Come una lavandaia
Ho sempre considerato la mia anima come un fazzoletto di terra da curare amorevolmente. Durante la mia giovinezza l’ho seminata a prato. Un verde, tenerissimo e affascinate prato. I miei pensieri, le mie emozioni la sorvolavano leggeri come nuvole multicolori di farfalle. Gli anni, come mandria imbizzarrita di bufali, l’hanno attraversata calpestandola, lasciandola brulla e lordandola di escrementi indesiderati. Ora, con l’esperienza e le poche forze che mi rimangono, mi accingo ad una impresa titanica: la pulirò e laverò come provetta lavandaia, portandola alla fonte a me più vicina e cara, il mare. Poi seminerò di nuovo e aspetterò…
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Raccontando un'illusione
la incontrai di nuovo quasi per caso
dopo tanto girovagare nei vicoli
rivoltando cassonetti immondi
erano anni, ma non parve cambiata
solo il suo respiro dentro il mio
avevo un altro ritmo, un altro sapore
fu allora che con estrema sofferenza
dopo l’amore mi separai ancora da lei
e la guardai finalmente con occhi chiari
lei mi lasciò ridendo sguaiatamente
ancora adesso, quando ne parlo,
a parole ancora vive...a parole
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Le parole che non vollero morire
il nostro amore era appena morto ma le parole erano ancora vive
gelide, senza alcun timore si rivoltarono contro l’assassino
danzando sulle lenzuola intonarono un osceno canto da osteria
parole come piombo fuso che scendendo nella gola bruciò
gli ultimi spasimi di piacere rimasti sulla pelle, brividi di superficie
mentre nel profondo dell’anima il cuore salmodiava il mio dolore
l’amore morì, a parole ancora vive
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Ninna nanna tutta d'un fiato
non credere sia vero,
non sei diventato saggio
e’ che non hai il coraggio
di essere sincero
così copri le spalle
parlando di esperienza
ma in fondo hai capito
che è solo la coscienza
dei limiti del tempo
di voglia di lottare
di battere la sorte
sapendo ancora amare
la vita anche se spesso
ti ha preso per il culo
soprattutto adesso
che sbatti contro il muro
del tempo per finire
quello che hai iniziato
prima di veder morire
il giorno e senza fiato
addormentarti stanco
di aver mostrato il fianco
alla vita gran puttana
che solleva la sottana
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Incubo
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A media luz
Era da tempo che non scambiavo quattro chiacchiere con lui. Saranno vent’anni. Ci siamo ritrovati per un aperitivo a Milano, alla Bodeguita del Medio, le gambe allungate sotto un tavolino, davanti a noi due ottimi Daiquiri. Anche lui, come me, adora questo locale, dove si beve un ottimo Rum e si può apprezzare la cucina cubana, fatta di piatti poveri ma saporitissimi. Abbiamo ricordato i tempi della Milano anni ‘60/70, abbiamo parlato di donne e canzoni. Atmosfere di allora, entrambi amanti del cabaret, ci siamo inteneriti al ricordo dei Gufi, di Gaber e di Jannacci. Abbiamo fischiettato insieme “Luci a San Siro” e abbiamo finito con il classico e ormai desueto “Quelli sì erano giorni”! Poi, dopo aver simpaticamente litigato su chi dovesse pagare il conto, lui si è alzato e con fare deciso si è diretto verso la cassa ridendo “Pago iooooo!”. Non l’ho più visto. Ho atteso invano il suo ritorno. “Signore, il locale chiude - mi ha apostrofato gentilmente il cameriere - il conto l’ha pagato il suo amico”. Mi sono alzato alquanto contrariato ed è stato allora che li ho visti: un paio di splendidi Ray-Ban dimenticati sul tavolino. “Solito distratto - mi sono detto - non cambierai mai, sempre con la testa tra le nuvole, lassù, come un Top Gun”! Ho chiuso il cassetto ed ho inforcato i miei Ray-Ban. Mi stanno benissimo. Oggi c’è il sole.
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Non é colpa mia
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Come un pipistrello
come una nottola cieca
appeso agli anfratti del tempo
ho atteso l’imbrunire della vita
per dispiegare le ruvide ali
zigzagando con volo isterico
guidato da un radar difettoso
milioni di parole sconnesse,
promesse e facili illusioni
hanno segnato il mio volo
negli anni di uscite diurne
ostinatamente dimentiche
della mia cieca condizione
ora nei miei voli notturni
non cerco facili prede
non voglio cibarmi di nuovo
di veleni vestiti a festa
il radar guida zoppicando
le rotte negate ai miei occhi
l’alba incombente mi avvisa
la luce ferisce gli occhi
il volo si placa planando
ritorno appeso al mio tempo
a testa in giù, sebbene dolente
attendo l’ultimo volo e vivo
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Clandestino
Dopo il becero odierno intervento
del sindaco di Milano Letizia Moratti
Figlio indesiderato di nessuna madre
misconosciuto nel tuo dolore
approdato nella terra di nessuno
che stravolta da terremoti e paure
oggi recintata di nuova sicurezza
con arroganza pari all’ignavia
uccide quel che rimane della tua esistenza.
Posso offrirti solo la mia vergogna
anch’io da oggi figlio della tua stessa terra.
© Franco Pucci 2009
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E chiudi la porta
Così te ne vai.
La finestra aperta lascia entrare
il vento gentile della mattina.
Fragranze e profumi a me noti
alleviano il mio dolore.
Chiudi bene la porta quando esci.
Piano, per favore.
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