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Oblivion

Devono la loro notorietà alla versione bonsai dei “Promessi Sposi”, un Bignami stringatissimo, parodia del celebre romanzo manzoniano. Caduto nel dimenticatoio tra gli studenti, ci hanno pensato gli Oblivion a riportarlo in vita, trasformandolo in una surreale versione video di dieci minuti e comparsa su Youtube. Il destino artistico del gruppo che risponde ai nomi di Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli, da quel giorno ha preso un'altra direzione: quella del successo. I cinque divenuti famosi grazie a questa singolare versione, comparsa sulla rete, dove nessuno sarebbe stato in grado di prevedere l'effetto. Certo è che ora sono in cima alla lista del gradimento. Chiamando in causa sociologi della comunicazione e dei processi mediatici, forse una spiegazione la si trova, ma sono sufficienti le cifre per farci capire. I “Promessi Sposi” alla maniera degli Oblivion, hanno riscosso 150 mila contatti in due mesi su Youtube, 319 mila visualizzazioni, oltre 1300 commenti, altri 180 mila solo su Facebook. Digitando in Google escono fuori quasi trentamila voci. Un pubblico enorme celato dietro un semplice computer, cresciuto giorno dopo giorno finché non è letteralmente esploso, costringendo la stampa a doverne parlare. L'idea degli Oblivion, conosciutisi all'Accademia del musical di Bologna, la loro città elettiva, è stata a dir poco geniale. Auto-prodursi in un video e immetterlo sulla rete, a disposizione di chiunque, senza limiti, con il rischio di essere anche clonati. Forse qui sta la loro sfida stravinta a tutti gli effetti. La visibilità così vasta ha prodotto un effetto a catena, moltiplicatosi a dismisura. La chiamata è arrivata immediatamente dalle Officine Smeraldo di Milano che li ha scritturati con un contratto esclusivo. Strano ma vero: il talento, la bravura, la professionalità, non sono più condizioni da esibire in faticosi e spesso inutili provini, girovagando da un produttore all'altro. Cose dell'altro mondo, fanno parte del passato. Ora ci si fa conoscere con i mezzi multimediali. Con una condizione inderogabile: bisogna dimostrare di possedere talento. Il risultato? Lo spiega Lorenzo Scuda, chitarrista e voce baritono del quintetto che ama definirsi una sorta di “sperimentazione genetica di incrocio fra il quartetto Cetra e i Monty Python”.

“Il nostro Oblivion Show con la regia di Gioele Dix, ha già raggiunto 78 repliche in ben 44 città diverse, su e giù per la penisola. E siamo già stati prenotati per dieci date nel solo Trentino, nel 2010”. Alla domanda perché si chiamano Oblivion, Lorenzo, emiliano doc, risponde divertito, abituato com'è a sentirsela chiedere di continuo.

“Non c'è una risposta vera, ci chiamiamo così perché è il nome della nostra associazione culturale, un omaggio al celebre brano di Astor Piazolla, Oblivion”.

Davide Calabrese di suo aggiunge però un dato interessante: “Viene da oblio, una sorta di operazione per sottrarre dal passato qualcosa che merita”, mentre Francesca Folloni svela anche un piccolo segreto: “Abbiamo fatto credere a molti che Oblivion sia l'acronimo dei nostri nomi”.

Se poi si va a guardare sempre in Google, Oblivion è anche il nome di un videogioco che spopola tra le giovani generazioni, con tanto di spiegazioni per l'uso. Ma il gruppo risponde a a coro che loro sono nati ben prima.

“Ci siamo conosciuti nel 2003 a Bologna mentre frequentavamo la scuola di musical e un pò alla volta abbiamo creato insieme un progetto per fare dei musical, cosa che singolarmente facevamo già. A Marco Poli della Fondazione Del Monte abbiamo chiesto una sponsorizzazione, ma non voleva investire nel musical, non gli interessava – spiega Lorenzo – per cui ci siamo impegnati in piccole produzioni in cui venivano imposti degli autori, citando Rodolfo De Angelis, Giorgio Gaber, il Trio Lescano, un repertorio musicale del secolo scorso comunque. Questo fino al 2006. Da allora abbiamo tentato una strada tutta nostra, tenendo conto del nostro personale ideale di fare della ironia con la musica, con leggerezza e musicalità – e qui saltano fuori i Monthy Python - la nostra fonte di ispirazione. Abbiamo messo in scena la parodia de L'Inferno Dantesco, e quella dedicata al quartetto Cetra lunga ben un'ora e un quarto”.

Con un occhio di riguardo all'universo in rete.

“Volevamo creare tanti piccoli brani da inserire su Youtube. Lo scopo era quello di dedicarsi tutto l'anno per avere maggiore visibilità. Abbiamo tentato in molti modi di proporre i nostri spettacoli ma l'universo teatrale e quello televisivo è in difficoltà – spiegano Graziana, Davide, Francesca, Fabio e Lorenzo – e noi si voleva puntare con ben altri cavalli, ma alla fine la scelta è caduta sui Promessi Sposi. Era il mese di aprile del 2009. A quel punto le migliaia di contatti hanno costretto l'Ansa a lanciare un'agenzia. In quel momento eravamo impegnati nel sostenere dei provini per un'altra produzione, quella di Cats della Compagnia della Rancia. Il Corriere on line ci ha dedicati la prima pagina. Il rischio era quello di aver scelto un testo che poteva annoiare, non piacere, ma eravamo convinti di possedere le chiavi di forza che si basano sulle parodie fatte, avendo comunque a disposizione un parterre di condizioni più ampie, rispetto ai Cetra. Il video è di dieci minuti perché Youtube ti consente questo tempo massimo. Tutti hanno iniziato a guardarlo e il successo è arrivato”.

La telefonata della produzione delle Officine Smeraldo ha fatto il resto.

“Abbiamo mollato tutto, i contratti già stipulati, gli abbiamo stracciati a nostro rischio e pericolo. La vetrina al Franco Parenti è stato il primo passo e via con una tournée di 80 date. Il pubblico che viene a vederci è particolare. Abbiamo scardinato i giovani dai computer e dalle tastiere. Gli studenti ricevevano come premio della maturità, un biglietto per venire a vederci. La nostra quota abbonati era composta in passato da coloro che gradivano l'omaggio alla musica geriatrica. I nonni tanto per intenderci - spiegano divertiti Lorenzo e Davide – e ora abbiamo una forcella ad u con un picco che va dai 16 fino ai 50 anni, con un gap intorno ai 30. Vengono i genitori dei giovani. Facciamo qualcosa di analogo a My Space, alla portata del grande pubblico, solo che fino ad ora i settori erano quelli della musica e del cinema. In teatro nessuno prima di noi c'era riuscito”.

Ma c'era un rischio nel diffondere gratuitamente ad una simile platea il vostro frutto del lavoro? Fabio: “Il nostro promo in internet ci ha fatto rinunciare ai diritti Siae in un settore come quello della rivista dove tutti rubano le idee. Eravamo però disperati dopo sei anni di lavoro, sacrifici e tanta fatica, Non avevano un teatro per lo scambio e il nostro nome non era conosciuto come compagnia. Il circuito teatrale è autoreferenziale. Questa nostra scelta ha rotto un meccanismo”.

Come hanno reagito gli impresari che prima non hanno voluto credere in voi?

“Alcuni teatri hanno fatto richiesta di volerci ora. Si pentono di non averci chiamati prima, ci avrebbero pagato meno, purtroppo sono arrivati tardi”, risponde Graziana.

Capaci di esibirsi con un bagaglio di conoscenze che vanno dal mimo alle esibizioni circensi, attori e musicisti, cantanti e comici. Il repertorio è vastissimo: dal mitico quartetto Cetra Blob divenuto “Macinato di Cetra”, i Nomadi Blob, parodie tipo “Tana libera tutti – il primo reality show in cui i concorrenti sono ostaggio dei terroristi e il pubblico a casa può decidere chi eliminare (ma questo non c'è in Oblivion Show), un dovuto omaggio a Carosello anni '60 con “Rato l'immigrato”, “La stazione di Bologna” cinque anacronistici viaggiatori alle prese con i trasporti del Ventunesimo secolo, in cui c'è anche un riferimento alla strage della stazione, ma con il dovuto rispetto per coloro che hanno perso i loro cari.

“Molti ci chiedono: se veniamo a teatro lo spettacolo dura solo dieci minuti? - ci dice Francesca – ma noi avevamo gli armadi pieni di storie da cantare e recitare”.

“In questo spettacolo abbiamo aggiunto anche Shakespeare in otto minuti, scegliendo le parti scandalistiche delle sue commedie dove i personaggi principali entrano in scena e si uccidono. Le tragedie insomma, come in Romeo e Giulietta. Volevamo il plastico del balcone di Giulietta, come i Ris, come fa Bruno Vespa. I delitti di sangue e infatti abbiamo preso il titolista di Porta a Porta. Come fa Gigi Marzullo che taglia le frasi importanti all'ospite che sta rispondendo – aggiunge Lorenzo che insieme a Davide ha scelto i testi - un modo per ridere e giocare, con uno sguardo all'attualità ma sempre con fare garbato, non urlato, maleducato. Quello che si vede spesso in televisione”.

Il riferimento è d'obbligo. La comicità degli Oblivion non segue il facile e scontato copione della satira dove si prendono di mira anche i politici. A cosa si deve la scelta?

“Prendiamo ad esempio Antonio Albanese, lui si inventa dei personaggi, non hanno le sembianze di personaggi pubblici ben definiti, non si è referenziali, ma è una comicità che si avvicina all'arte e al costume. La differenza tra opera d'arte e comizio la fa la qualità del contenuto artistico, dipende dalla forma in cui la porti. Per noi non c'è la ricerca spasmodica della risata facile e abbiamo sempre bisogno della collaborazione del pubblico”.

Altro capitolo è il momento della creazione, della scrittura dei testi.

“La scrittura segue poli opposti: siamo figli di Elio e le storie tese, situazioni simili in cui il tipo di scrittura non è efficace teatralmente, la prima volta non prende. C'è una ricerca della perfezione del gesto. L'altro polo è Giorgio Gaber, la parola deve arrivare al pubblico come un cazzotto. È un gioco molto affascinante scrivere per il teatro, all inclusive. Il rigore ci accomuna”.

Gli Oblivion pescano molto dalla televisione come materiale su cui poi ragionare nel trovare idee e spunti con un taglio sempre ironico e sarcastico. Il reality show è il contenitore per eccellenza , ma anche certi avvenimenti della cronaca quotidiana, le vicende drammatiche accadute in giro per il mondo, tutti accomunati in una miscellanea che non distingue più il reale dalla finzione.

“In un momento drammatico come il nostro in cui viviamo dalla scatola della televisione esce di tutto. I reality sono come la Guerra del Golfo del 1991, dove vedevi la realtà che sembrava creata appositamente, certi video giochi sono identici, la visione in diretta di fatti tragici, le esecuzioni di ostaggi, tutto è trattato allo stesso modo. È lo stesso linguaggio del Grande Fratello, al di là della facile retorica populista, si pensi alle lacrime versate nel programma C'è posta per te di Maria de Filippi”.

A proposito di televisione. Vi chiama?

“Sì ci ha cercato ma non eravamo in casa!”.

Difficile trovarli, impegnati come sono a girare per tutti i teatri su e giù dell'Italia, da Bari a Bolzano. Prossimamente per due settimane al Ciak di Milano. Affrettatevi, c'è già la fila fuori che aspetta!

 

Roberto Rinaldi

Pubblicata su l'ESPRESSO/REPUBBLICA BLOG

Blog Arteovunque

 

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