Scritto da © Fausto Raso - Lun, 21/11/2011 - 19:52
Tutti sanno - o dovrebbero sapere - quale alito di “rinnovamento linguistico” abbia portato nel vecchio mondo (Europa) la scoperta dell’America per opera dei grandi navigatori italiani tra i quali vanno menzionati Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci. Bene. Con queste noterelle vogliamo mettere in evidenza - sperando di riuscirci - il contributo che la “lingua americana” ha dato al nostro idioma. Ben presto, dunque, gli “scopritori” si trovarono a dover designare gli oggetti, le piante, gli animali, i fenomeni che esistevano nel nuovo mondo e non nel nostro; cosí parecchi di quei nomi - entrati nel nostro vocabolario - finirono col diventare comunissimi. Basti pensare che provengono dall’America le patate, il granturco, i pomodori, i tacchini, i fagioli e le zucche. Oggi nessuno, quando va al mercato a comprare un chilo di patate, per esempio, sa di adoperare un “americanismo” tanto è comune, ormai, quel nome. E a proposito di piante provenienti dal nuovo mondo, i linguisti dell’epoca si trovarono di fronte a un dilemma: accettare i nomi adoperati dagli indigeni o coniare termini nuovi. Furono seguite ambedue le strade: per le patate, per esempio, fu mantenuto il nome “americano” un po’ alterato; per il pomodoro i linguisti crearono un nome nostrano. Ancora oggi, a distanza di secoli, c’è oscillazione fra le due “strade” per quanto attiene al nome di una pianta: il “granturco”. Chi lo chiama col nome americano “mais”, chi con quello italiano “granone”, “frumentone”, “granturco”. Perché “grano turco” si domanderà - giustamente - qualcuno? La Turchia che cosa c’entra? Nulla, assicurano storici e botanici. Colombo ci fa sapere d’aver portato lui stesso i semi di quella pianta in Spagna, di ritorno dal suo primo viaggio “americano”. Perché turco, dunque? Per alcuni linguisti (e “vocabolaristi”) la risposta è piú semplice di quanto si possa immaginare: l’aggettivo turco va inteso come “esotico”. La “verità vera” del nome va ricercata, invece, in un errore di traduzione dell’inglese wheat of turkey, vale a dire “grano per tacchini”, cosí denominati per una certa somiglianza del collo di questi animali a un turbante turco (la Turchia c’entra “di striscio”, per un errore dei traduttori). Provengono dal continente americano anche i cosí detti fichi d’India, cosí chiamati perché “provenienti dalle Indie”, senza specificare se venissero dall’India o dal nuovo mondo che, a causa del suo errore geografico, Colombo riteneva essere l’India. Forse annoieremmo gli amici lettori se elencassimo tutti gli americanismi entrati a pieno titolo nella nostra lingua nel Cinquecento e nei secoli successivi per designare animali e piante, cibi e bevande e altri oggetti d’uso comune. Vale la pena, però, citare alcuni nomi di animali di cui si ha conoscenza solo attraverso i libri o, tutt’al piú, attraverso i giardini zoologici come i giaguari, i lama, i mandú, tutti animali che non si sono acclimatati nel vecchio continente (Europa). Riteniamo interessante citare anche alcuni nomi di piante medicinali come la china e la coca, il guaiaco e l’ipecacuana (rubiacea sudamericana da cui si ricava un medicamento che ha la capacità di far vomitare). E come non menzionare un famoso legno pregiato, il mogano? E concludiamo con il cannibale, nome adoperato per indicare un antropofago, che in realtà non è che un uso estensivo del nome proprio di una popolazione delle Antille: Cannibali o Caribi.
Fausto Raso
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