Direi che dovremmo prima cercare un ritmo e solo dopo iniziare con le fattualità da poter così incanalare nel ritmo prescelto.
Potremmo fare delle prove sul già dato. Riprendere quelle frasi e riclassificarle secondo lo scandire del sonoro, secondo quei suoni che, ripetendosi, scompariranno nel loro continuo, ma che avranno così solcato e inciso nell'anima profonda il nostro ormai ancorato dissodare. Mi riferisco, ad esempio, a: "Senza aspettare ritornò a dimenare la sua schiena". Sarebbe una bella cadenza sia per l'apertura e sia per una chiusura. O anche: "La incontrai sotto il suo cubo in una disco vicino alla nebbia". Aprirebbe questa frase un dentro e un fuori dove poterci inserire a piacimento tra i volumi, alti o bassi, o sulle soglie delle ipotenuse, o anche nei circoli di qualità delle cubiste o, e questa volta verso l'esterno, sulle strade. Se vogliamo, invece, allontanarci da noi, potrebbe andar bene questa frase in post-sintetico di rammendo: "Ma davanti alla plastica si ferma: è un uomo col senso del futuro". Quell'uomo non sarebbe, di certo, presente qui con noi, e, non potremmo mai interpellarlo. Ogni domanda a lui rivolta rimarrebbe pertanto senza risposta alcuna. E ciò non ci consentirebbe, poi, di proseguire. Se vogliamo inserirla fattivamente, cercando di riempire non solo i momenti riflessivi dello scritto, basterebbe mutare il verbo all'imperfetto: Ma davanti alla plastica si fermava: era un uomo (o una donna) col senso del futuro. Ci aprirebbe, questa frase, tante altre vie tra la modernità e il senso del passato. Quest'altra frase la potremmo trasformare in una invocazione: "Solleva le parole dalla bocca e le restituisce ad una ad una alle dita e all'andare Nel e Col Tempo": |
"Sollevami le parole dalla bocca e restituiscile ad una ad una alle mie dita, e all'andare Nel e Col Tempo.
.......e chiamo anzi busso alla tua porta anche se non ho nessunissima idea di chi tu sia" In una sera quasi ovvia come questa, finii le idee e pure il mescolarsi di parole al centro della pancia. La mia spirale di energia si appigliò ai temps levé del mio ballerino impegnato. Si caricavano le cipolle antiche, quelle a catene dei taschini. Avevano baffi e sputavano forte e forse non videro mai il lago dei cigni ma qualche lago dove pescare pesci e rane. Non posso proprio perderle in un Lago quelle parole: i Cigni sono belli ma cattivi.
Per emergere, emersero, e la loro dedica era bellissima, manco a dirlo, ma non sapevamo se potevamo da sole intrometterci in quei loro giochi tra uomini con ragazzuole riminesi annesse.
Si diceva di Francesca, da Rimini. Cosa ne dici ore 23,12 V., attaccandosi, appena terminato il canto, con entrambe le mani all'asticella del cubo, immaginnandosi una bandiera verde da poter innalzare, pronunziò con voce ferma e suadente quelle nuove parole che avrebbero costituito l'altro algoritmo del giorno da dover risolvere, però, a notte inoltrata: "In fondo alla sala, un laureato in storia delle ... pensò: dicono che gli oleandri si taglino alla base, così ricrescono alti e forti. Ai ballerini, alle prime fila, fino al fondo dei loro corpi, tutto era una parola vecchia. Agli ultimi arrivati, invece, parve così nuova: "Mi pare idea bell'assai e stimolante". Aspè, cerco la sintonia sul mio registro interno: quello che riferisce il dire dopo il pensato. Fermo io alla plastica. Ferma la plastica a me. Entrambi sconosciuti al Tempo. Esso non formato, ma calcolato - della plastica saprò dire un tempo eterno, di me dovrò accettarne la misura chiusa - e, immobile, mosso al ciclo dell'andare avanti. Sempre avanti. Fino alla porta. ops...., aggiunse l'amica, voglio E qui, a questo tempo di porte scorrevoli e girevoli, mi fermo. E cerco la parola che si è persa, forse è finita sotto la sedia in teatro. |
(Avanti, che sembra partito bene. Inizia la seconda parte, datevi da fare. Non ci sono più parole: sono state consumate tutte tutte. Siamo in piena riserva.)
Tornavano quelle parole ad una ad una come funghi che spuntano quando in settembre muove nel bosco la pioggia e gli odori si lacerano tra quelli vecchi e nuovi recando l’humus de le terre, delle spore che avvinghiano i nasi e a cercarne di quelli più freschi come gli altri ti fossero già caduti. Così cadevano quelle parole non appena le apprendevi. E con esse le distanze dagli eventi, dal fondo della sala, dalle scalinate ove impazzire sembravano quelle cubiste nel dimenarsi mentre ferraginose, le sinapsi, arrancavano avendo alla vista tutti quei mezzi nudi. La Roberta, la Raffaella, il due per due delle cosce ben asciutte. l’insostenibile inutilità dell’essere Le ho guardate.
A lungo, affascinato dallo scorrere impetuoso degli zampilli. (Ossequiosamente La Francaf, rivedendo i suoi calcoli, da lì a poco, dal tavolo, alzandosi, avrebbe annunziato: Ah, l'algoritmo... non come quando Kitāb al-djabr wa 'l-muqābala (Libro sulla ricomposizione e sulla riduzione) fu scritto dal matematico persiano Muhammad ibn Mūsa al-Khwārizmī. Da al-Khwārizmī deriva la parola algoritmo. Essiamo arabi. Tutti. Ma non velati, però.... Gli eventi, tra le cubiste e le fattualità degli accaduti, sembravano abbandonare la consistenza stessa dell’esservi come semplice memoria e sembravano materializzarsi come nuove coscienze ancora da acquisire, come eventi ancora da materializzarsi tra la voracità del tempo e la stabilità delle loro distanze. Si poteva pensare algoritmi mistici, futili e anche a fiori. Surreal but nice
un algoritmo in piena regola, anzi in piena rivoluzione post-industriale, anzi in pieno Venticinquesimo secolo; l'inutile non è utile ma aiuta, Si decise così, per un approccio olistico alla questione, di far coincidere la dislocazione degli astri di quella sera in cielo con gli sguardi sfuggiti tra di noi in terra, e così che i lindi e pinti si ponessero a destra, le scollate a sinistra e gli accavallati di gambe al centro di quelle nostre intere forze cosmiche. Indi si sarebbero esaminate, tutti assieme, e parola a parola, le frasi dell’enigma per tentarne una plausibile risposta. Non prima, però, di aver sovraesposto e sovrapposto le nostre singole dislocazioni mentali rappresentandole graficamente in una unica mappa di gruppo. In presenza di affinità palesi, i pensieri, smossi e rimossi, si sarebbero appuntati tra lo zero e lo uno nell’ambito delle probabilità alle certezze onde lo faro loro, unito assieme, diventasse, in fine, luce.
Viaggiava così la scenografia del sogno quando il trillo del telefonino preannunziava, a musica già inoltrata, la chiamata che aveva prenotato, a mezzo pagina elettronica, con Monica.
E', che aveva preso sonno proprio innanzi alle sue stesse parole, postate poco prima sul forum letterario Rosso Venexiano, in quelle composizioni a più voci a cui stava, col suo nuovo e già attivato nick, partecipando; e lì chiamate, anche, Corali. Quei cori li avvertiva tutti nella sua testa. (potremmo, a questo punto, inoltrarci nella terza parte, decidendo , però, prima se intitolarla a Rosso Venexiano, e parlando così anche del sito, o alla telefonata con Monica. Rosso, rappresentava un colore ma anche un sito, ormai per lui. Vi trascorreva delle ore intere a leggere e ad immaginare quelle scene che riusciva a formare. nella sua mente, con quelle parole ivi lette e che, di volta in volta, i vari autori presentavano in prima pagina.
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La appercezione della parola
Sfogliò così altre parole, quelle del giorno prima e degli altri giorni, a verificare se gli tornassero più appassite, e anche meno vere, di quelle ancora di giornata.
Le parole parevano, a leggerle bene, avere la stessa fragranza o anche la stessa anzianità di percorso, e di scrittura, eppure quelle dei giorni prima non turbavano più i suoi sogni mentre quelle del giorno ancora lì presenti, come vera quotidianità, parevano più sveglie nel risvegliare i sogni alle sue immaginifiche fantasticherie.
Pensò, probabilmente, che anche gli autori avessero abbandonate quelle parole dei giorni prima, e che, così, fosse venuto meno alle stesse quello spirito che le aveva animato in quei loro giorni di battesimo.
Erano rimaste sole, e, non sapendosi ben difendere da eventuali attacchi, si erano automesse in una forma di stand bye, sottraendo così spazio alla loro precedente vivacità. L’abbandono delle parole da parte degli autori, e il venir così meno dello spirito che le aveva precedentemente animate, pareva un tema importante da approfondire nella sua testa. L’analisi lo avrebbe senz’altro aiutato a sviluppare meglio il senso appercettivo che noi abbiamo di una identica realtà quando ci viene presentata in ambiti diversi tra di loro.
Fossero questi diversi ambiti costituiti da differenti spazi e colori, o anche da date diverse di un medesimo calendario, o anche da un insieme di identiche parole scritte, a distanze diverse, da soggetti diversi. Così sarebbero state forse anche le parole di quella Monica che di lì a poco avrebbe ascoltato di suo orecchio.
Parole del giorno prima, parole del giorno quotidiano, voce sua, voce sintetizzata? E poi chi era questa Monica che chiedeva di parlare con lui?
Fu a quel punto che, ad substantiam, fu ripresa, e trasferita così anche al presente, quella famosa frase: "E qui, a questo tempo di porte scorrevoli e girevoli, mi fermo. E cerco la parola che si è persa, forse è finita sotto la sedia in teatro. |
Fine Gli Autori |
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