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Prosa e racconti

il pagliaccio

Gli occhi acquistano lucidità
E non sono lacrime
Lei finalmente vede
Il trucco  disfatto
Il rimmel sbrodato
I lustrini opachi
Lui ora le sembra
una vecchia puttana in disuso
Un pagliaccio solo
che piange sotto il tendone
Quella spettatrice non c'è più
l'ha vista andar via
Sbadigliava
Lui piangerà tanto
Avrebbe dovuto cambiare copione
Riuscire a strapparle ancora un sorriso
Gli applausi non si pretendono
Si meritano

I temporali

Da qualche tempo ho smesso di immettermi con il raccontare i miei ricordi e di parlare del mio (fantastico) corso all'unitre. Ci riprovo
 I temporali.
 I temporali erano  avvenimenti che  portavano scompiglio particolare in paese.  Il suo arrivo faceva correre Eugenio (il sacrestano)  a suonare le campane per allontanare questa iattura capace di distruggere un raccolto frutto del lavoro di un anno intero.  A me piace ricordare che al primo accenno di tuono, ero sicura che Donna Elvira sarebbe arrivata a casa nostra per superare la paura.  Io attendevo quei momenti perchè la signora, per distrarsi cominciava a raccontare storie delle antiche famiglie del  paese  delle quali conosceva ogni storia. Misteri che lei raccontava e che io letteralmente bevevo.
 In queste incursioni, a volte, mi insegnava filastrocche da lei apprese nella sua fanciulleza, Tra queste:
 
La pigrizia andò al mercato
ed un cavolo comprò.
Mezzigiorno era suonato 
quando a casa ella tornò.
Cercò l'acqua, accese il fuoco
si sedette e riposò.
Ed intanto poco a poco
anche il sole tramontò.
Così persa ormai la lena
sola al buio ella restò
ed a letto senza cena
la meschina se ne andò.
 
Credo di averla ricordata bene ma se qualcuno la conosce e ho saltato qualcosa, mi fa piacere saperlo.
Altra, credo più conosciuta:
 
Cera una volta un re
seduto su un canapè
e disse alla sua serva
raccontami una storia
e la serva cominciò:
C'era una volta un re
seduto su un canapè
e disse alla sua serva.....

Ho tolto il tappo, non é ancora aceto.

Il primo strato che incontri é quello dei ricordi più dolorosi. Se riesci ad abbattere il muro che hai costruito per seppellirli. Vengono a galla, risalgono la superficie dell’ignavia che li ha tenuti lontano dal tuo cuore evitandoti sofferenze e si mostrano così al mondo, nudi. Ora che hai rotto gli argini, mi dico, vai avanti non fermarti. L’emozione è forte, i ricordi tentano di sommergermi. Dove sei stato fino adesso? Perché proprio ora? E’ come aver tolto il tappo ad una bottiglia di vino che stava andando in aceto. Mi mancava il cavatappi, mi sono risposto. Poi ho convenuto con me stesso che era una delle mie solite scuse. Che grandi cazzate si inventano gli uomini pur di non ammettere i loro errori! Mi sono messo a scrivere.

Cose Così [fruttate]

Esploda d'aroma fruttato il peregrinare dei baci nel fiato, inanelli ciambelle glassate di bianco. Siano il fresco delle acque, le sinfoniche accortezze, l'arco del cielo piegato confonda le rondini. Arretri il velo tortora sceso a tradimento. S'inventi il tempo, lo dilati, ne faccia concerto di archi e pianga di pioggia. Ora, raccolti i vestiti da terra, si plachi il mal d'amore. Apra la finestra e lo respiri, questo spazio immenso, immerso.
 
Passeggia fra cesti di mele.
 
Manuela

Viaggiatori 2

Riponimi fra gli spiccioli delle tue tasche piene di arcobaleni, gli orli piegati, le cuciture. Riempi le mie stanze di bottoni alle tue asole, e liquida ghiacciai dietro le iridi. Semina di fiori le distese aperte al verde, alle albe nitide, alle stagioni quiete. Arriccia il mare e le sue onde, raffina l'oro dei deserti, azzurra i cieli, i nostri. Portami sui tuoi silenzi, aprendo le tue porte alle parole care. Di trasparenze e suoni si caramella l'andare vischioso, mette ali bianche, s'alza in punta di piedi per baciarti ancora, e ancora, ancora, sulla bocca.
 
[Ti amo davvero.
Nessuno come te]
 
Manuela
Montserrat M.B.

Viaggiatori

Le dita fra i coriandoli di un giorno come carta leggera, al di là di un formicolio triste alla base del collo. Sposta i cappotti la corsa di un treno contro vento. Sferza le bocche a falciarle, l'inverno. Passa una lingua sulle labbra a inumidirle sopra il rossetto... non basta una sciarpa a ripararle dal freddo.
Con te, in te, fra nuvole tiepide, vestito di pesca, scardina ed annega di tequila e di rum l'alcol d'amore. S'assottiglia la sera verso le ore di una notte nera e nuda. Tempo che non abbiamo, poco tempo, tanto tempo. Ho te fra le costole a sibilarmi che esiste la felicità, nei tuoi baci dentro ai miei, tu dentro me. Piove o forse no, di mattina, sui viali di panchine a braccetto e la sera prima. Farfugliano i saluti, rimbalzano sugli occhi di rimmel e matita. Il libro che leggo ha le parole sfocate, le pagine grosse. Pensavo a te, a come stavi allora, a come stavo io. Alla tua tristezza un attimo fa.
La discesa è pericolosa, prima passo la borsa poi l'ombrello, e poi lentamente, io. Oppure non scendo e torno indietro ad abbracciarti.
 
[Le cose che mi dici.
Quello che mi dai].
 
Manuela
astratto moderno di mmb art

'fanculo i cani.

In un momento di buonismo, andai al canile, proprio un canile, quello della Maristella, a cercare un derelitto da portare a casa a riempire quel buco che mi si stava aprendo dentro, lentamente ma, inesorabilmente. Pareva un "girone" dantesco in cui i dannati, qui i cani, stavano immersi nella merda. Lei, povera donna, pensava di fare e faceva il massimo, date le circostanze. Comunque, tra le decine di animali, di tutte le età, colore e dimensioni che si aggiravano nel recinto comune, molti erano i cuccioli e quando entrai, si precipitarono ai miei piedi scodinzolando e uggiolando festosi. Poi capii il perché: i visitatori portavano sempre qualche leccornia alimentare per loro. Scelsi quello che mi pisciò sulle scarpe. Ho sempre avuto riverenza per quelli che me l'hanno fatto nella vita. Naturalmente nero, li ho avuti sempre di quel colore, orecchie lunghe cadenti, occhi tristi e lacrimosi: un incrocio cooperativo di bracco-segugio-bassotto, di sperabile taglia non grande. Quando feci per prenderlo, si buttò sulla schiena e continuò a pisciare, smodatamente. Sembrava ridesse. A casa, bagno caldo. Disperato si arrampicava sui bordi della tinozza, che non gli facevo superare e guardandomi pareva chiedermi e chiedersi : ma, allora, non mi vuoi bene. Avvolto in spugna e massaggiato a dovere, si ricredette e cercò di leccarmi il viso, più volte. Intanto, come da quando l'avevo preso, scorrevo mentalmente una serie di nomi, da affibbiargli, meritatamente, se possibile. Cominciai coi soliti: Bobi, Black, Ringo ma, sapevo già che non mi piacevano e ritornavo sempre a quello che avrei voluto mettere al mio cane in odisseica memoria ma, guardandolo, non mi parve il caso. Allora, anche se mi stanno sulle scatole certi fumetti francesi, per via del protagonista ammazzaromani ma, nonostante ciò, li trovo divertentissimi, decisi per Asterix.

Cecile

Cap. 10- Cecile

Treno delle otto e trenta da Palermo. Solito etching razzista del solito controllore merdoso. Biondo, alto, occhialini da idiota, sguardo da pesce lesso. Un’uniforme verde insignificante che, evidentemente, gli conferisce superpoteri da sceriffo. Non fiata mai ma, quando si trova al cospetto di un extracomunitario, fa la voce grossa e cerca ogni scusa per incularselo. Treno delle otto e trenta. Due ragazzi marocchini sono su una panchina, oltre la linea gialla. Il borgheziofilo li insulta e chiede loro preventivamente il  biglietto. Il più giovane ce l’ha, ma il borgheziofilo non si arrende: la scritta è sbiadita, si intuisce la data di oggi, ma non si legge la stazione di partenza. Cazzo! Siamo a Palermo ed è il capolinea.

La sua amica Anna

La sua amica Anna sembrava essere giunta all’improvviso.

Ho parlato a lungo con...

Ho parlato a lungo con le sulla sulle guance dei sul corpo dell’amato.
Alda Merini
 (elaborazione dal verso della poetessa)
 
Ho sempre avuto un gran rispetto per le mani quali strumenti essenziali della nostra vita.
Appena entriamo in questo mondo, espulsi dall’utero che ci ha nutrito e cresciuto per nove mesi, oltre al pianto che ci libera i polmoni e che ci consente di riempirli per la prima volta d’aria, agitiamo le piccole mani ancora rattrappite dalla lunga posizione fetale, quasi per farci notare:
“Ehi! Sono qui, sono arrivato, ci sono anch’io, non vedete, non sentite?”
Con queste piccole mani, grandiosi strumenti che ci hanno permesso di elevarci al rango d’animali pensanti, il bambino è pronto ad affrontare tutte le sfide, tutti i pericoli, tutte le emozioni, tutte le sensazioni che la vita ha in serbo per lui.
È pronto a diventare uomo!
Cominceranno con il cercare il calore del corpo che l’ha generato, per poi aiutarlo a suggere il seno per trarne l’alimento essenziale per iniziare la sua corsa verso la vita. Già adesso, insieme ai vagiti, comunicheranno a chi lo accudisce amorevolmente, quali sono le sue esigenze vitali.
Mano a mano che l’organismo si sviluppa, le mani cominciano a prendere coscienza di sé, prima in maniera goffa ed inconcludente, non riuscendo ancora a coordinarsi. In seguito saranno sempre più sicure e capaci ed afferreranno tutto ciò che si presenta nel loro raggio d’azione, per saggiarne la forma, vederne il colore, sentirne il sapore.
Sta iniziando la “conoscenza”.
Quegli strani strumenti che la natura gli ha fornito, all’estremità di due propaggini articolari, divengono sempre più capaci d’operazioni complesse, sotto la supervisione del cervello.
Inizia la fase creativa.
Prima, semplici tratti senza senso e misura, pastrocchi di colori, calati sulle superfici più disparate.
Seguiranno i primi segni intelligibili, prodromi remoti della futura scrittura che lo renderà libero ed indipendente, perché padrone di comunicare anche con persone lontane  e con culture diverse con quel sensazionale strumento di circolazione delle idee che è stato il libro, dall’antichità mesopotamica, fino ad oggi ed anche per il futuro.
Nel suo continuo divenire culturale, i suoi strumenti di carne ed ossa, saranno i veicoli delle più disparate manifestazioni del suo intelletto.
Con esse sarà capace di forgiare gli elementi della natura a sua discrezione e per il suo tornaconto, sarà capace di trarre dalla terra, da cui è nato ed alla quale ritornerà, i frutti per il suo e per l’altrui sostentamento.
Sarà capace di edificare opere civili e d’ingegno tali da farlo peccare di presunzione, arrogandosi la qualifica di Creatore.
Sarà capace di compiere azioni mirabili e nefande.
Le sue mani potranno allo stesso modo e tempo, scorrere su un pentagramma per comporre melodie immortali, ascoltando le quali tutti gli uomini si sentiranno più uniti e scorrere su grandi fogli tecnici per progettare e poi realizzare micidiali strumenti di morte, che creeranno odio e disamore.
Le sue mani saranno capaci di prendere con infinita dolcezza i più indifesi fra noi, e carezzargli il volto con tenerezza ed allo stesso tempo saranno in grado in un impeto di lucida follia di togliere la vita, anche a chi si ama.
Le mani, anch’esse, sono un simbolo delle sue contraddizioni.
Le sue mani, sapranno essere anche uno straordinario strumento di trasmissione dei suoi sentimenti, quando con esse abbraccerà i suo cari, i suoi amici, i suoi nemici e la persona che lo amerà.
Quando sarà giunto il momento di ripetere l’eterno itinerario della vita, egli carezzerà con le sue mani l’appassionato corpo della sua compagna e lo predisporranno ad accogliere in sé il seme che germinerà nel suo ventre un altro piccolo essere che piangerà ed agiterà le manine, esattamente come aveva fatto lui tanti anni prima.
 
Tutto questo e molto altro ancora è il “frutto” delle mani.

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