleva pensare, ammutolito al guado di un idea?”
Quando il latrare dei cani colmava il silenzio si sono disperse le buie ingrate vene, svuotate dal sangue che portò ristoro al cuore, oggi ripone di lato il volto audace e tiene in luce la soffocata arresa.
Briciole sotto le gambe divaricate, prestanti e luminose, all'occhio cedevole, nutrimento scarno e fuori dalla soglia.
Condurre il tempo di una qualsiasi musica è tenere in alto il drappo, è conoscere e sapere.
“Sai tu dunque?”
Lucina spalanca la bocca vogliosa, l'antiparola s'inchina alla storia.
Priuncess
In difetto era la conta delle 30 parole in fila, racchiuse dentro una, che era il grido e l'urlo.
Era ed è un poema, appeso a quel fragile filo d'aquilone, che subito si alza, alla leggera brezza del sud, e subito precipita al vento di tramontana.
Perchè cercarla allora quella parola-grido, che sì contiene dentro un mondo intero?
Perchè era uscita, dapprima solitaria, angolata e circoscritta in una zona di non conoscenza, la vostra, oppure di parziale parte, di essa.
Era ed è suscitare la parola, che divenisse evento, declamazione fuori dal silenzio, così tenace, così sofferto, così infinitamente triste, mesto di una mestizia e privo di aquiloni.
Perchè l'aquilone tira sempre verso l'alto, e tu appeso lì, a farti trasportare, a dargli quell'impulso a volte e quella direzione affinchè giunga -affinchè giungesse- a chi può esserne depositario e interprete.
La sacca del dolore si è aperta, ha splancato le braccia e mostrato nuda la sua pelle.
La liberazione nel segno, nel segno soffio della parola lanciata, a mò di aquilone, verso una terra fertile, dopo poi si adagia.
E così spero e chiedo di divenire altro da me.
Coro
Ci vestimmo con abiti bianchi.
Ci vestimmo ai piedi di un altare.
Ci vestimmo attendendo ancora quel canto
mentre ci arrivava la marea.
"È l’ora, è l’ora", sentimmo, dalle onde, bisbigliare
quando ai nudi nostri piedi vi si tremò la terra:
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Princess
Sì, poichè il poeta pensa, nella maledizione del suo pensare, in questa malefica costanza del pensare, sempre! E la notte è incubo in quei pensieri dentro e non manifestati, poichè è notte e altro s'avrebbe da fare. Ma dormire è un sogno, come la lungimiranza dei pensieri.
La musica ha il suo tempo, proprio come il battito del cuore. Tieni alta la soglia, tu che ci riesci! Dai valore a ciò che è espresso e non lasciarti ingannare dalla velocità, quella super della connessione, che nulla ha a che vedere con noi, che lentezza siamo, anche nel divenire.
Poichè è di carne l'uomo, e la sua donna.
Lasciamo al freddo del metallo, come carne della connessione. Non ci appartiene. Riprendiamo il tempo, la sua lentezza, restituiamo al tempo ciò che nella fretta gli stiamo rubando.
E tu che mi ascolti, rallenta il tuo battito e resta in sosta, le nari aperte, un leggero sorriso sul volto, e forse sentirai il profumo, il profumo del tempo che non abbiamo perso, ma, ora e qui, ritrovato.
Coro
"Comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne."
Su poeta, pensa, pensa alla maledizione del tuo pensare.
Resta in sosta, le nari aperte:
Su poeta, pensa, pensa al tuo pensare.
Poeta dei battiti, poeta dei rumori.
"e dimme mo, Nennella bella, comm''è ca dint''a lluocchie tuoie 'o cielo è sempe 'na fenestra? E si isso ancora te guarda, acala chill'uocchie 'nterra, pecchè dint''a lluocchie, llà, nce ne sta 'n'ato.".
In difetto era la conta delle 30 parole in fila.
Pensa poeta, pensa al tuo pensare.
Ferdi
Ottut otseuq ebberas li ate’op
Es non essof otats irei oltral
O amirp, o iop opod, otafortsopa a otuov
E rep òic osrp?
Ehc eipmoc izlab iulfrepus
Eloirpac ad atoid
Essef ellitnics?*
*( tutto questo sarebbe il po’eta
se non fosse stato ieri laltro
o prima, o poi dopo, apostrofato a vuoto
e per ciò perso?
che compie balzi superflui
capriole da idiota
scintille fesse?)
Ci dissero di andare, le parole; promossero la strada, lastricarono le voci e noi partimmo.
Ancora in dormiveglia, dietro occhi che ci precedevano, avanzavano parole in sottoveste bianca, monde, esattamente nude.
liberati, evadi, diventa ecumenico itarebil, idave, atnevid ocinemuce
divulga il nesso tra le dita e il verbo agluvid li ossen art el atid e li obrev
stringi - sui non utenti - ignirts – ius non itnetu
Parole il cui dialogo è ad una voce: ferme, come tronco al fuoco. Faville inesplorate, archi di tuono precipitate dalle labbra ai monitor più che la pioggia nelle messi arse
Non rep eridu inous eremo otnemalosil non per udire suoni rompere lisolamento
Onc isafne, a atacsac, omsaisutnellen elled effots con enfasi, a cascata, nellentusiasmo delle stoffe
Coro
Pensa poeta, pensa al tuo pensare.
Ferdi
Chi fu il primo che tracciò il segno? Oltre quale confine arrivò il suono? Da quale meteora la consonante zeta? E il numero dei profeti ci era noto già prima che l’acqua districasse il ghiaccio e l’aria ne bevesse a sorsi immensi?
Ecco che un’anima di tutti è nel canto che qui m'insegue
Tiziana
Fibre scomposte in definite file opposte, dietro il parapetto del labbro, nascosta la gola riempita di voci. “Le hai udite s-volgersi una ad una in sequenza mentre il poeta soleva pensare, ammutolito al guado di un idea?”
Coro
Ci vestimmo con abiti bianchi.
Ci vestimmo ai piedi di un altare
"È l’ora, è l’ora", sentimmo dalle onde.
Ferdi
Tre di noi, e poi quattro e poi ancora a osanna, vennero nelle bocche quasi a disfarsi della pena del silenzio. E stavano i sordi con le orecchie tese e i voli della mente ai ciechi residenti nelle fronde e i fili d’erba ai muti uscirono con mani appese. Si raccoglievano a corolla le vocali e qualche sillaba tornò all’alfabeto originale per comprare la vocale. E’ un gioco si disse, e giocheremo ancora in questo verso astruso e folle.
Coro
"Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco?", sentimmo dalle onde.
"Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco?", sentimmo dalle onde.
---------------------- cala il sipario sul quarto atto.
Atto V
L’ermeneutica
Orme
Capitano, mio capitano, parlavi una sola lingua e noi ne sentivamo due, non sapendo così a quale delle due poi appellarci.
Lì confusi, cominciammo a pregare a che una sola voce ci giungesse a noi, quella che era anche la nostra. Ma inutile fu riparare il nostro danno.
Che fu orecchio, che fu coscienza, che fu ironia della sorte o di quella singola voce udita in grido la sera prima, che, mischiando le sue carte, voleva forse prendersi beffa di noi?
E noi ad appuntare meglio i nostri orecchi, i nostri totali sensi del percepirne i significati. Ti sentivamo in una e l’altra lingua come se le tue parole si prestassero a quelle due singole prestanze di fiati, ma non di suoni, che contrapposti, a noi così giungendo, nel momento di percepirne il senso, poi si elidevano.
Svelaci dunque tu questo mistero che a noi ci apparve in core, e nel suo più grande tremore.
Tiziana
Briciole sotto le gambe divaricate, prestanti e luminose, all'occhio cedevole, nutrimento scarno e fuori dalla soglia.
Ferdi
la ripresa, il teletext, il film con vista
nel backstage di una bocca originale
Ci dissero di andare, le parole; promossero la strada, lastricarono le voci e noi partimmo.
Tre di noi, e poi quattro e poi ancora a osanna, vennero nelle bocche quasi a disfarsi della pena del silenzio.
Princess
Cosa hai perso, di me, che già non ti appartenne?
Ho vestiti di granito, che vorrei fossero di seta, dove passasse ancora il gioco, coi suoi colori e le sue folli grida.
Una scossa, un brivido... lasciamola parlare.
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Oi iuq it orbelec, reoma iom, e ilg illeccu onnarenrot a imratrop al aut amina.
"Comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne."
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
The End
L'ispirazione.
Attori: Princess, Tiziana, Ferdi, Orme.
Princess
Era ed e' il grido, la parola adatta mia di oggi, quella più giusta, più personale. Era ed e' il grido del "tu", che sei tu, che e' lui, che siete voi, che sono io. L'interlocutore vicino, sensibile, che prova l'ascolto e la dolcezza che può avere la parola.
Voi siete il cerchio, io una tangente, equidistanti dal centro della narrazione. Concedetemi il privilegio di essere una tangente, un segmento quasi nullo, che possa stare li', oppure andarsene.
Gli aquiloni non gridano, cercano soltanto un orizzonte dove scollinare, per vedere cosa c'è al di la' e di questo sono paghi.
Gli alberi cercano l'orizzonte rincorrendo le radici sotto terra. Io li immagino impazzire di gioia nella loro incessante ricerca sotterranea.
Io ho perso le parole, magari non mi credete, ma e' così. Ho perso anche la poesia ma oggi dopo tanto tempo, ho sentito il grido dentro, il grido della parola, che e' quello giusto.
E ho fatto volare gli aquiloni.
Tiziana
La parola l'ho temuta a lungo, si mostrava languida sulla punta della lingua, l'ho respinta perché sapevo che mi avrebbe sopraffatta, e scorre in vena lontana dagli schemi prefissati. Odiata e amata nell'associazione che ne faccio talvolta con l'Arte e la possibilità di tradurla in un dialogo infinito che frena solo a causa di gesti, gesti indispensabili perché non sempre tutti prestano ascolto, eppure basterebbe colare gli occhi sui fogli come lava incandescente, fare luce fra le trame che la compongono.
Non le trovo “le parole adatte” sono conficcate nei passi brevi del mio fiato, quello che in gola stringe ineluttabile sino a cercare la morte.
Questo scivolare sulla rete metallica in tensione, come un cavo che “porta” ma non sai mai sin dove, talvolta dall'altra parte di te stesso, e mi fa paura, questo mostro intrigante che ci rende simili e bugiardi.
A volte vorrei essere polvere ed infiltrarmi fra gli interstizi di questo progresso che sottomette quelli contrari, quelli che non rimangono in fila che non obbediscono, sfasciare il progetto distruttivo che logora. Le mie vene si radunano tutte in punto preciso e poi si disfano, vorrei non essere ma sono e mi adeguo, come una meretrice pesto i marciapiedi che percorrono vie sconosciute e mi vendo agli occhi dei senza occhi aspettando un cielo che mi strappi il respiro.
Chapeau al tuo gesto che si compie.
Princess
Così sei qui, Tiziana, fra le parole ardue e languide, che mettono paura. Eppure l'onda forte del tuo cuore mi arriva e dentro mi ritrovo.
Hai sentito la ninna nanna di orme di ieri sera? Cantava così:
"S’accora la parola int ‘a poesia, e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
L'ho trovata una dolce ninna ninna, dopo le fatiche del giorno, quelle del parlare e del tacere, quelle del sentire e dell'immaginare.
"S’accora la parola int ‘a poesia, e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Puoi essere regina qui con noi, sei vuoi, nei hai i titoli e le capacità.
Vestiremo un abito bianco, per questa ninna nanna, e la canteremo insieme attorno al falò che avremo acceso sulla spiaggia.
Orme
Arduo il passaggio, arduo l’attraversarne il segno, il fiato, l’accalorare che accomuna simili cori. Necessità ci prese dell’altrui e del nostro sguardo quando veduto in alto l’aquilone ci iniziammo ad imitarne le danze. E breve e lunga era la necessità della presa di quella mano che stende il suo bucato nel candido candore d’ogni sua vena.
Venerata ogni parola che vi leggemmo nella sua giusta accortezza, e di cui ci muovemmo innanzi.
Tu che di poesia spargi l’aria, e non muovi parola se non nel giusto ardire, prestaci quei tuoi miracoli di fiamma e fa che la nostra amica ritorni a noi, a questo nostro dire.
Ferdi
Ma l'amore che si muove come lacrima e coglie l'epoca del dolore prima che s'af_facci(a) al viso la smorfia agra, quel fiume che ipotizza null'altro che piene e scrosci a cascata "comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne." (*) Ora, quindi, che si disse del gelo sciolto, che insieme trovammo il guado, abbandonammo la pozza, seccammo i passi e le Orme, non secchiamo la fonte. Che questo sia un passar d'ombre è solo dovuto al segmento elettronico che ci connette insieme, la matassa di bit a cui affidiamo la maglia del dialogo, il vestito dismesso e rimesso, la scarpa virtuale per camminare insieme comodamente: " e dimme mo, Nennella bella, comm''è ca dint''a lluocchie tuoie 'o cielo è sempe 'na fenestra? E si isso ancora te guarda, acala chill'uocchie 'nterra, pecchè dint''a lluocchie, llà, nce ne sta 'n'ato.(**)
Princess
Ecco il "tu" che usi qui, anche tu. Senti la scioltezza di questo pronome, che è meraviglioso, la sua immediatezza, il suo scavalcare i confini, nell'epoca dell' "io" imperante, l'uso del tu mi appare come manna.
E' il "tu" che ci accarezza e porta lontano, chissà.
E il candido candore d'ogni vena, che tu nomini, lo tengo stretto, perchè è così importante che tu lo abbia visto e rintracciato, e infine nominato.
E poi la giusta accortezza, che ci fa muovere innanzi.
Non è forse miracolo, non è magia? A me così pare.
Io ti ringrazio di questo, non sai quanto, o forse sì.
Orme
Signori, si disse: Ci scusiamo se attraversiamo la via, ma indietro è rimasta quella compagna nostra, soffiata che s’aveva il suo bel viso tra i suoi aquiloni, e di cui quel colorato vostro. Vedete voi come vede la nostra vista, e quant’altro v’aggiungono i pensieri vostri?
Noi veniamo da lontane terre, da terre lontane con pane duro e piedi così forti che non si recano fatica a navigar le risa.
Tu donna che ci avanzi di sguardi, e molti, cosa ne pensi di tutto questo bel consesso?
Vuoi che tu sia solo mia donna, o anche qui nostra, e quindi, tutto per l'intero: nostra regina?
--------------------------- si chiude il sipario sul secondo atto
(*) "Come fosse una perduta acqua di neve / neve bianca / neve senza giuramento di rimanere ghiaccio / neve fatta di sangue trasparente / neve che scorre in un letto e perde la voce / neve della tua bocca vergine di sonno (o sogno)"
(**) "e dimmi adesso, bambina bella, come mai negli occhi tuoi il cielo è sempre finestra? E se lui (il cielo) ancora ti guarda, abbassa quegli occhi a terra, perchè negli occhi, là, ce n'è un altro."
Atto III
s'alza il sipario e nel tutto buio con solo gli aquiloni illuminati
Princess
E' la parola grido fra le messi di aquiloni, lunghe file nei campi, le mani a risalire l'onda soffio delle gambe. C'è un grido lontano, non lo senti? O un sussurro, appena ti avvicini. Chiedimi di me, di una carne intatta, la follia vagante, chiedimi del giorno senza sfiorare la sera. Toccami per sentire il mio sangue, se c'è, se ancora scorre, se raggiunge la superficie, quella degli aquiloni. Gridami del cielo, lascia lontana la notte, sganciala dalle mie braccia e sostienimi il seno. La caduta, il risalire, poi ancora fra le messi lunghe, fra gli aquiloni.
E tu.
Respiro.
Sempre al buio, voci maschili:
1° voce
Ecco signore, ecco: Senti il suo canto?
senti il suo grido?
Canto e grido che ritornano qui come ritorna il buio in ogni sera.
2° voce
Abbassa il tono della tua voce a che io li ascolti bene.
3° voce
O mio Signore, o mio Signore, illuminaci della retta via.
------------------------ si chiude il sipario
Atto IV
La parola e l'analisi del testo
Orme
Ascoltasti quella voce, ascoltasti il canto, ascoltasti quell'ascetico segno apparso d'improvviso ai nostri orecchi che pareva disseminare tra quelle buie vie dei campi, all'unisono, il grido di gioia e quello di passione?
M'apparve al singolo suono come una parola sola, lunga e circoscritta nell'intero suo grido, ma poi, analizzandola alla mente, risultava composta da almeno 30 parole e forse più.
Parola dolce, parola avventurata, che, mischiandosi, volgevano assieme il loro canto verso un approdo, se mai può esservi approdo per una parola in sé.
Rinviava e poi, pareva tornare in sé, quasi un andare in quel suo circolare giro, per chiudersi così al suo ritorno.
Parala indicativa, parola riflessiva, parola replicante?
La sua eco sfuggiva a questi eventi, a queste nostre possibili risposte, così sembrava dire quella sua voce.
Tiziana
Fibre scomposte in definite file opposte, dietro il parapetto del labbro, nascosta la gola riempita di voci. “Le hai udite s-volgersi una ad una in sequenza mentre il poeta soleva pensare, ammutolito al guado di un idea?”
Quando il latrare dei cani colmava il silenzio si sono disperse le buie ingrate vene, svuotate dal sangue che portò ristoro al cuore, oggi ripone di lato il volto audace e tiene in luce la soffocata arresa.
Briciole sotto le gambe divaricate, prestanti e luminose, all'occhio cedevole, nutrimento scarno e fuori dalla soglia.
Condurre il tempo di una qualsiasi musica è tenere in alto il drappo, è conoscere e sapere.
“Sai tu dunque?”
Lucina spalanca la bocca vogliosa, l'antiparola s'inchina alla storia.
Priuncess
In difetto era la conta delle 30 parole in fila, racchiuse dentro una, che era il grido e l'urlo.
Era ed è un poema, appeso a quel fragile filo d'aquilone, che subito si alza, alla leggera brezza del sud, e subito precipita al vento di tramontana.
Perchè cercarla allora quella parola-grido, che sì contiene dentro un mondo intero?
Perchè era uscita, dapprima solitaria, angolata e circoscritta in una zona di non conoscenza, la vostra, oppure di parziale parte, di essa.
Era ed è suscitare la parola, che divenisse evento, declamazione fuori dal silenzio, così tenace, così sofferto, così infinitamente triste, mesto di una mestizia e privo di aquiloni.
Perchè l'aquilone tira sempre verso l'alto, e tu appeso lì, a farti trasportare, a dargli quell'impulso a volte e quella direzione affinchè giunga -affinchè giungesse- a chi può esserne depositario e interprete.
La sacca del dolore si è aperta, ha splancato le braccia e mostrato nuda la sua pelle.
La liberazione nel segno, nel segno soffio della parola lanciata, a mò di aquilone, verso una terra fertile, dopo poi si adagia.
E così spero e chiedo di divenire altro da me.
Coro
Ci vestimmo con abiti bianchi.
Ci vestimmo ai piedi di un altare.
Ci vestimmo attendendo ancora quel canto
mentre ci arrivava la marea.
"È l’ora, è l’ora", sentimmo, dalle onde, bisbigliare
quando ai nudi nostri piedi vi si tremò la terra:
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Princess
Sì, poichè il poeta pensa, nella maledizione del suo pensare, in questa malefica costanza del pensare, sempre! E la notte è incubo in quei pensieri dentro e non manifestati, poichè è notte e altro s'avrebbe da fare. Ma dormire è un sogno, come la lungimiranza dei pensieri.
La musica ha il suo tempo, proprio come il battito del cuore. Tieni alta la soglia, tu che ci riesci! Dai valore a ciò che è espresso e non lasciarti ingannare dalla velocità, quella super della connessione, che nulla ha a che vedere con noi, che lentezza siamo, anche nel divenire.
Poichè è di carne l'uomo, e la sua donna.
Lasciamo al freddo del metallo, come carne della connessione. Non ci appartiene. Riprendiamo il tempo, la sua lentezza, restituiamo al tempo ciò che nella fretta gli stiamo rubando.
E tu che mi ascolti, rallenta il tuo battito e resta in sosta, le nari aperte, un leggero sorriso sul volto, e forse sentirai il profumo, il profumo del tempo che non abbiamo perso, ma, ora e qui, ritrovato.
Coro
"Comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne."
Su poeta, pensa, pensa alla maledizione del tuo pensare.
Resta in sosta, le nari aperte:
Su poeta, pensa, pensa al tuo pensare.
Poeta dei battiti, poeta dei rumori.
"e dimme mo, Nennella bella, comm''è ca dint''a lluocchie tuoie 'o cielo è sempe 'na fenestra? E si isso ancora te guarda, acala chill'uocchie 'nterra, pecchè dint''a lluocchie, llà, nce ne sta 'n'ato.".
In difetto era la conta delle 30 parole in fila.
Pensa poeta, pensa al tuo pensare.
Ferdi
Ottut otseuq ebberas li ate’op
Es non essof otats irei oltral
O amirp, o iop opod, otafortsopa a otuov
E rep òic osrp?
Ehc eipmoc izlab iulfrepus
Eloirpac ad atoid
Essef ellitnics?*
*( tutto questo sarebbe il po’eta
se non fosse stato ieri laltro
o prima, o poi dopo, apostrofato a vuoto
e per ciò perso?
che compie balzi superflui
capriole da idiota
scintille fesse?)
Ci dissero di andare, le parole; promossero la strada, lastricarono le voci e noi partimmo.
Ancora in dormiveglia, dietro occhi che ci precedevano, avanzavano parole in sottoveste bianca, monde, esattamente nude.
liberati, evadi, diventa ecumenico itarebil, idave, atnevid ocinemuce
divulga il nesso tra le dita e il verbo agluvid li ossen art el atid e li obrev
stringi - sui non utenti - ignirts – ius non itnetu
Parole il cui dialogo è ad una voce: ferme, come tronco al fuoco. Faville inesplorate, archi di tuono precipitate dalle labbra ai monitor più che la pioggia nelle messi arse
Non rep eridu inous eremo otnemalosil non per udire suoni rompere lisolamento
Onc isafne, a atacsac, omsaisutnellen elled effots con enfasi, a cascata, nellentusiasmo delle stoffe
Coro
Pensa poeta, pensa al tuo pensare.
Ferdi
Chi fu il primo che tracciò il segno? Oltre quale confine arrivò il suono? Da quale meteora la consonante zeta? E il numero dei profeti ci era noto già prima che l’acqua districasse il ghiaccio e l’aria ne bevesse a sorsi immensi?
Ecco che un’anima di tutti è nel canto che qui m'insegue
Tiziana
Fibre scomposte in definite file opposte, dietro il parapetto del labbro, nascosta la gola riempita di voci. “Le hai udite s-volgersi una ad una in sequenza mentre il poeta soleva pensare, ammutolito al guado di un idea?”
Coro
Ci vestimmo con abiti bianchi.
Ci vestimmo ai piedi di un altare
"È l’ora, è l’ora", sentimmo dalle onde.
Ferdi
Tre di noi, e poi quattro e poi ancora a osanna, vennero nelle bocche quasi a disfarsi della pena del silenzio. E stavano i sordi con le orecchie tese e i voli della mente ai ciechi residenti nelle fronde e i fili d’erba ai muti uscirono con mani appese. Si raccoglievano a corolla le vocali e qualche sillaba tornò all’alfabeto originale per comprare la vocale. E’ un gioco si disse, e giocheremo ancora in questo verso astruso e folle.
Coro
"Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco?", sentimmo dalle onde.
"Cosa sarà mai quel "indice minuto"? un dito d'orologio? una vecchiezza in elenco?", sentimmo dalle onde.
---------------------- cala il sipario sul quarto atto.
Atto V
L’ermeneutica
Orme
Capitano, mio capitano, parlavi una sola lingua e noi ne sentivamo due, non sapendo così a quale delle due poi appellarci.
Lì confusi, cominciammo a pregare a che una sola voce ci giungesse a noi, quella che era anche la nostra. Ma inutile fu riparare il nostro danno.
Che fu orecchio, che fu coscienza, che fu ironia della sorte o di quella singola voce udita in grido la sera prima, che, mischiando le sue carte, voleva forse prendersi beffa di noi?
E noi ad appuntare meglio i nostri orecchi, i nostri totali sensi del percepirne i significati. Ti sentivamo in una e l’altra lingua come se le tue parole si prestassero a quelle due singole prestanze di fiati, ma non di suoni, che contrapposti, a noi così giungendo, nel momento di percepirne il senso, poi si elidevano.
Svelaci dunque tu questo mistero che a noi ci apparve in core, e nel suo più grande tremore.
Tiziana
Briciole sotto le gambe divaricate, prestanti e luminose, all'occhio cedevole, nutrimento scarno e fuori dalla soglia.
Ferdi
la ripresa, il teletext, il film con vista
nel backstage di una bocca originale
Ci dissero di andare, le parole; promossero la strada, lastricarono le voci e noi partimmo.
Tre di noi, e poi quattro e poi ancora a osanna, vennero nelle bocche quasi a disfarsi della pena del silenzio.
Princess
Cosa hai perso, di me, che già non ti appartenne?
Ho vestiti di granito, che vorrei fossero di seta, dove passasse ancora il gioco, coi suoi colori e le sue folli grida.
Una scossa, un brivido... lasciamola parlare.
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
Oi iuq it orbelec, reoma iom, e ilg illeccu onnarenrot a imratrop al aut amina.
"Comme fosse 'na perduta acqua 'e neve, neve bianca, neve senza giuramento 'e ghiaccio, neve fatte 'e sangh' trasparente, neve ca scorre dint''o lietto e se ne more 'e voce, neve dda vocca toia mmaculata 'e suonne."
"S’accora la parola int ‘a poesia,
e a sciumme se jetta, pò, int’a lo mare".
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