Scritto da © Silvia De Angelis - Lun, 11/10/2010 - 05:51
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Spesso negli elaborati e nelle poesie in vernacolo troviamo delle espressioni scurrili, anzi vere e proprie parolacce, che potrebbero
apparire offensive, derivanti dall'avita tradizionalità linguistica
della Roma dei Papi, in cui la popolazione più semplice si esprimeva in un linguaggio italiano assai pesante.
Essi trascuravano di usare attributi sinonimi e alternative concettuali, manifestando una semplicità espressiva di utilizzo verbale che è tipica del bagaglio culturale della popolazione
della strada.
Spontaneità assoluta e totale mancanza di inibizioni affidano all'espressione una particolare ricchezza, marcando la sonorità della parola e, imprimendo alla stessa, un contesto più simbolico.
Pertanto nel dialetto romanesco la parolaccia, generalmente, non si riferisce al suo significato
letterale, ma assume un senso di praticità, accettato.
Così è normale che una madre che chiami il figlio : " a fijo de 'na mignotta", senza sentirsi minimamente coinvolta in prima persona, affidi all'insulto un semplice rafforzativo del richiamo
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